di LIVALCA - Quando l’uomo che parla ai ‘cavalli’ della gloriosa libreria di piazza Moro - al secolo Ruggiero Riefolo - mi ha sussurrato al telefono ‘come mai non hai segnato il volume del tuo amico Raffaele, per caso l’hai avuto in omaggio dall’editore?’, mi sono visto costretto a dire ‘possiamo fare benissimo trentuno’ (A volte sono obbligato a comprare libri per i miei amici, perché convinti che un editore - alla stregua di un pasticciere… non ho detto faccendiere - possa disporre di tutti i libri in ‘circolazione ‘).
Appena il libro in questione incontra il mio sguardo comprendo che la copertina è opera del Maestro Michele Damiani, il quale ci regala, all’interno dello stesso, un ottavino con tavole figlie del suo credo artistico che, al momento, grazie al colore, ci avvicinano e allontanano - sta a noi scegliere - le frontiere del Meraviglioso.
Raffaele sta per Nigro e il libro - Progedit - ha per titolo ‘Ritorno in Lucania’.
Un capitolo a parte meriterebbero le foto del ‘fotografo-avvocato’ Piero Lovero, foto che rendono giustizia agli amanti delle immagini-parlanti in una stagione dell’umanità in cui sono tutti bravi a scattare ‘selfie’ (spero si scriva così, altrimenti rischio la…’radi(o)azione’) senza un palpito di vita. Una foto su tutte meriterebbe un panegirico, per cui mi limito a citarla: Valsinni, Castello di Isabella Morra.
Si deve a Benedetto Croce se Isabella Morra, figlia del Barone di Favale, ebbe riconoscimenti letterari, ampliati dalla circostanza che visse solo cinque lustri, ed il suo assassinio, ad opera dei fratelli, diede rilevanza ad una ‘mentalità ’ ancor oggi dura a sparire, imputata quasi sempre al Meridione e non ad un vizio italico… come ritengo sia (solo per la cronaca la Morra visse dal 1525-1545… motivo per cui dovremmo dire atavico e non italico!).
Il testo di Nigro è godibile, quasi sempre attendibile - purtroppo chi ha frequentato con successo la narrativa spesso si fa prendere la mano e perde le ‘redini’, ma come direbbe, un indulgente medico curante, è un male fisiologico - e per giunta costruito con quella raffinatezza di scrittore che possiede solo il destinatario di ‘grazia ricevuta’, quotidianamente alimentata da studio e lettura.
Dalla mia veloce immersione nel cartaceo emergono le pagine dedicate a Carlo Levi, Leonardo Sinisgalli e Rocco Scotellaro: sono le più sentite perché il lucano-barese si mette al servizio di quello che deve analizzare e far rivivere, dimenticando il suo ‘io’ o citandolo solo se strettamente necessario o comunque attore del racconto. Nigro parlando di colui che fu sindaco di Tricarico si lamenta dell’oblio in cui finiscono personaggi che meriterebbero attenzione e riflessione: ‘Forse perché la critica è impazzita dietro una follia editoriale che non ci dà più spazio per riflettere su ciò che si scrive e su ciò che è il caso di consumare. Forse perché nessuno più vuol ricordare gli anni in cui tutti eravamo povera gente’. Raf concordo con quest’ultima veritiera ‘supposizione’.
Non posso dilungarmi oltre perché il direttore del ‘Giornale di Puglia’ Ferri - che ringrazio per la riduzione delle giornate di ‘fermo’ forzato - è stato tassativo: attenersi alle ‘battute’ concordate… pensare che una volta - non molto tempo fa - avevo illimitata libertà di ‘battute’…oggi mi vengono contate (Settembre controllato, inverno tribolato!).
Degno di menzione è il saggio dedicato a Pasquale Festa Campanile che, quando tornava nella natia Melfi, si faceva accompagnare, racconta Raffaele, ‘dalla bellona (…amico mio la tua invidia trasuda tempesta ormonale che hai scaricato, in seguito, in alcuni romanzi) lanciata come attrice’.
Spero di ricordare male, ma il nostro appella Maria Grazia Spina come ‘bellona’ e si tratta di un ‘affronto’ per una bella donna, sensuale e mai volgare, brava attrice di teatro con opere di Goldoni e pittrice per studi fatti, che da veneziana, mal sopportava la gelosia del regista Campanile. Raffaele tu hai tutto per ‘espiare’ e farti perdonare, qualora fossi ‘colpevole’: la penna è il più grande perdono… dopo la televisione.
