di FRANCESCO GRECO - Fu un’orrenda carneficina, milioni i morti. Si morì con i gas (comparve l’iprite) ma anche di inedia, di malattie, di igiene precaria nel fango delle trincee, veri e propri gironi infernali (“riparati dietro sacchi di sabbia e difesi da una mitragliatrice”, dalla prefazione).
Ernest Hemingway scrisse pagine dolenti e sublimi in “Addio alle armi”: egli stesso, appena 19enne, era al fronte come tenente aggregato all’Esercito italiano da guidatore di autoambulanze e fu ferito), lo stesso Eric Maria Remarque (“Niente di nuovo sul fronte occidentale”): celebre l’immagine del soldato ferito con gli intestini fra le mani.
Anche il cinema ha scansionato la Grande Guerra con intensità. Fra le opere più significative e poetiche, “E Jhonny prese il fucile”, di Dalton Trumbo. Il protagonista è un mezzo uomo, ridotto al solo tronco dalle granate. Non fu facile per il regista trovare i soldi per girarlo, ed è stato quasi rimosso, non lo trasmettono mai, meglio i filmacci spensierati e nichilisti, con gli ipercorpi siliconati: ci rassicurano.
Come la memoria di tanti soldati-ragazzi che si sacrificarono per un ideale oggi ampiamente relativizzato, in tempi di cupo cinismo, di disvalori, di ideali insudiciati: il loro sacrificio è stato vano.
Eppure bisogna scavare nella memoria, negli archivi d’ogni dove, nei sacrari e gli ossari, continuare con la ricognizione, per rendere onore a quei Caduti altrimenti destinati all’oblio oggi che abbiamo la memoria debole e viviamo sospesi in un presente che ha formattato, o quasi, il passato, ma anche per trasmettere alle nuove generazioni il senso profondo del loro sacrificio e un messaggio di speranza e di vera pace in una società più giusta e più libera.
E’ il concept che ha ispirato il capitano di fregata Cosimo Rao per il pregevole lavoro con cui ha inteso commemorare i cento anni da quella tragedia epocale, “Gagliano del Capo e la Grande Guerra” (Nel ricordo degli eroi caduti), Libellula Edizioni, Tricase 2017, pp. 256, euro 16,00, con la densa, articolata prefazione dello storico Francesco Fersini e la bella cover di Francesco Casi-Melcarne.
Un lavoro a futura memoria, appassionato, ben strutturato e organizzato nell’impostazione, che tocca le corde intime di ognuno di noi che abbiamo avuto un caduto in guerra (chi scrive zio Vito Maria Greco, morto con i gas degli Austriaci e sepolto al Sacro Tempio di Udine in forma perenne) e che non abbiamo mai rimosso la tragedia.
Che Rao, in veste di storico e di appassionato ricercatore, lodevolmente anzi ravviva, attribuendo alla memoria il valore massimo, come deve essere per ogni popolo che la sedimenta nello scorrere inesorabile del tempo, perché “chi dimentica il passato è condannato a riviverlo”.
Rao è una persona eccezionale. Sia per la sua vita di militare nella Marina (ha girato il mondo, ha portato ovunque la sua grande umanità, il suo sguardo colmo di pietas. È stato per questo decorato molte volte: è un eroe del nostro tempo, che per la completezza con cui ricostruisce i percorsi di vita dei 60 martiri di Gagliano, il suo paese, che si sono immolati in una guerra assurda oltre che disumana.
