Epatite C, gli epatologi lanciano l'allarme: "I pazienti non vanno a farsi curare"

ROMA – Per riuscire a raggiungere l’obiettivo dell’eradicazione dell’infezione da HCV, al momento il vero problema non è la disponibilità delle cure, ma l’insufficiente reclutamento dei pazienti, fermo a 60 mila, contro gli 80 mila previsti dall’Aifa per il 2017. A lanciare l'allarme i gastroenterologi nel corso del summit di esperti “Hepatology in motion: research and utilities” svolto a Napoli.

L’invito a specialisti e medici di medicina generale è quello a mobilitarsi per inviare i pazienti per il trattamento. Il congresso organizzato congiuntamente dall’università Federico II di Napoli e dall’università di Palermo ha rappresentato l’occasione per mettere a punto, tra l’altro, lo stato attuale delle cure per l’epatite C erogate in Italia. E’ un momento in cui i farmaci hanno raggiunto percentuali di efficacia elevatissime – oltre il 95 per cento – il che significa sostanzialmente una cura universale disponibile per tutti.

“Eppure ci sono ancora due ordini di problemi – ha spiegato Antonio Craxì, professore di Gastroenterologia all’università di Palermo e presidente della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva (Sige) – da un lato quello dell’accesso universale alle terapie, non nel senso delle possibilità di accesso – teoricamente possiamo darle a tutti – ma nel senso del reperimento dei pazienti. Siamo ancora largamente al di sotto del target fissato dall’Aifa di 80 mila terapie per anno – stimiamo di chiudere l’anno 2017 con non più di 60 mila pazienti trattati – quindi con un deficit importante rispetto al dovuto. E questo potrebbe causare un ritardo rispetto ai piani di eradicazione dell’epatite C che ci siamo posti a livello nazionale e che sono peraltro in linea con quanto l’Oms ci detta. Quindi c’è stato un forte richiamo a tutte le parti interessate e anche ai medici di medicina generale di attivarsi per inviare i pazienti per il trattamento”.

“Dall’altro emerge sempre più il fatto che quel piccolo numero di pazienti non responsivi alle cure – aggiunge Nicola Caporaso, professore di Gastroenterologia all’università di Napoli – quelli che sviluppano resistenze, sono ancora un punto caldo che attende la registrazione di nuovi regimi terapeutici – come la combinazione voxilatavir/sofosbuvir/velpatasvir – e la possibilità di una rete di laboratori che possa valutare quali mutazioni sono presenti e quindi incidere più attivamente sulla qualificazione del miglior regime. Tutti punti che naturalmente sono più tecnici ed esecutivi che non scientifici – la battaglia contro l’epatite C sarebbe teoricamente vinta – rimane però l’applicazione pratica dei principi, che non è sempre la più facile”.

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