di LIVALCA - Avevo letto in quel di Milano, sul settimanale diretto dal nisseno Giorgio Mulè, del libro «Attenti al Sud»( PIEMME, 2017) e subito avevo considerato che il Nord avrebbe ‘sbraitato’ al solito spreco di intelligenze dal momento che erano stati messi in campo ben mezza dozzina di intellettuali meridionali per la confezione di un libro. In verità l’articolo di Panorama - a firma Gangemi, uno dei quattro autori del libro insieme a Pino Aprile (Puglia), Maurizio de Giovanni (Campania) Raffaele Nigro (Basilicata), con postfazione di Giorgio Mulè (Sicilia) ed a cura di Antonio Carnevale – si occupava di ‘ndrangheta’ e giustizia che, il calabrese ingegnere-scrittore risiedente a Palmi, affermava subire e vivere come un incubo, angoscia e oppressione. Rientrato a Bari ho acquistato il libro scoprendo che il curatore, il giornalista Antonio Carnevale, è nato a Milano: quindi il libro è stato scritto da 5 meridionali, ma partorito da un settentrionale… questa ‘mescolanza’ mi affascina e mi fa sentire vicinissimo a Galli della Loggia quando afferma che: «…senza il Sud non esiste neppure l’Italia». Correttamente dovrei andare sul motore di ricerca e magari scoprire che il Carnevale ha radici ‘nostre’, ma Gianni adopera un solo modo - motore non mi piace - di ricerca: la sua Cavalli(na) svanita memoria. La copertina non mi esalta, eppure non si dimentica (…come quando, da liceali, Pipino Pedone diceva “…è bruttina, ma femmina che non si dimentica…” e ti perseguita, quasi ad evocare quel sangue che traSUDa da ogni pagina e che ha un solo DNA: la nostra Bandiera nazionale e la nostra Costituzione che all’art. 5 recita «…La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali…»
Carnevale nelle tre pagine introduttive - qualora fossero di più mi scuso, ma il libro è andato ad arricchire la biblioteca di uno dei tanti amici di rafnig che considerano la mia scrivania solo un transito di carte - dimostra saggezza pugliese-putignanese (Carnevale unico al mondo!) e in maniera velata fa capire che i nostri figli che vivono a Milano aumentano il portafoglio meneghino-meridionale contribuendo a creare, formare e produrre idee e prodotti che consumerà il Sud e via dicendo, in una ‘mescolanza’ che giova al paese.
Il ‘terrone-carnefice’ Pino Aprile da Gioia del Colle - la mia memoria-smemorata lo collocava tra i giovani che avevano avuto ‘Il Galletto’ di Aurelio Papandrea come palestra, ma evidentemente erravo - nella sua nota biografica che riporto (a memoria) cita: «...a 20 anni entro alla ‘Gazzetta del Mezzogiorno’: non avevo mai toccato (figurarsi leggere) un quotidiano in vita mia».
Sarebbe bello che Aprile - oggi che ha ampiamente riscattato il ‘regalo’ ricevuto - ci spiegasse chi fu il ‘santo’ che operò il miracolo…conosco tanti giovani che, in quel 1970, avrebbero fatto ‘carte false’ per salire le scale del ‘distrutto’ palazzo di piazza Roma (oggi Moro).
Non voglio entrare in polemica con colui che ha scritto il libro più interessante, informato, documentato, attendibile e ‘godibile’ dell’ultimo lustro (Terroni), ma il suo rilievo nell’ “Elogio dell’imbecille” - avendo edito molti volumi con le Università spagnole, non capisco perché fu un caso editoriale in Spagna! - in cui in sostanza afferma che gli stupidi hanno tutte le porte aperte e, quasi sempre, raggiungono il successo viene smentito dal caso PINO APRILE: un intelligente che ha avuto, come merita e meritava, il giusto successo.
Che poi non sempre, quelli che meritano, raggiungano il successo non penso sia ascrivibile agli stupidi, ma ai casi della vita. Chiaramente non faccio mia la battuta che recita che tutti gli imbecilli di casa nostra si siano assicurati uno ‘scanno’, perché in quel caso sarebbero dritti, scaltri, furbi e chi scrive non ha mai generalizzato, anzi preciso che, spesso, su ‘scranni’ (questa volta mi servo della r per rafforzare il concetto) ho incontrato, anche, onesta, valida e brava gente. Non scendo nei particolari perché i miei amici lettori non capirebbero -o sarebbe meglio dire capirebbero qualora avessero letto il libro - ma mi sento di dire allo scrittore Aprile che si chiede a proposito della Natura: «Scusate di cognome Natura, e di nome come fa?» che non può non sapere che il nome è Natura, come la Mozzarella di Gioia fa di nome e cognome: Mozzarella.