Nigro parla della figura di Tommaso Pedio, delle sue tante pubblicazioni dedicate al ‘brigantaggio’ e di come lo conobbe servendosi di Melfi e di una piccola innocente, ma utile ‘bugia’. Invito i 323 contatti che mi sono rimasti fedeli a non chiedermi notizie sulla ‘frottola’, ma di volare in libreria e portarsi a pagina 124. Certo una bugia tira l’altra, per giunta oggi un individuo deve mentire a se stesso per fare una semplice ammissione di ‘fede’.
Penso di aver conosciuto abbastanza bene il carattere del professore Pedio, avendolo accompagnato innumerevoli volte a casa in compagnia dei tanti libri che cercava fra i troppi da noi pubblicati di suo interesse (i pesi li portava quasi sempre Massimiliano Pezzi). Pedio temeva sempre che qualcuno potesse ‘accedere’ ai suoi scritti prima della pubblicazione ed evitava accuratamente di parlare in presenza di estranei. Da noi ha sempre avuto libero accesso ed il suo punto di riferimento era mio padre, lo cercava ovunque per proporre il solito viaggio verso un nuovo libro o un ‘caffè’…’fumante’.
Tralascio ogni altro appunto - dal punto di vista della verità storica cui mi sono sempre attenuto e mai di quella veritiera - e considerazione che può interessare il ‘livalca’ del tempo che fu, ma non posso non sobbalzare nel leggere che Pedio, caro Raffaele, ti ha sostenuto nel 1981 per il Premio Basilicata, so che sei esperto di ‘eufemismo’… ma questo è troppo viscerale-lucano per essere mandato giù.
Hai avuto un solo grande sponsor per quel premio: Mario Cavalli. Per ben quattro volte sono andato a prendere Pedio per portarlo in azienda e fargli toccare con mano che stavamo stampando e che, quella coinvolgente quanto appassionante impresa, da lui ritenuta impossibile, si stava concretizzando. Tralascio ogni particolare - anche se sono in vita persone, oltre il sottoscritto, che possono testimoniare quanto don Mario si spinse oltre - ed ogni considerazione: quel Premio lo devi non solo alla tua bravura, ma ad uomo che ti aveva preso in simpatia a tal punto… da far scattare in me una ‘gelosia controllata’.
“Forse perché nessuno vuol ricordare gli anni in cui eravamo tutti povera gente” sono parole tue, che io mi limito ad avvalorare - tralasciando di precisare povera gente con forti e nobili ideali - e che confermano ancora una volta che sei nato per aver sempre ragione, anche quando ti trovi (obtorto collo (?) dalla parte del ‘torto’.
Tanto di ‘CAMPIELLO ’ all’intellettuale che partendo dall’UMANESIMO e il BAROCCO della BASILICATA, si gettò con impeto nei FUOCHI del BASENTO per rintracciare la BARONESSA dell’OLIVENTO, ma da PIANTATORE di LUNE notò delle OMBRE sull’OFANTO e dimenticò il DIO di LEVANTE, trovando rifugio nell’ADRIATICO selvaggio alla ricerca di DESDEMONA e COLA COLA; la natura, sempre matrigna oltre che benigna, fece fiorire una MALVAROSA che vide, suo malgrado, i ‘cecchini’ pretendere il GIUSTIZIATELI sul CAMPO, tanto da far gridare alle spaventate contadine SANTA MARIA delle BATTAGLIE; barriti, scambiati per nitriti (la coscienza? no solo LA METAFISICA COME SCIENZA), annunciavano l’arrivo di FERNANDA e gli ELEFANTI BIANCHI di HEMINGWAY (Addio alle armi o Per chi suona la campana?)…a questo punto il CUSTODE del MUSEO delle CERE decise che poteva considerarsi, al momento, concluso il VIAGGIO in BASILICATA.
Detto ciò mi piace ricordare alcuni periodi tratti dalla prefazione che Michele Dell’Aquila nel 1981 scrisse per il libro che vinse il Premio Basilicata: ‘Il libro va accolto dagli studiosi con gratitudine e simpatia anche perché - si direbbe - il Nigro lavora per essi più che per sé’. Il prof. Dell’Aquila terminava con queste parole il suo intervento accorato (solo alcuni mesi prima vi era stato il devastante terremoto che aveva colpito la Basilicata) e sobrio intervento: “Nigro - che è studioso e uomo di cultura versatile, impegnato su più fronti del fare letterario, anche quello creativo - saprà tornare su questo materiale che ora offre con generosità all’attenzione degli specialisti; e lo farà con l’intelligenza e lo scrupolo che gli riconosciamo. Al momento, quel che importa - e va segnalato il pericolo fattosi più grande per le distruzioni e i crolli di antiche dimore nel recente terremoto - è lo slancio e l’impegno civile, oltre che culturale, dell’operazione, ‘il lungo studio e il grande amore’ che gli han fatto‘ cercare’ i volumi dei padri”.