Li nominiamo uno per uno come segno ulteriore di rispetto: Giacomo Arbace, Giovanni Bisanti, Rocco Bisanti, Salvatore Bisanti, Giuseppe Buccarello, Vito Buccarello, Andrea Cagnazzo, Giuseppe Caputo, Giovanni Carletta, Giuseppe Cazzato, Francesco, Domenico e Biagio Ciardo (fratelli del famoso pittore Vincenzo), Francesco Ciardo, Francesco Rocco Ciardo, Giuseppe Ciardo, Luigi Ciardo di Cesario, Luigi Ciardo fu Vito, Rocco Ciardo, Salvatore Ciardo, Vincenzo Ciardo, Giovanni Coppola, Martino Coppola, Francesco Cordella, Vincenzo Cosi di Francesco, Vincenzo Cosi di Vito Maria, Donato Cucinelli, Salvatore De Filippis, Cristoforo De Fillippis, Francesco Ferilli, Rocco Ferilli, Orazio Ferraro, Rocco Fersini, Salvatore Fersini, Ermelindo Fersino, Santo Fino, Vincenzo Maglie, Vito Mangiullo, Alessandro Marino, Luigi Marzo, Giuseppe Mazzini, Angelo Melcarne, Pasquale Melcarne, Donato Morciano, Lorenzo Pelagalli, Rocco Pizzolante, Francesco Protopapa, Pietro Rao, Domenico Sergi, Giuseppe Sergi, Lorenzo Sergi, Pasquale Sergi, Rocco Sergi, Salvatore Sergi, Vincenzo Sergi, Ippazio Settembre, Vito Stendardo, Lorenzo Trane, Luigi Vitali, Agostino Zaccaro.
In una gallery che profuma di patria e di terra, di eroismo e onore (alcuni erano ragazzi del ‘99), Rao dice quando sono nati, di chi sono figli (quasi sempre di contadini e in famiglie numerose, molti gli analfabeti), quando sono stati chiamati alle armi, dove sono stati destinati e la fine orrenda che è toccata loro in sorte, lontani da casa, sui campi di battaglia, nel fango, tra i fil spinati, spesso ubriachi di cordiale per farsi coraggio. Inoltre ha recuperato toccanti frammenti di lettere a casa, ai famigliari, ma anche alla Madonna del “Santovario” di Leuca. Dei 60, 31 erano contadini, 7 pescatori, 5 carrettieri, 3 muratori; c’è persino un giudice e un “possidente” e alcuni studenti.
Hemingway sosteneva che le guerre “vengono combattute dalla miglior gente che c’è”, “provocate da un certo numero di porci che ne approfittano”. Un omaggio postumo a tutti i soldati che si sono sacrificati per un ideale in cui credevano, incluso questo drappello sepolto lontano dalla terra natale (in Trentino, Friuli, ma anche Grecia, Polonia, ecc.) che Rao consegna alla memoria lacerata di tutti noi, nella speranza di ricomporre un mosaico identitario senza il quale non sappiamo chi siamo, da dove veniamo, dove siam diretti. Siamo solo pulviscolo perduto nel Cosmo.
Ernest Hemingway scrisse pagine dolenti e sublimi in “Addio alle armi”: egli stesso, appena 19enne, era al fronte come tenente aggregato all’Esercito italiano da guidatore di autoambulanze e fu ferito), lo stesso Eric Maria Remarque (“Niente di nuovo sul fronte occidentale”): celebre l’immagine del soldato ferito con gli intestini fra le mani.
Anche il cinema ha scansionato la Grande Guerra con intensità. Fra le opere più significative e poetiche, “E Jhonny prese il fucile”, di Dalton Trumbo. Il protagonista è un mezzo uomo, ridotto al solo tronco dalle granate. Non fu facile per il regista trovare i soldi per girarlo, ed è stato quasi rimosso, non lo trasmettono mai, meglio i filmacci spensierati e nichilisti, con gli ipercorpi siliconati: ci rassicurano.
Come la memoria di tanti soldati-ragazzi che si sacrificarono per un ideale oggi ampiamente relativizzato, in tempi di cupo cinismo, di disvalori, di ideali insudiciati: il loro sacrificio è stato vano.
Eppure bisogna scavare nella memoria, negli archivi d’ogni dove, nei sacrari e gli ossari, continuare con la ricognizione, per rendere onore a quei Caduti altrimenti destinati all’oblio oggi che abbiamo la memoria debole e viviamo sospesi in un presente che ha formattato, o quasi, il passato, ma anche per trasmettere alle nuove generazioni il senso profondo del loro sacrificio e un messaggio di speranza e di vera pace in una società più giusta e più libera.
E’ il concept che ha ispirato il capitano di fregata Cosimo Rao per il pregevole lavoro con cui ha inteso commemorare i cento anni da quella tragedia epocale, “Gagliano del Capo e la Grande Guerra” (Nel ricordo degli eroi caduti), Libellula Edizioni, Tricase 2017, pp. 256, euro 16,00, con la densa, articolata prefazione dello storico Francesco Fersini e la bella cover di Francesco Casi-Melcarne.
