BARI - Il segretario provinciale dell’Ugl Foggia, Gabriele Taranto, interviene a margine del via libera definitivo al Reddito di Inclusione sociale emanato dal Consiglio dei Ministri quale nuovo strumento di lotta contro la povertà indirizzato ad una platea potenziale di 4,6 milioni di persone e 1,8 milioni di famiglie a rischio di esclusione sociale che, se in possesso dei requisiti, potranno beneficiare di un assegno mensile da 190 fino a 485 euro e per un massimo di 18 mesi, a partire dal primo gennaio 2018.
Per il sindacalista, “con questa misura, il Governo ha certificato che l'Italia è un Paese povero, in barba a tutti i segnali di ripresa propagandati e che, probabilmente, lo sarà almeno per i prossimi due anni vista la durata del provvedimento. Alla base, insistono dubbi sulla reale efficacia di uno strumento con ambiziosi obiettivi di politica sociale, che vuole interagire attraverso l’elaborazione di un fattivo piano industriale per il Paese, indicandone le direttive per lo sviluppo economico”.
“Più nello specifico – evidenzia Taranto - il Reddito d’Inclusione, sostituendo il Sia (Sostegno d’inclusione attiva) e l'Asdi, l’Assegno sociale di disoccupazione destinato ai beneficiari di Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego), escluderebbe una consistente platea di lavoratori e famiglie perché, una volta esaurito il periodo di Naspi, registrerebbero un Isee superiore ai limiti di legge”. Potranno infatti beneficiare del Rel i nuclei familiari con Isee non superiore ai 6mila euro, con tetto a 3mila per la parte reddituale, con un valore del patrimonio immobiliare diverso dalla prima casa non superiore ai 20mila euro, fino a un valore massimo che oscilla tra i 6mila e i 10mila euro, a seconda del numero dei componenti del nucleo. All’inizio verrà data priorità alle famiglie con figli minorenni o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati over 55.
“Ad un giudizio di merito ampiamente positivo sull’individuazione di una rete per la protezione ed inclusione sociale affiancata da un comitato per la lotta alle povertà – osserva il segretario -, fa sponda l’impressione più critica rispetto il plafond finanziario di 1,7 miliardi depotenziato rispetto alla portata del fenomeno, e a criticità sistemiche e burocratiche legate ad una intermittente capacità di coordinamento tra capitale umano e le strutture operative che entreranno nel sistema”.
“Problemi che, come Caf, abbiamo visto moltiplicarsi e perdersi nella indeterminatezza degli interlocutori a cui rivolgersi anche solo per disguidi tecnici, lavorando sulla misura del Reddito di Dignità avviato in Puglia. Uno strumento che, a distanza di un anno, sembra assumere le dimensioni di un catafalco burocratico che alterna lunghi periodi di stallo, a timidi segnali di ripresa connessi più alla sfera pubblica del no-profit che a quella dell’impresa privata. La Regione, intanto, a fronte di un carico gestionale sottostimato in rapporto all’offerta, si trova oggi nella necessità di assumere a tempo determinato altro personale che lavori le pratiche presentate da cittadini e soggetti ospitanti.
In particolare, rileva il segretario Ugl Foggia,“secondo gli ultimi dati Istat che aggiornano al 20 luglio 2017 gli ‘Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo’ in Puglia, l’indice di povertà misurato tra il 2014 e il 2016 risulta essere rispettivamente del 23.1, 22.2, e 21.9 per cento, a fronte di un tasso di disoccupazione totale del 22.8, 20.1 e 17.1 per cento, facendo registrare una flessione negativa progressiva di quasi un punto medio percentuale all’anno.Valori ancora lontani dai livelli pre-crisi, prima di poter parlare di ripresa, al netto di un aumento degli occupati tra le file degli over 55enni per effetto del prolungamento dell’età pensionabile seguito al quadro normativo introdotto dalla Legge Fornero. In buona sostanza si nota un decremento dell’ordine dello ‘zero virgola’, se paragonato ad un’operazione di trasferimento del reddito dal maggiore impatto sulle finanze pubbliche, e a un livello di disuguaglianza e povertà che cresce e decresce di pari passo alla mancanza di lavoro. E’ difficile pensare che il sistema assistenziale della sola incentivazione sia capace di incrementare il capitale sociale a disposizione, presente e futuro”.
“Sotto diversi aspetti – prosegue Taranto -, il Red potrebbe rivelarsi più una politica passiva del lavoro basata prevalentemente sul travaso e lo spostamento di incentivi pubblici all’interno di un regime fiscale di dubbia sostenibilità rispetto al reale reddito disponibile delle famiglie e a un sistema welfare ancora poco efficace nella riduzione del divario sociale. Così, nella prospettiva di muoversi verso un sistema che generi valore e occupazione, andrebbe allontanato il rischio che il Red diventi un motore di politica attiva del lavoro truccato. Per queste ragioni, è fortemente auspicato il confronto reciproco con i soggetti interessati e le amministrazioni regionali e locali, affinché si realizzino, in breve tempo, azioni in grado di accelerare lo sviluppo e creare nuova occupazione nei territori circostanti e nelle aree svantaggiate. La sensazione, infine, è che in questo territorio non sia presente una vera valutazione d’impatto della spesa per la povertà , quando invece risorse pubbliche e private già presenti, se ben spese e valorizzate, potrebbero rappresentare un prezioso investimento nel capitale umano delle comunità locali dove risulta più grave la condizione di deprivazione ed esclusione sociale”, conclude.