A Matera la gente non voleva abbandonare i ‘Sassi’ per le nuove dimore, al pari dei cittadini baresi della città vecchia che non volevano andare al Cep-San Paolo. ‘Restanza’?
Caro Aprile parlando di Matteo Salvatore - da te non precisamente definito ‘l’Omero analfabeta del Tavoliere’, dimenticando che Apricena è situata tra il Tavoliere delle Puglie e il Gargano e fa parte del Parco Nazionale della Montagna sacra (Elogio dell’errore?) - hai detto una verità inoppugnabile: «Ha scritto la più bella canzone d’amore di tutti i tempi’ Lu bene mio’»; verità discutibile, quasi falsa, quando affermi che Dalla - con Arbore ha contribuito al recupero della musica del cantastorie - aveva il padre che parlava il dialetto garganico (La signora Fiorella Fantuzzi, figlia della signora Lina che fu socia della mamma del Lucio targato 4 marzo 1943 in una famosa sartoria, ha sempre ribadito essere una favola quella che identifica il padre nell’ex sindaco di S. Giovanni Rotondo Francesco Morcaldi, dal momento che il padre del cantante di nome faceva Giuseppe e viveva a Bologna).
Non posso dilungarmi su Aprile e la sua ottimistica branca dell’antropologia che si chiama ‘Restanza’, ma non posso esimermi dal concordare con lui che il primo disco jazz della storia dell’umanità è ‘griffato’ Nick La Rocca, figlio di un siciliano di Salaparuta (Trapani), bersagliere di La Marmora e ciabattino a New Orleans (avendo espletato il servizio militare nei bersaglieri, mi sento parte in causa).
Maurizio de Giovanni ha il fisico del pallanuotista e mi ricorda il mitico ‘settebello’, ma deve tutto al suo commissario Ricciardi, non prima di aver lavorato in banca, e ai Bastardi di Pizzofalcone (ecco chiarito perché mi ricorda la pallanuoto e il mitico Eraldo Pizzo!). La sua ‘militanza’ è una casacca che indosso da quando decisi che un SUDista doveva rendere felici tutti noi, oltre che il suo ego (mi manca lo spazio necessario per spiegare, ma mi basta che lo intentano i cavalieri che abbiamo messo in sella e che lo sono ancora!) e mi associo «Il meridionale si ricordi sempre che essere meridionale è la sua forza» e poi ‘quanto è bella la Campania lei non lo sa’: Pompei, Ercolano, Caserta, Ischia, Capri, Procida, Capodimonte, Costiera Amalfitana e Sorrentina ecc. ecc. Del tifoso napoletano de Giovanni voglio solo segnalare un romanzo che il prossimo anno diventerà un successo strepitoso, proprio nel giorno in cui la squadra di calcio vincerà lo scudetto più meritato della propria storia, giocando il miglior calcio d’Europa. Il romanzo ha per titolo ‘Il resto della settimana’ e sarà l’inno di tutte le squadre meridionali che aspirino, Bari in testa, a quella serie A…che non è solo una lettera dell’alfabeto calcistico. Anche in questo caso a vincere sarà la ‘mescolanza’ tra i napoletani Sarri e Insigne, gli spagnoli Albiol, Callejòn e Reina, i brasiliani Allan e Jorginho (naturalizzato italiano), il francese naturalizzato algerino Ghoulam, l’algerino naturalizzato francese Ounas, l’albanese Hysaj, il senegalese Koulibaly, lo slovacco Hamsik e il belga Mertens.