Un lavoro a futura memoria, appassionato, ben strutturato e organizzato nell’impostazione, che tocca le corde intime di ognuno di noi che abbiamo avuto un caduto in guerra (chi scrive zio Vito Maria Greco, morto con i gas degli Austriaci e sepolto al Sacro Tempio di Udine in forma perenne) e che non abbiamo mai rimosso la tragedia.
Che Rao, in veste di storico e di appassionato ricercatore, lodevolmente anzi ravviva, attribuendo alla memoria il valore massimo, come deve essere per ogni popolo che la sedimenta nello scorrere inesorabile del tempo, perché “chi dimentica il passato è condannato a riviverlo”.
Rao è una persona eccezionale. Sia per la sua vita di militare nella Marina (ha girato il mondo, ha portato ovunque la sua grande umanità, il suo sguardo colmo di pietas. È stato per questo decorato molte volte: è un eroe del nostro tempo, che per la completezza con cui ricostruisce i percorsi di vita dei 60 martiri di Gagliano, il suo paese, che si sono immolati in una guerra assurda oltre che disumana.
Li nominiamo uno per uno come segno ulteriore di rispetto: Giacomo Arbace, Giovanni Bisanti, Rocco Bisanti, Salvatore Bisanti, Giuseppe Buccarello, Vito Buccarello, Andrea Cagnazzo, Giuseppe Caputo, Giovanni Carletta, Giuseppe Cazzato, Francesco, Domenico e Biagio Ciardo (fratelli del famoso pittore Vincenzo), Francesco Ciardo, Francesco Rocco Ciardo, Giuseppe Ciardo, Luigi Ciardo di Cesario, Luigi Ciardo fu Vito, Rocco Ciardo, Salvatore Ciardo, Vincenzo Ciardo, Giovanni Coppola, Martino Coppola, Francesco Cordella, Vincenzo Cosi di Francesco, Vincenzo Cosi di Vito Maria, Donato Cucinelli, Salvatore De Filippis, Cristoforo De Fillippis, Francesco Ferilli, Rocco Ferilli, Orazio Ferraro, Rocco Fersini, Salvatore Fersini, Ermelindo Fersino, Santo Fino, Vincenzo Maglie, Vito Mangiullo, Alessandro Marino, Luigi Marzo, Giuseppe Mazzini, Angelo Melcarne, Pasquale Melcarne, Donato Morciano, Lorenzo Pelagalli, Rocco Pizzolante, Francesco Protopapa, Pietro Rao, Domenico Sergi, Giuseppe Sergi, Lorenzo Sergi, Pasquale Sergi, Rocco Sergi, Salvatore Sergi, Vincenzo Sergi, Ippazio Settembre, Vito Stendardo, Lorenzo Trane, Luigi Vitali, Agostino Zaccaro.
In una gallery che profuma di patria e di terra, di eroismo e onore (alcuni erano ragazzi del ‘99), Rao dice quando sono nati, di chi sono figli (quasi sempre di contadini e in famiglie numerose, molti gli analfabeti), quando sono stati chiamati alle armi, dove sono stati destinati e la fine orrenda che è toccata loro in sorte, lontani da casa, sui campi di battaglia, nel fango, tra i fil spinati, spesso ubriachi di cordiale per farsi coraggio. Inoltre ha recuperato toccanti frammenti di lettere a casa, ai famigliari, ma anche alla Madonna del “Santovario” di Leuca. Dei 60, 31 erano contadini, 7 pescatori, 5 carrettieri, 3 muratori; c’è persino un giudice e un “possidente” e alcuni studenti.
Hemingway sosteneva che le guerre “vengono combattute dalla miglior gente che c’è”, “provocate da un certo numero di porci che ne approfittano”. Un omaggio postumo a tutti i soldati che si sono sacrificati per un ideale in cui credevano, incluso questo drappello sepolto lontano dalla terra natale (in Trentino, Friuli, ma anche Grecia, Polonia, ecc.) che Rao consegna alla memoria lacerata di tutti noi, nella speranza di ricomporre un mosaico identitario senza il quale non sappiamo chi siamo, da dove veniamo, dove siam diretti. Siamo solo pulviscolo perduto nel Cosmo.