di BEATRICE GALLUZZO - Venerdì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump volerà per la prima volta dall’inizio del suo mandato in Estremo Oriente, toccando Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine. Atteso per due importanti summit, ovvero l’ Asia-Pacific Economic Cooperation forum e il vertice dell’ASEAN, organizzazione che racchiude le nazioni del Sud-Est Asiatico, si pensa che The Donald metterà sul tavolo la questione più calda dello scacchiere asiatico, ovvero la riottosa Corea del Nord.
Pochi giorni fa a Seul, in vista dell’arrivo imminente del Numero Uno della White House, c’era il segretario della difesa James Mattis, che minacciava una "una risposta militare massiccia" nei confronti della Corea. E d’altronde i primi passi in questo senso sono stati già compiuti, dal momento che proprio a due giorni fa risale il dispiegamento di tre portaerei statunitensi- la Uss Nimitz, Uss Reagan e Uss Theodore Roosevelt- nell’Oceano Pacifico. Il direttore del Comando di stato maggiore statunitense Kenneth McKenzie aveva descritto la manovra in questi termini: “Non è una mossa diretta verso alcuna minaccia particolare, ma è una dimostrazione che possiamo fare qualcosa che nessuno al mondo può fare”, e comunque “è’ una prova di capacità unica che rassicura i nostri alleati nel Pacifico occidentale”.
In tutto questo, un dialogo particolarmente fruttuoso si avrà , probabilmente, con il riconfermato premier giapponese Shinzo Abe. Centrale per il Presidente è riuscire a cambiare quel famoso articolo 9 della Costituzione giapponese che impedisce al Paese di avere un esercito regolare e che sancisce una perpetua rinuncia alla guerra. Sta di fatto, però, che il Giappone è nelle mire balistiche di Kim Jong-Un, e da qui la volontà di trasformare, attraverso una modifica costituzionale, quelle forze di auto-difesa in qualcosa di più.
Pochi giorni fa a Seul, in vista dell’arrivo imminente del Numero Uno della White House, c’era il segretario della difesa James Mattis, che minacciava una "una risposta militare massiccia" nei confronti della Corea. E d’altronde i primi passi in questo senso sono stati già compiuti, dal momento che proprio a due giorni fa risale il dispiegamento di tre portaerei statunitensi- la Uss Nimitz, Uss Reagan e Uss Theodore Roosevelt- nell’Oceano Pacifico. Il direttore del Comando di stato maggiore statunitense Kenneth McKenzie aveva descritto la manovra in questi termini: “Non è una mossa diretta verso alcuna minaccia particolare, ma è una dimostrazione che possiamo fare qualcosa che nessuno al mondo può fare”, e comunque “è’ una prova di capacità unica che rassicura i nostri alleati nel Pacifico occidentale”.
In tutto questo, un dialogo particolarmente fruttuoso si avrà , probabilmente, con il riconfermato premier giapponese Shinzo Abe. Centrale per il Presidente è riuscire a cambiare quel famoso articolo 9 della Costituzione giapponese che impedisce al Paese di avere un esercito regolare e che sancisce una perpetua rinuncia alla guerra. Sta di fatto, però, che il Giappone è nelle mire balistiche di Kim Jong-Un, e da qui la volontà di trasformare, attraverso una modifica costituzionale, quelle forze di auto-difesa in qualcosa di più.
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