'Notte Verde', o l’utopia possibile


di FRANCESCO GRECO - CASTIGLIONE D’OTRANTO (LE). “L’infinitamente lontano è il ritorno”, (Lao-Tzu).  Alla VI performance la “Notte Verde” si cala la maschera e svela la sua intima, ricca etimologia, il concept barocco che la anima, si direbbe quasi il nucleo segreto della sua mission.
 
Non è più un’esposizione del “pensiero verde” e dintorni, la sovrapposizione di piccole provocazioni quotidiane: agromafie e poesie, pomi e sapienze antiche, asini antropomorfi e pastori a guardia delle terre contro il fuoco amico, idee e visioni, biodiversità di una terra ricca, dove i frutti hanno più sapore perché sfiorati dal mare.
 
Sfida pur necessaria a contrastare le patologie e aberrazioni della globalizzazione da discount che porta cibo trattato con pesticidi, diserbanti, coloranti (spesso fuorilegge). Le miserie dell’agricoltura intensiva, del profitto innanzitutto.
 
“Solo lo sciocco pensa che coltivare sia facile…”, (Lucio Giunio Columella, 4-70 d. C.). Dai cereali sulla terra “rubata” al deserto che avanza all’amianto assassino (asbestosi), la “Zona non avvelenata” (un manifesto politico) e i frutti minori donati a tutti, poi i migranti che trovano ascolto e dignità, si direbbe pietas cristiana (o laica) e forse vaghe ipotesi di futuro, le declinazioni della canapa e gli audiovisivi; ancora il pane profumato che sazia solo con l’odore e gli antichi mestieri (tutti ne conosciamo almeno uno, il padre di chi scrive, Cosimo, intrecciava le sedie di paglia) e Demetra generosa e saggia che cura i nostri mali vecchi e nuovi, del corpo e dello spirito.
 
O non è solo questo, ma anche, o soprattutto, “altro”. Dire che a Castiglione si contamina Columella con Fukuoka e Malthus (1776-1834) con David H. Thoreau (1817-1862) e Lucrezio (90-54 a. C.), è un’ovvietà, è riduttivo. Perché qui c’è l’aleph, il nirvana, la serendipity. E l’incanto, la fiaba, la magia, la formula alchemica segreta donata a tutti.
 
La “Notte” cresce all’ombra del tempio di Athena: il topos s’è trasfigurato in altro da sé, come Prometeo che ruba il fuoco agli dei e si libera dai legacci. E’ il laboratorio dell’utopia possibile, un’opzione esistenziale, è un’etica socializzante, un’estetica condivisa, un’idea di vita “altra”, alternativa, per tutti, orizzontale, senza l’autoreferenzialità della nicchia, è un format, l’algoritmo o, a usare parole grosse: una nuova forma di religione, di filosofia di vita che le raggruma tutte.
 
“Nessuna lavorazione, nessun concime chimico o compost, né diserbante né erpice…”, (Masanodu Fukuoka, 1913-2008). Kalispera “Notte”, un mondo a parte, un cosmo inesplorato, col tuo ethos e l’epos, agorà del pensiero razionale, modernizzante. Sotto l’aspetto semantico: una Torre di Babele senza bisogno di spelling, alle cui radici ogni anno s’accovacciano felici a migliaia, Shukran!, con lo sguardo di luce, ansiose di vedere, toccare, provare piacere, orgasmi multipli dalla riconciliazione con la terra, da un panteismo finalmente gratificante: corsi e ricorsi, Virgilio, Lucrezio, Attilio Biasco (1882-1959) avevano ragione: ci han dato la password.
 
“Jolie, très jolie…”, sorride l’antropologa parigina Francoise Serrero: Kalòs irtate! E se “Ogni luogo è il centro del mondo” (Alce Nero), da una piazzetta raccolta a un angolo nascosto a un vecchio palmento ancora odoroso di mosto, tutto è segno, e sogno. E bellezza, viva, dialettica, dolce energia universale, magnetismo. Emozioni forti, totalizzanti, e per viverle tutta la notte occorre un cuore sano (che il buon cibo può dare) e l’innocenza degli occhi.

Attraversare la selva di messaggi e contaminazioni, di odori e sapori (cibo da dei i pezzetti di cavallo di Vardaceli), luci e suoni che avvolge come il morbido peplo di Idomeneo, noi e lo straniero, i figli degli emigranti (“Geshlossen italien”) e i migranti (“Terroristi!”) in cerca del Sacro Graal.
 
Deliziose alchimie, un seducente intreccio di echi da deserti lontani, di citazioni subliminali da altre culture, popoli, rimandi di altre epoche e imperi, di illuminazioni e grida che giacciono quiete dentro di noi dal tempo di Federico e i falconi, i carlini, i ducati. Grumo semantico di valori non relativizzati, postulati, “visioni” scagliate nel domani ch’è già qui nel risorto cece di Nardò e la zappa del futuro, sotto la luna che solleva il mare di Idrusa e Leucasia e le vaghe stelle dell’Orsa e il canto della civetta e le vestali che tengono vivo il fuoco degli dei.
 