All’ingegnere Cangemi mi permetto di affermare che il fattaccio accaduto nel 1991 in Val Camonica, dove un solerte maresciallo non riusciva a comprendere cosa ci facesse uno nato a Santa Cristina d’Aspromonte in vacanza in quel luogo, è figlio di quella mancata ‘mescolanza’ che oggi come allora tarda a verificarsi (nel 1970 noi quattro ragazzi baresi fummo fermati in Svizzera dai gendarmi perché vi era una bottiglia nel lago…vicino dove noi eravamo seduti; mio fratello, messo a tacere il mio carattere fumantino, con il suo pragmatismo risolse il problema...lui non si era posto il dilemma perché le forze di polizia avessero preso proprio noi e non i ragazzi veneziani, inglesi e olandesi che facevano parte del gruppo; in seguito scoprimmo che i tutori della legge iniziarono da noi e continuarono con altri ragazzi nella ricerca del padrone della famigerata bottiglia: a mio parere non vi fu giusta ‘mescolanza’ solo all’inizio dell’operazione).
Su Giorgio Bocca acqua in bocca: ci sono i suoi libri a testimoniare un concetto di Sud da “male oscuro” e non un amore sconfinato per la Calabria; in questo caso ritengo che la ‘mescolanza’ avrebbe fallito: bisogna volerlo entrambi il contagio e non penso vi fosse disponibilità in chi aveva scritto «…Che San Luca sia un paese di sequestratori lo si vede dalle sue case…». Gli eventi hanno portato gli abitanti della Calabria a diffidare nei rapporti di amicizia “Hhai mu ti mangi ‘na sarma’ i Sali mu scandagghji si nu cori jiè fidili” (Questo proverbio è tratto da un recente volume di Rocco Salvatore Matarozzo ‘ Proverbi e detti calabresi’; l’autore, nativo di Laureana di Borrello (RC) ma a Bari dal 1971, ha voluto testimoniare alla sua terra l’amore sconfinato che prova per una cultura che indossa ogni giorno e che lo ha portato a raggiungere mete professionali che vuol condividere con gli affetti rimasti in loco. Gangemi batti un colpo e ti spedisco il libro; non posso ‘tradurre’ il proverbio perché offenderei i calabresi e le altre regioni italiane scoprirebbero che anche loro hanno un proverbio simile e aspirerebbero alla citazione: viva la ‘mescolanza’).
Di Raffaele Nigro, di cui sono amico da oltre otto lustri, posso dire che mi ha ‘toccato’ leggere nella biografia la citazione per ‘Fragile’, rivista che ho diretto ed edita, in un periodo in cui era difficile dare visibilità a tutto ciò che aveva a che fare con una ‘letteratura’ poco convenzionale, testata distribuita in omaggio per cui ha raggiunto ogni latitudine. Raffaele in poche pagine (77-97…giocate 77 e 79 e buona fortuna!) ha sollevato centinaia di problemi e tesi, su cui si può convergere o dissentire, ma questo fa parte del gioco delle parti. La ‘fuganza’ di cui parla Nigro noi la respiriamo giornalmente con i figli, ma è una fuga positiva che deve dare vita a quella ‘mescolanza’ positiva, grazie alla quale, tanti valenti scrittori hanno potuto incontrare, e non scontrarsi, con realtà che hanno permesso loro di andare e tornare da uomini di successo. Nigro, la tua ultima chiosa rivendicativa - in un saggio lucido, onesto, scrupoloso e colto nella ricostruzione letteraria, che ha messo, momentaneamente, il romanziere da parte - non aiuta la causa in questo momento; parlare di spoliazione della Basilicata a vantaggio di Puglia e Calabria è un pugno (in cui è molto difficile trovare la carezza nascosta) alla ’vita’ della ‘mescolanza’. Non dobbiamo essere ‘Attenti al Sud’, ma attenti ai Salvini, Zaia, Maroni: la ‘Catalogna’ è dietro l’angolo.
Al direttore di Panorama potrei obiettare che non sarei così convinto che i lettori del suo newsmagazine abbiano apprezzato questa trasformazione che è «diventata una bandiera dell’innovazione nell’editoria italiana», ma sarebbe una critica generazionale (più di tre lustri anagrafici di differenza) ed inutile, oltre che dannosa per la ‘mescolanza’ da raggiungere.
«Raggiungere la città dei Sassi è difficile in automobile, è faticoso in treno, è impossibile in aereo» sono parole di Giorgio Mulè, ma per i meridionali queste difficoltà non riguardano solo Matera: la ‘mescolanza’ dovrà contribuire a superare questo… piccolissimo, insignificante impedimento.
La risposta viene dal milanese Antonio Carnevale (senz’altro figlio della ‘mescolanza’, con genitori o nonni meridionali) che recita: ‘Un paese che, appunto, senza il meridione, non sarebbe più il nostro’. Non solo un punto, ma un punto fermo da cui ripartire.
