di FRANCESCO GRECO - Paragone l’iconoclasta. O, se si preferisce, il “Complottista. Dietrologo. Populista”. E blasfemo (“L’unica ideologia ammessa è quella del neoliberismo, del turboconsumismo, del mercato oltre tutti i diritti”). Quello che regola tutto, da padroni delle ferriere, albori della rivoluzione industriale. Corsi e ricorsi.
Accuse facili, banali, in tempi in cui ti indicano la luna e guardi il dito e ti regalano una banca per un misero euro.
Il saggio di Gianluigi Paragone non sta avendo visibilità , soffocato da una coltre di silenzio, o dal bla bla della retorica. Dovrebbero adottarlo nelle scuole, perché, fra le tante sovrapposizioni filologiche, contiene un livello pedagogico, e chi è nato nel 2000 deve sapere il mondo sudicio e cannibale che gli stiamo ammollando.
Non solo perché è contro il sistema bancario e il suo mainstream, non la banca istituzione (pamphlet di questo tipo sono frequenti), e nemmeno perché sin dal 2007 – partendo dagli USA, a macchia d’olio – proprio loro hanno distrutto l’economia reale praticando la finanza creativa, speculativa (“quindi ladra”), derivati e bolle, le ricchezze improvvise e sospette (e quelle sfumate), protette dalla politica peggiore (“hanno tradito la Costituzione”, “che infastidisce le merchant bank”, “le Costituzioni vanno liquefatte, rese impalpabili”) che tiene il sacco, in aiuto degli apprendisti stregoni, la “gens nova”, gli unti, i savi.
Al tempo delle banche date a un euro, nel mirino finisce così l’establishment nel suo complesso, globale, la civiltà che ci siamo dati, la “cultura” che ci opprime, ormai ossificata in archetipi. La politica che fa finta di governare, prona ai desiderata delle élite finanziarie, sterminatori che non lasciano crescere l’erba. Ogni “patto sociale” è saltato, relativizzato, apparenza: prevale la legge della foresta, il darwinismo più devastante (“Il senso del collettivo crolla”). Così ogni idea di futuro è velleitaria, svanisce, la precarietà domina, la ricchezza si perde nel metafisico, i diritti sono apparenze, la democrazia si svuota di senso: il Medioevo ci avvolge come perfido peplo.
Labili i confini fra lobby (“sicari economici sguinzagliati nelle istituzioni”) e logge, cosche e poteri occulti, cattiva politica e cattiva finanza, informazione e disinformatia. E tutto un unico blog. Come una Spectre che ha reso le democrazie fragili, apparenti (“sdemocratizzazione”), i cittadini consumatori di rubbish (“vita a rate”, come l’America di J. Steinbeck), impotenti, senza “lavoro, servizi sociali, diritti”, insudiciati col “blame the victim”, ogni giorno “stalkerizzati”, con le “prossime generazioni senza più speranze…”.
“GangBank” (Il perverso intreccio tra politica e finanza che ci frega il portafoglio e la vita), Edizioni Piemme, Milano 2017, pp. 312, euro 18,00 (cover di Nadia Morelli, art director Cecilia Flegenheimer) è un duro atto d’accusa a una classe politica che ha abdicato al suo ruolo, al modo di concepire l’economia che crea diseguaglianze e ci ruba la vita e il futuro (“i giovani non hanno voglia di lavorare, di fare sacrifici…”), alla comunicazione (“le banche hanno in mano l’anima dell’editoria italiana”) che tradisce la sua mission proponendo storytelling elusivi e conformisti (anche così si bypassano le “ribellioni di piazza”).
Il mondo visto da Paragone è privo di etica, è in mano a cannibali, l’uomo ha smarrito il suo libero arbitrio. Lo stato sociale è formattato, i diritti naturali prosciugati, i valori surrogati, stranieri nella loro stessa casa: quasi una mutazione genetica. E nessuno reagisce: cosa può fare “un ceto sociale impaurito e senza voce”? Non c’è coscienza né legittimazione, oscurati da osceni rumori di fondo.