Il prof. Dell’Aquila ben trentacinque anni fa aveva visto giusto: IN NOME DEI PADRI.
Appena il libro in questione incontra il mio sguardo comprendo che la copertina è opera del Maestro Michele Damiani, il quale ci regala, all’interno dello stesso, un ottavino con tavole figlie del suo credo artistico che, al momento, grazie al colore, ci avvicinano e allontanano - sta a noi scegliere - le frontiere del Meraviglioso.
Raffaele sta per Nigro e il libro - Progedit - ha per titolo ‘Ritorno in Lucania’.
Un capitolo a parte meriterebbero le foto del ‘fotografo-avvocato’ Piero Lovero, foto che rendono giustizia agli amanti delle immagini-parlanti in una stagione dell’umanità in cui sono tutti bravi a scattare ‘selfie’ (spero si scriva così, altrimenti rischio la…’radi(o)azione’) senza un palpito di vita. Una foto su tutte meriterebbe un panegirico, per cui mi limito a citarla: Valsinni, Castello di Isabella Morra.
Si deve a Benedetto Croce se Isabella Morra, figlia del Barone di Favale, ebbe riconoscimenti letterari, ampliati dalla circostanza che visse solo cinque lustri, ed il suo assassinio, ad opera dei fratelli, diede rilevanza ad una ‘mentalità ’ ancor oggi dura a sparire, imputata quasi sempre al Meridione e non ad un vizio italico… come ritengo sia (solo per la cronaca la Morra visse dal 1525-1545… motivo per cui dovremmo dire atavico e non italico!).
Il testo di Nigro è godibile, quasi sempre attendibile - purtroppo chi ha frequentato con successo la narrativa spesso si fa prendere la mano e perde le ‘redini’, ma come direbbe, un indulgente medico curante, è un male fisiologico - e per giunta costruito con quella raffinatezza di scrittore che possiede solo il destinatario di ‘grazia ricevuta’, quotidianamente alimentata da studio e lettura.
Dalla mia veloce immersione nel cartaceo emergono le pagine dedicate a Carlo Levi, Leonardo Sinisgalli e Rocco Scotellaro: sono le più sentite perché il lucano-barese si mette al servizio di quello che deve analizzare e far rivivere, dimenticando il suo ‘io’ o citandolo solo se strettamente necessario o comunque attore del racconto. Nigro parlando di colui che fu sindaco di Tricarico si lamenta dell’oblio in cui finiscono personaggi che meriterebbero attenzione e riflessione: ‘Forse perché la critica è impazzita dietro una follia editoriale che non ci dà più spazio per riflettere su ciò che si scrive e su ciò che è il caso di consumare. Forse perché nessuno più vuol ricordare gli anni in cui tutti eravamo povera gente’. Raf concordo con quest’ultima veritiera ‘supposizione’.
Non posso dilungarmi oltre perché il direttore del ‘Giornale di Puglia’ Ferri - che ringrazio per la riduzione delle giornate di ‘fermo’ forzato - è stato tassativo: attenersi alle ‘battute’ concordate… pensare che una volta - non molto tempo fa - avevo illimitata libertà di ‘battute’…oggi mi vengono contate (Settembre controllato, inverno tribolato!).
Degno di menzione è il saggio dedicato a Pasquale Festa Campanile che, quando tornava nella natia Melfi, si faceva accompagnare, racconta Raffaele, ‘dalla bellona (…amico mio la tua invidia trasuda tempesta ormonale che hai scaricato, in seguito, in alcuni romanzi) lanciata come attrice’.
Spero di ricordare male, ma il nostro appella Maria Grazia Spina come ‘bellona’ e si tratta di un ‘affronto’ per una bella donna, sensuale e mai volgare, brava attrice di teatro con opere di Goldoni e pittrice per studi fatti, che da veneziana, mal sopportava la gelosia del regista Campanile. Raffaele tu hai tutto per ‘espiare’ e farti perdonare, qualora fossi ‘colpevole’: la penna è il più grande perdono… dopo la televisione.
Nigro parla della figura di Tommaso Pedio, delle sue tante pubblicazioni dedicate al ‘brigantaggio’ e di come lo conobbe servendosi di Melfi e di una piccola innocente, ma utile ‘bugia’. Invito i 323 contatti che mi sono rimasti fedeli a non chiedermi notizie sulla ‘frottola’, ma di volare in libreria e portarsi a pagina 124. Certo una bugia tira l’altra, per giunta oggi un individuo deve mentire a se stesso per fare una semplice ammissione di ‘fede’.