Il libro «Attenti al Sud», giudicato da un punto di vista grafico, si presenta come quei testi in cui devi fare in modo che risultino più pagine perché il materiale è poco: giustezza piccola, notevole spazio fra le righe, carta riciclata da 100 g, cartonato e sovraccoperta (diciamo che due trentaduesimi sarebbe stata la giusta collocazione). Questa l’impressione che si riceve a prima vista e certamente l’intento legittimo di chi ha ideato il progetto: unico neo questi stratagemmi di solito servono a coprire un testo carente, che deve apparire perché privo di sostanza; nel nostro caso il libro va studiato, riletto, rispolverato (nel mio caso ricomprato) e considerato una tappa in una partita in cui vi è in palio qualcosa in più dell’apparire e dell’appartenenza regionale: NON VOGLIAMO PIÙ SENTIRE PARLARE DI CATTEDRALI NEL DESERTO.
Carnevale nelle tre pagine introduttive - qualora fossero di più mi scuso, ma il libro è andato ad arricchire la biblioteca di uno dei tanti amici di rafnig che considerano la mia scrivania solo un transito di carte - dimostra saggezza pugliese-putignanese (Carnevale unico al mondo!) e in maniera velata fa capire che i nostri figli che vivono a Milano aumentano il portafoglio meneghino-meridionale contribuendo a creare, formare e produrre idee e prodotti che consumerà il Sud e via dicendo, in una ‘mescolanza’ che giova al paese.
Il ‘terrone-carnefice’ Pino Aprile da Gioia del Colle - la mia memoria-smemorata lo collocava tra i giovani che avevano avuto ‘Il Galletto’ di Aurelio Papandrea come palestra, ma evidentemente erravo - nella sua nota biografica che riporto (a memoria) cita: «...a 20 anni entro alla ‘Gazzetta del Mezzogiorno’: non avevo mai toccato (figurarsi leggere) un quotidiano in vita mia».
Sarebbe bello che Aprile - oggi che ha ampiamente riscattato il ‘regalo’ ricevuto - ci spiegasse chi fu il ‘santo’ che operò il miracolo…conosco tanti giovani che, in quel 1970, avrebbero fatto ‘carte false’ per salire le scale del ‘distrutto’ palazzo di piazza Roma (oggi Moro).
Non voglio entrare in polemica con colui che ha scritto il libro più interessante, informato, documentato, attendibile e ‘godibile’ dell’ultimo lustro (Terroni), ma il suo rilievo nell’ “Elogio dell’imbecille” - avendo edito molti volumi con le Università spagnole, non capisco perché fu un caso editoriale in Spagna! - in cui in sostanza afferma che gli stupidi hanno tutte le porte aperte e, quasi sempre, raggiungono il successo viene smentito dal caso PINO APRILE: un intelligente che ha avuto, come merita e meritava, il giusto successo.
Che poi non sempre, quelli che meritano, raggiungano il successo non penso sia ascrivibile agli stupidi, ma ai casi della vita. Chiaramente non faccio mia la battuta che recita che tutti gli imbecilli di casa nostra si siano assicurati uno ‘scanno’, perché in quel caso sarebbero dritti, scaltri, furbi e chi scrive non ha mai generalizzato, anzi preciso che, spesso, su ‘scranni’ (questa volta mi servo della r per rafforzare il concetto) ho incontrato, anche, onesta, valida e brava gente. Non scendo nei particolari perché i miei amici lettori non capirebbero -o sarebbe meglio dire capirebbero qualora avessero letto il libro - ma mi sento di dire allo scrittore Aprile che si chiede a proposito della Natura: «Scusate di cognome Natura, e di nome come fa?» che non può non sapere che il nome è Natura, come la Mozzarella di Gioia fa di nome e cognome: Mozzarella.
A Matera la gente non voleva abbandonare i ‘Sassi’ per le nuove dimore, al pari dei cittadini baresi della città vecchia che non volevano andare al Cep-San Paolo. ‘Restanza’?