Eroicamente, masochisticamente, riuscirete ad arrivare all’ultima pagina o la nausea per la “visione” di Paragone vi darà crampi di nausea allo stomaco? Già alla lettera di Michele, suicida a 30 anni, poi la ragazzina friulana che sviene perché affamata, sarete tentati di posarlo e andare al bar sport…
Accuse facili, banali, in tempi in cui ti indicano la luna e guardi il dito e ti regalano una banca per un misero euro.
Il saggio di Gianluigi Paragone non sta avendo visibilità , soffocato da una coltre di silenzio, o dal bla bla della retorica. Dovrebbero adottarlo nelle scuole, perché, fra le tante sovrapposizioni filologiche, contiene un livello pedagogico, e chi è nato nel 2000 deve sapere il mondo sudicio e cannibale che gli stiamo ammollando.
Non solo perché è contro il sistema bancario e il suo mainstream, non la banca istituzione (pamphlet di questo tipo sono frequenti), e nemmeno perché sin dal 2007 – partendo dagli USA, a macchia d’olio – proprio loro hanno distrutto l’economia reale praticando la finanza creativa, speculativa (“quindi ladra”), derivati e bolle, le ricchezze improvvise e sospette (e quelle sfumate), protette dalla politica peggiore (“hanno tradito la Costituzione”, “che infastidisce le merchant bank”, “le Costituzioni vanno liquefatte, rese impalpabili”) che tiene il sacco, in aiuto degli apprendisti stregoni, la “gens nova”, gli unti, i savi.
Al tempo delle banche date a un euro, nel mirino finisce così l’establishment nel suo complesso, globale, la civiltà che ci siamo dati, la “cultura” che ci opprime, ormai ossificata in archetipi. La politica che fa finta di governare, prona ai desiderata delle élite finanziarie, sterminatori che non lasciano crescere l’erba. Ogni “patto sociale” è saltato, relativizzato, apparenza: prevale la legge della foresta, il darwinismo più devastante (“Il senso del collettivo crolla”). Così ogni idea di futuro è velleitaria, svanisce, la precarietà domina, la ricchezza si perde nel metafisico, i diritti sono apparenze, la democrazia si svuota di senso: il Medioevo ci avvolge come perfido peplo.
Labili i confini fra lobby (“sicari economici sguinzagliati nelle istituzioni”) e logge, cosche e poteri occulti, cattiva politica e cattiva finanza, informazione e disinformatia. E tutto un unico blog. Come una Spectre che ha reso le democrazie fragili, apparenti (“sdemocratizzazione”), i cittadini consumatori di rubbish (“vita a rate”, come l’America di J. Steinbeck), impotenti, senza “lavoro, servizi sociali, diritti”, insudiciati col “blame the victim”, ogni giorno “stalkerizzati”, con le “prossime generazioni senza più speranze…”.
“GangBank” (Il perverso intreccio tra politica e finanza che ci frega il portafoglio e la vita), Edizioni Piemme, Milano 2017, pp. 312, euro 18,00 (cover di Nadia Morelli, art director Cecilia Flegenheimer) è un duro atto d’accusa a una classe politica che ha abdicato al suo ruolo, al modo di concepire l’economia che crea diseguaglianze e ci ruba la vita e il futuro (“i giovani non hanno voglia di lavorare, di fare sacrifici…”), alla comunicazione (“le banche hanno in mano l’anima dell’editoria italiana”) che tradisce la sua mission proponendo storytelling elusivi e conformisti (anche così si bypassano le “ribellioni di piazza”).
Il mondo visto da Paragone è privo di etica, è in mano a cannibali, l’uomo ha smarrito il suo libero arbitrio. Lo stato sociale è formattato, i diritti naturali prosciugati, i valori surrogati, stranieri nella loro stessa casa: quasi una mutazione genetica. E nessuno reagisce: cosa può fare “un ceto sociale impaurito e senza voce”? Non c’è coscienza né legittimazione, oscurati da osceni rumori di fondo.
Eroicamente, masochisticamente, riuscirete ad arrivare all’ultima pagina o la nausea per la “visione” di Paragone vi darà crampi di nausea allo stomaco? Già alla lettera di Michele, suicida a 30 anni, poi la ragazzina friulana che sviene perché affamata, sarete tentati di posarlo e andare al bar sport…