Terra d’Otranto ha il popolo della Taranta, della Focara (Novoli), il fuoco purificatore (Zollino) e le “panare” (Spongano), delle luci di Santa Domenica (Scorrano), del Carnevale di Gallipoli, come del rustico, il dolce pasticciotto e la simmeddhra (il pane che le dee rubarono alle massaie di Leucadia), Santu Paulu meu de le tarante a Galatina e l’impertinente Papacajazzu da Lucugnano che pizzicava le caruse proprio là. Icone cool, antiche e nuove: il dio Baath che danza nelle viscere di Badisco, i briganti e le brigantesse, le macàre (streghe) e le fatture, i dispettosi, lussuriosi municeddhi (folletti) e i gechi sulle nostre teste e le sirene. In una continua rinascita, perché qui si “ascolta la terra” pur senza l’ammonimento di Francesco e Bartolomeo.
 
E poi le folle melting-pot (e multitasking) della “Notte Verde” che abbraccia il tutto in un puzzle delirante e folle, racchiudendo i topoi identitari di una terra antica, nobile, pregna, mistero svelato a noi stessi aborigeni che non sapevamo, non sospettavamo.
 
Come le vie del sale, della seta, il tabacco, l’olio, il vino, la pietra, le case dei nostri geni (Bodini e Comi, Barba e Carmelo Bene, Maria Corti a Salvatore Toma, Rina Durante e Claudia Ruggeri, Ennio e Livio, Tito Schipa e De Candia), i ragazzi della “Casa delle AgricUlture Tullia e Gino” hanno aperto altre vie, come in un suk mediorientale, la casbah di Algeri, i vicoli del Cairo, i giardini di Babilonia. Dove ieri c’erano le prefiche oggi s’intravedono lacerti di futuro, impossibili sfide di titani. Il caos è apparente, l’otium creativo il nostro format di sempre, le “friseddhre” le nostre madeleine.
 
“Spesso giovò bruciar lo steril campo…”, (“Bucoliche”, Virgilio, 70-19 a. C.). Tutto ciò è possibile perché i mitici ragazzi di Castiglione, “lucertole dalla faccia di dado”, hanno capito che si può abitare il futuro, governarlo, ascoltando il cuore insonne del passato. Geniale intuizione tener lontana la “Notte” dalla politica ch’è squallore, miseria, perversioni, servilismi, coming out di bruttezza e volgarità. Ne avrebbe fatto carne di porco, come il peggior diserbante, iprite, napalm. E invece la “Notte” è viva e lotta insieme a noi. E lo sarà per il tempo che verrà ancor più ricca, se possibile, di sfide e “visioni”.  
 
Intanto, in 100mila, unti del kharna intenso della terra, felici di esserci ancora, vagano in trance per le viuzze del “santuario” laico ch’è divenuto Castiglione, mosaico vivo e pulsante di voci e suoni, caleidoscopio di umori, profumi densi, grezzi canovacci di vissuti, intreccio di dialetti di meridiani lontani, lune di pianeti distanti anni-luce, tavolozza di colori pazzi, geni mescolati alla rinfusa, dna fusi in un brodo primordiale, zuppa di particelle e bosoni d’altri mondi misteriosi.
 
E anche quest’anno, graziaddio, è andata: la “messa” pagana è finita, il popolo della “Notte” ha sacrificato a Demetra sull’ara pagana e ora s’infratta nelle tenebre pigro e sensuale, lo sguardo colmo di grazia - grati a chi ha lavorato per questo dono - in una terra “liquida” dove amiamo i silenzi e sappiamo ascoltare l’altro, dove nessuno è solo, e chi può dire “Ho fame” senza che qualcuno gli metta qualcosa nel piatto: non quel che avanza, ma i frutti più belli, spesso levandoli di bocca ai suoi figli? Non vengono qui per il mare, ma anche per questa dolcezza sottintesa, militante, che illumina i sorrisi del nostro popolo. Il dono fa felice più chi lo fa che chi lo riceve. Per noi Greci l’ospite è sacro, e cosa c’è di più bello del condividere il poco che si ha, affinché tutti siano felici, oggi, qui, subito? Non è un acconto d’immortalità, ingannare la Mietitrice?  
 
Questa è la Storia, anno 2017, XXI secolo, sospesi fra Europa e Mediterraneo, questi sono i nostri uomini e le donne unte del sale del mare di Enea, nel cuore segreto del tempo dono degli dei.
 
Kalinitta Castiglione dei pionieri, la frontiera, il cuore oltre l’ostacolo: qui siete avanti nel tempo (l’orologio in piazza è 20 minuti avanti). A notte alta c’è solo da ripulire i vicoli, poi stipare un po’ di lievito-madre per il pane che verrà, un ultimo brindisi alla terra che ci mantiene e nutre senza chiedere nulla se non amore, alla vita che scorre gioiosa, al domani da scrivere (“Chi vuol esser lieto sia”) ch’è già qui, che ci toccherà in sorte, col nostro vino di malvasia. Ci si rivede nel 2018, a “Finibus Terrae”, dove tutto ricomincia, perché “l’infinitamente lontano è il ritorno”. Inshallah!

(Ph Gianluca Carluccio)

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