Caro Aprile parlando di Matteo Salvatore - da te non precisamente definito ‘l’Omero analfabeta del Tavoliere’, dimenticando che Apricena è situata tra il Tavoliere delle Puglie e il Gargano e fa parte del Parco Nazionale della Montagna sacra (Elogio dell’errore?) - hai detto una verità inoppugnabile: «Ha scritto la più bella canzone d’amore di tutti i tempi’ Lu bene mio’»; verità discutibile, quasi falsa, quando affermi che Dalla - con Arbore ha contribuito al recupero della musica del cantastorie - aveva il padre che parlava il dialetto garganico (La signora Fiorella Fantuzzi, figlia della signora Lina che fu socia della mamma del Lucio targato 4 marzo 1943 in una famosa sartoria, ha sempre ribadito essere una favola quella che identifica il padre nell’ex sindaco di S. Giovanni Rotondo Francesco Morcaldi, dal momento che il padre del cantante di nome faceva Giuseppe e viveva a Bologna).
Non posso dilungarmi su Aprile e la sua ottimistica branca dell’antropologia che si chiama ‘Restanza’, ma non posso esimermi dal concordare con lui che il primo disco jazz della storia dell’umanità è ‘griffato’ Nick La Rocca, figlio di un siciliano di Salaparuta (Trapani), bersagliere di La Marmora e ciabattino a New Orleans (avendo espletato il servizio militare nei bersaglieri, mi sento parte in causa).
Maurizio de Giovanni ha il fisico del pallanuotista e mi ricorda il mitico ‘settebello’, ma deve tutto al suo commissario Ricciardi, non prima di aver lavorato in banca, e ai Bastardi di Pizzofalcone (ecco chiarito perché mi ricorda la pallanuoto e il mitico Eraldo Pizzo!). La sua ‘militanza’ è una casacca che indosso da quando decisi che un SUDista doveva rendere felici tutti noi, oltre che il suo ego (mi manca lo spazio necessario per spiegare, ma mi basta che lo intentano i cavalieri che abbiamo messo in sella e che lo sono ancora!) e mi associo «Il meridionale si ricordi sempre che essere meridionale è la sua forza» e poi ‘quanto è bella la Campania lei non lo sa’: Pompei, Ercolano, Caserta, Ischia, Capri, Procida, Capodimonte, Costiera Amalfitana e Sorrentina ecc. ecc. Del tifoso napoletano de Giovanni voglio solo segnalare un romanzo che il prossimo anno diventerà un successo strepitoso, proprio nel giorno in cui la squadra di calcio vincerà lo scudetto più meritato della propria storia, giocando il miglior calcio d’Europa. Il romanzo ha per titolo ‘Il resto della settimana’ e sarà l’inno di tutte le squadre meridionali che aspirino, Bari in testa, a quella serie A…che non è solo una lettera dell’alfabeto calcistico. Anche in questo caso a vincere sarà la ‘mescolanza’ tra i napoletani Sarri e Insigne, gli spagnoli Albiol, Callejòn e Reina, i brasiliani Allan e Jorginho (naturalizzato italiano), il francese naturalizzato algerino Ghoulam, l’algerino naturalizzato francese Ounas, l’albanese Hysaj, il senegalese Koulibaly, lo slovacco Hamsik e il belga Mertens.
All’ingegnere Cangemi mi permetto di affermare che il fattaccio accaduto nel 1991 in Val Camonica, dove un solerte maresciallo non riusciva a comprendere cosa ci facesse uno nato a Santa Cristina d’Aspromonte in vacanza in quel luogo, è figlio di quella mancata ‘mescolanza’ che oggi come allora tarda a verificarsi (nel 1970 noi quattro ragazzi baresi fummo fermati in Svizzera dai gendarmi perché vi era una bottiglia nel lago…vicino dove noi eravamo seduti; mio fratello, messo a tacere il mio carattere fumantino, con il suo pragmatismo risolse il problema...lui non si era posto il dilemma perché le forze di polizia avessero preso proprio noi e non i ragazzi veneziani, inglesi e olandesi che facevano parte del gruppo; in seguito scoprimmo che i tutori della legge iniziarono da noi e continuarono con altri ragazzi nella ricerca del padrone della famigerata bottiglia: a mio parere non vi fu giusta ‘mescolanza’ solo all’inizio dell’operazione).