Penso di aver conosciuto abbastanza bene il carattere del professore Pedio, avendolo accompagnato innumerevoli volte a casa in compagnia dei tanti libri che cercava fra i troppi da noi pubblicati di suo interesse (i pesi li portava quasi sempre Massimiliano Pezzi). Pedio temeva sempre che qualcuno potesse ‘accedere’ ai suoi scritti prima della pubblicazione ed evitava accuratamente di parlare in presenza di estranei. Da noi ha sempre avuto libero accesso ed il suo punto di riferimento era mio padre, lo cercava ovunque per proporre il solito viaggio verso un nuovo libro o un ‘caffè’…’fumante’.
Tralascio ogni altro appunto - dal punto di vista della verità storica cui mi sono sempre attenuto e mai di quella veritiera - e considerazione che può interessare il ‘livalca’ del tempo che fu, ma non posso non sobbalzare nel leggere che Pedio, caro Raffaele, ti ha sostenuto nel 1981 per il Premio Basilicata, so che sei esperto di ‘eufemismo’… ma questo è troppo viscerale-lucano per essere mandato giù.
Hai avuto un solo grande sponsor per quel premio: Mario Cavalli. Per ben quattro volte sono andato a prendere Pedio per portarlo in azienda e fargli toccare con mano che stavamo stampando e che, quella coinvolgente quanto appassionante impresa, da lui ritenuta impossibile, si stava concretizzando. Tralascio ogni particolare - anche se sono in vita persone, oltre il sottoscritto, che possono testimoniare quanto don Mario si spinse oltre - ed ogni considerazione: quel Premio lo devi non solo alla tua bravura, ma ad uomo che ti aveva preso in simpatia a tal punto… da far scattare in me una ‘gelosia controllata’.
“Forse perché nessuno vuol ricordare gli anni in cui eravamo tutti povera gente” sono parole tue, che io mi limito ad avvalorare - tralasciando di precisare povera gente con forti e nobili ideali - e che confermano ancora una volta che sei nato per aver sempre ragione, anche quando ti trovi (obtorto collo (?) dalla parte del ‘torto’.
Tanto di ‘CAMPIELLO ’ all’intellettuale che partendo dall’UMANESIMO e il BAROCCO della BASILICATA, si gettò con impeto nei FUOCHI del BASENTO per rintracciare la BARONESSA dell’OLIVENTO, ma da PIANTATORE di LUNE notò delle OMBRE sull’OFANTO e dimenticò il DIO di LEVANTE, trovando rifugio nell’ADRIATICO selvaggio alla ricerca di DESDEMONA e COLA COLA; la natura, sempre matrigna oltre che benigna, fece fiorire una MALVAROSA che vide, suo malgrado, i ‘cecchini’ pretendere il GIUSTIZIATELI sul CAMPO, tanto da far gridare alle spaventate contadine SANTA MARIA delle BATTAGLIE; barriti, scambiati per nitriti (la coscienza? no solo LA METAFISICA COME SCIENZA), annunciavano l’arrivo di FERNANDA e gli ELEFANTI BIANCHI di HEMINGWAY (Addio alle armi o Per chi suona la campana?)…a questo punto il CUSTODE del MUSEO delle CERE decise che poteva considerarsi, al momento, concluso il VIAGGIO in BASILICATA.
Detto ciò mi piace ricordare alcuni periodi tratti dalla prefazione che Michele Dell’Aquila nel 1981 scrisse per il libro che vinse il Premio Basilicata: ‘Il libro va accolto dagli studiosi con gratitudine e simpatia anche perché - si direbbe - il Nigro lavora per essi più che per sé’. Il prof. Dell’Aquila terminava con queste parole il suo intervento accorato (solo alcuni mesi prima vi era stato il devastante terremoto che aveva colpito la Basilicata) e sobrio intervento: “Nigro - che è studioso e uomo di cultura versatile, impegnato su più fronti del fare letterario, anche quello creativo - saprà tornare su questo materiale che ora offre con generosità all’attenzione degli specialisti; e lo farà con l’intelligenza e lo scrupolo che gli riconosciamo. Al momento, quel che importa - e va segnalato il pericolo fattosi più grande per le distruzioni e i crolli di antiche dimore nel recente terremoto - è lo slancio e l’impegno civile, oltre che culturale, dell’operazione, ‘il lungo studio e il grande amore’ che gli han fatto‘ cercare’ i volumi dei padri”.
Il prof. Dell’Aquila ben trentacinque anni fa aveva visto giusto: IN NOME DEI PADRI.