di FREDERIC PASCALI - La semplicità di un’umanità mostrata distogliendo l’attenzione dal rigore del proprio personale universo per abbandonarsi prigioniera all’intimità di un sentimento amichevole per troppo tempo avvolto nei ricordi. È la sintesi dell’ultimo lavoro firmato da Stephen Frears, presentato fuori concorso alla recente Mostra del cinema di Venezia, che adatta il libro di Shrabani Basu cimentandosi in un dramedy in costume confezionato con l’accuratezza e l’attenzione che da sempre lo contraddistingue.
Basato su di una storia vera, venuta alla luce solo nel 2010, narra della scandalosa, per l’epoca, e controversa relazione d’amicizia intercorsa tra la regina Vittoria e Abdul Karim, un commesso indiano che una successione di eventi casuali, scelto per consegnare una moneta celebrativa, porta al cospetto della sovrana più potente del mondo negli ultimi anni del suo regno e della sua vita.
Quello messo in scena dalla macchina da presa di Frears, elegante nei suoi movimenti classici, è un palcoscenico dalle sembianze vagamente teatrali che si erge nitido e chiaro nei colori della bella fotografia di Danny Cohen. Ne scaturisce una visione ironica e compassata di un microcosmo di un’epoca destinata a esalare il suo ultimo respiro nel primo conflitto mondiale.
Nei volti dei protagonisti, nelle cadenze imbolsite, nei rituali secolari, la sceneggiatura di Lee Hall si destreggia abilmente incastonando il racconto biografico in quello storico, senza incespicare in ridondanze gratuite ma peccando nella profondità , tutta sulle spalle dei dialoghi e dei primissimi piani della straordinaria interpretazione di Judi Dench.
L’ottantenne grande attrice britannica veste con mirabile dedizione i panni dell’ottantenne regina Vittoria plasmandone la solitudine e immedesimandosi totalmente nei segni scolpiti dal tempo sul corpo e sullo spirito. Una prova da Oscar che funge da faro per tutto il resto del cast, a cominciare da Ali Fazal, “Abdul Karim”, per finire con Eddie Izzard, “Bertie”, incredibilmente somigliante con l’allora principe di Galles.
Basato su di una storia vera, venuta alla luce solo nel 2010, narra della scandalosa, per l’epoca, e controversa relazione d’amicizia intercorsa tra la regina Vittoria e Abdul Karim, un commesso indiano che una successione di eventi casuali, scelto per consegnare una moneta celebrativa, porta al cospetto della sovrana più potente del mondo negli ultimi anni del suo regno e della sua vita.
Quello messo in scena dalla macchina da presa di Frears, elegante nei suoi movimenti classici, è un palcoscenico dalle sembianze vagamente teatrali che si erge nitido e chiaro nei colori della bella fotografia di Danny Cohen. Ne scaturisce una visione ironica e compassata di un microcosmo di un’epoca destinata a esalare il suo ultimo respiro nel primo conflitto mondiale.
Nei volti dei protagonisti, nelle cadenze imbolsite, nei rituali secolari, la sceneggiatura di Lee Hall si destreggia abilmente incastonando il racconto biografico in quello storico, senza incespicare in ridondanze gratuite ma peccando nella profondità , tutta sulle spalle dei dialoghi e dei primissimi piani della straordinaria interpretazione di Judi Dench.
L’ottantenne grande attrice britannica veste con mirabile dedizione i panni dell’ottantenne regina Vittoria plasmandone la solitudine e immedesimandosi totalmente nei segni scolpiti dal tempo sul corpo e sullo spirito. Una prova da Oscar che funge da faro per tutto il resto del cast, a cominciare da Ali Fazal, “Abdul Karim”, per finire con Eddie Izzard, “Bertie”, incredibilmente somigliante con l’allora principe di Galles.