Su Giorgio Bocca acqua in bocca: ci sono i suoi libri a testimoniare un concetto di Sud da “male oscuro” e non un amore sconfinato per la Calabria; in questo caso ritengo che la ‘mescolanza’ avrebbe fallito: bisogna volerlo entrambi il contagio e non penso vi fosse disponibilità in chi aveva scritto «…Che San Luca sia un paese di sequestratori lo si vede dalle sue case…». Gli eventi hanno portato gli abitanti della Calabria a diffidare nei rapporti di amicizia “Hhai mu ti mangi ‘na sarma’ i Sali mu scandagghji si nu cori jiè fidili” (Questo proverbio è tratto da un recente volume di Rocco Salvatore Matarozzo ‘ Proverbi e detti calabresi’; l’autore, nativo di Laureana di Borrello (RC) ma a Bari dal 1971, ha voluto testimoniare alla sua terra l’amore sconfinato che prova per una cultura che indossa ogni giorno e che lo ha portato a raggiungere mete professionali che vuol condividere con gli affetti rimasti in loco. Gangemi batti un colpo e ti spedisco il libro; non posso ‘tradurre’ il proverbio perché offenderei i calabresi e le altre regioni italiane scoprirebbero che anche loro hanno un proverbio simile e aspirerebbero alla citazione: viva la ‘mescolanza’).
Di Raffaele Nigro, di cui sono amico da oltre otto lustri, posso dire che mi ha ‘toccato’ leggere nella biografia la citazione per ‘Fragile’, rivista che ho diretto ed edita, in un periodo in cui era difficile dare visibilità a tutto ciò che aveva a che fare con una ‘letteratura’ poco convenzionale, testata distribuita in omaggio per cui ha raggiunto ogni latitudine. Raffaele in poche pagine (77-97…giocate 77 e 79 e buona fortuna!) ha sollevato centinaia di problemi e tesi, su cui si può convergere o dissentire, ma questo fa parte del gioco delle parti. La ‘fuganza’ di cui parla Nigro noi la respiriamo giornalmente con i figli, ma è una fuga positiva che deve dare vita a quella ‘mescolanza’ positiva, grazie alla quale, tanti valenti scrittori hanno potuto incontrare, e non scontrarsi, con realtà che hanno permesso loro di andare e tornare da uomini di successo. Nigro, la tua ultima chiosa rivendicativa - in un saggio lucido, onesto, scrupoloso e colto nella ricostruzione letteraria, che ha messo, momentaneamente, il romanziere da parte - non aiuta la causa in questo momento; parlare di spoliazione della Basilicata a vantaggio di Puglia e Calabria è un pugno (in cui è molto difficile trovare la carezza nascosta) alla ’vita’ della ‘mescolanza’. Non dobbiamo essere ‘Attenti al Sud’, ma attenti ai Salvini, Zaia, Maroni: la ‘Catalogna’ è dietro l’angolo.
Al direttore di Panorama potrei obiettare che non sarei così convinto che i lettori del suo newsmagazine abbiano apprezzato questa trasformazione che è «diventata una bandiera dell’innovazione nell’editoria italiana», ma sarebbe una critica generazionale (più di tre lustri anagrafici di differenza) ed inutile, oltre che dannosa per la ‘mescolanza’ da raggiungere.
«Raggiungere la città dei Sassi è difficile in automobile, è faticoso in treno, è impossibile in aereo» sono parole di Giorgio Mulè, ma per i meridionali queste difficoltà non riguardano solo Matera: la ‘mescolanza’ dovrà contribuire a superare questo… piccolissimo, insignificante impedimento.
La risposta viene dal milanese Antonio Carnevale (senz’altro figlio della ‘mescolanza’, con genitori o nonni meridionali) che recita: ‘Un paese che, appunto, senza il meridione, non sarebbe più il nostro’. Non solo un punto, ma un punto fermo da cui ripartire.
Il libro «Attenti al Sud», giudicato da un punto di vista grafico, si presenta come quei testi in cui devi fare in modo che risultino più pagine perché il materiale è poco: giustezza piccola, notevole spazio fra le righe, carta riciclata da 100 g, cartonato e sovraccoperta (diciamo che due trentaduesimi sarebbe stata la giusta collocazione). Questa l’impressione che si riceve a prima vista e certamente l’intento legittimo di chi ha ideato il progetto: unico neo questi stratagemmi di solito servono a coprire un testo carente, che deve apparire perché privo di sostanza; nel nostro caso il libro va studiato, riletto, rispolverato (nel mio caso ricomprato) e considerato una tappa in una partita in cui vi è in palio qualcosa in più dell’apparire e dell’appartenenza regionale: NON VOGLIAMO PIÙ SENTIRE PARLARE DI CATTEDRALI NEL DESERTO.