Per il sindacalista, “con questa misura, il Governo ha certificato che l'Italia è un Paese povero, in barba a tutti i segnali di ripresa propagandati e che, probabilmente, lo sarà almeno per i prossimi due anni vista la durata del provvedimento. Alla base, insistono dubbi sulla reale efficacia di uno strumento con ambiziosi obiettivi di politica sociale, che vuole interagire attraverso l’elaborazione di un fattivo piano industriale per il Paese, indicandone le direttive per lo sviluppo economico”.
“Più nello specifico – evidenzia Taranto - il Reddito d’Inclusione, sostituendo il Sia (Sostegno d’inclusione attiva) e l'Asdi, l’Assegno sociale di disoccupazione destinato ai beneficiari di Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego), escluderebbe una consistente platea di lavoratori e famiglie perché, una volta esaurito il periodo di Naspi, registrerebbero un Isee superiore ai limiti di legge”. Potranno infatti beneficiare del Rel i nuclei familiari con Isee non superiore ai 6mila euro, con tetto a 3mila per la parte reddituale, con un valore del patrimonio immobiliare diverso dalla prima casa non superiore ai 20mila euro, fino a un valore massimo che oscilla tra i 6mila e i 10mila euro, a seconda del numero dei componenti del nucleo. All’inizio verrà data priorità alle famiglie con figli minorenni o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati over 55.
“Ad un giudizio di merito ampiamente positivo sull’individuazione di una rete per la protezione ed inclusione sociale affiancata da un comitato per la lotta alle povertà – osserva il segretario -, fa sponda l’impressione più critica rispetto il plafond finanziario di 1,7 miliardi depotenziato rispetto alla portata del fenomeno, e a criticità sistemiche e burocratiche legate ad una intermittente capacità di coordinamento tra capitale umano e le strutture operative che entreranno nel sistema”.
“Problemi che, come Caf, abbiamo visto moltiplicarsi e perdersi nella indeterminatezza degli interlocutori a cui rivolgersi anche solo per disguidi tecnici, lavorando sulla misura del Reddito di Dignità avviato in Puglia. Uno strumento che, a distanza di un anno, sembra assumere le dimensioni di un catafalco burocratico che alterna lunghi periodi di stallo, a timidi segnali di ripresa connessi più alla sfera pubblica del no-profit che a quella dell’impresa privata. La Regione, intanto, a fronte di un carico gestionale sottostimato in rapporto all’offerta, si trova oggi nella necessità di assumere a tempo determinato altro personale che lavori le pratiche presentate da cittadini e soggetti ospitanti.
In particolare, rileva il segretario Ugl Foggia,“secondo gli ultimi dati Istat che aggiornano al 20 luglio 2017 gli ‘Indicatori territoriali per le politiche di sviluppo’ in Puglia, l’indice di povertà misurato tra il 2014 e il 2016 risulta essere rispettivamente del 23.1, 22.2, e 21.9 per cento, a fronte di un tasso di disoccupazione totale del 22.8, 20.1 e 17.1 per cento, facendo registrare una flessione negativa progressiva di quasi un punto medio percentuale all’anno.Valori ancora lontani dai livelli pre-crisi, prima di poter parlare di ripresa, al netto di un aumento degli occupati tra le file degli over 55enni per effetto del prolungamento dell’età pensionabile seguito al quadro normativo introdotto dalla Legge Fornero. In buona sostanza si nota un decremento dell’ordine dello ‘zero virgola’, se paragonato ad un’operazione di trasferimento del reddito dal maggiore impatto sulle finanze pubbliche, e a un livello di disuguaglianza e povertà che cresce e decresce di pari passo alla mancanza di lavoro. E’ difficile pensare che il sistema assistenziale della sola incentivazione sia capace di incrementare il capitale sociale a disposizione, presente e futuro”.
“Sotto diversi aspetti – prosegue Taranto -, il Red potrebbe rivelarsi più una politica passiva del lavoro basata prevalentemente sul travaso e lo spostamento di incentivi pubblici all’interno di un regime fiscale di dubbia sostenibilità rispetto al reale reddito disponibile delle famiglie e a un sistema welfare ancora poco efficace nella riduzione del divario sociale. Così, nella prospettiva di muoversi verso un sistema che generi valore e occupazione, andrebbe allontanato il rischio che il Red diventi un motore di politica attiva del lavoro truccato. Per queste ragioni, è fortemente auspicato il confronto reciproco con i soggetti interessati e le amministrazioni regionali e locali, affinché si realizzino, in breve tempo, azioni in grado di accelerare lo sviluppo e creare nuova occupazione nei territori circostanti e nelle aree svantaggiate. La sensazione, infine, è che in questo territorio non sia presente una vera valutazione d’impatto della spesa per la povertà , quando invece risorse pubbliche e private già presenti, se ben spese e valorizzate, potrebbero rappresentare un prezioso investimento nel capitale umano delle comunità locali dove risulta più grave la condizione di deprivazione ed esclusione sociale”, conclude.