di FREDERIC PASCALI - La sospensione del divenire è forse uno dei fenomeni più difficili da immaginare, ma è la spiegazione più semplice per porsi nel bel mezzo di una prospettiva finita tendente all’infinito. Un escamotage pensato per reinterpretare senza sosta una realtà già nota e per svelare una delle chiavi del successo della saga di “Guerre Stellari” a cui l’episodio numero VIII, diretto da Rian Johnson, non si sottrae.
Mentre la Resistenza, incalzata dalle astronavi del Primo Ordine, cerca di evacuare la base su D’Qar, parallelamente, sul pianeta Ahch-To, la giovane Rey prova a convincere il leggendario ultimo Jedi Luke Skywalker ad unirsi alla lotta contro le forze avverse dirette dal Leader Supremo Snoke. In uno scenario dove il conflitto tra il Bene e il Male risulta sempre in bilico domina l’ambiguo rapporto tra Rey e Kylo Ren, il figlio di Han Solo e Leia Organa pronto a prendere la guida del Primo Ordine.
Ne “Gli ultimi Jedi”, secondo film della trilogia sequel, come nel precedente “Il risveglio della Forza” diretto da J.J. Abrams, continua il lavoro di “sostituzione” del Mito con i Dioscuri del passato richiamati in servizio solo per fare da ponte e da genitori di un nuovo gruppo di eroi.
La pellicola di Rian Johnson regge l’urto dell’attesa e non sfigura pur restando distante dal potenziale titolo di stupor mundi, con passaggi e lotte che regalano sensazioni in scala minore rispetto alla tradizione della Saga. Abbondano le sequenze d’interni e si rincorrono i dejà -vu,si trepida per Rey, interpretata dalla sempre più convincente Daisy Ridley, ma si rimane dubbiosi sulla scrittura ricamata per il cattivo Kylo Ren e in particolare per il suo interprete Adam Driver la cui ambiguità espressiva non sembra mai risolvere quella richiesta al suo personaggio.
L’impronta Disney tende le sue fila e nell’ultima malinconica apparizione vivente di Carrie Fisher, “la principessa Leia”, la tentazione al manierismo si fa strada senza remore. Ne risultano immuni le nuove presenze di Kelly Marie Tran, “Rose”, e Benicio Del Toro, “DJ”, che preannunciano nuovi intrecci per il prossimo ultimo capitolo della trilogia, così come l’eccellente fotografia di Steve Yedlin, i costumi di Michael Kaplan e le musiche di John Williams.
Mentre la Resistenza, incalzata dalle astronavi del Primo Ordine, cerca di evacuare la base su D’Qar, parallelamente, sul pianeta Ahch-To, la giovane Rey prova a convincere il leggendario ultimo Jedi Luke Skywalker ad unirsi alla lotta contro le forze avverse dirette dal Leader Supremo Snoke. In uno scenario dove il conflitto tra il Bene e il Male risulta sempre in bilico domina l’ambiguo rapporto tra Rey e Kylo Ren, il figlio di Han Solo e Leia Organa pronto a prendere la guida del Primo Ordine.
Ne “Gli ultimi Jedi”, secondo film della trilogia sequel, come nel precedente “Il risveglio della Forza” diretto da J.J. Abrams, continua il lavoro di “sostituzione” del Mito con i Dioscuri del passato richiamati in servizio solo per fare da ponte e da genitori di un nuovo gruppo di eroi.
La pellicola di Rian Johnson regge l’urto dell’attesa e non sfigura pur restando distante dal potenziale titolo di stupor mundi, con passaggi e lotte che regalano sensazioni in scala minore rispetto alla tradizione della Saga. Abbondano le sequenze d’interni e si rincorrono i dejà -vu,si trepida per Rey, interpretata dalla sempre più convincente Daisy Ridley, ma si rimane dubbiosi sulla scrittura ricamata per il cattivo Kylo Ren e in particolare per il suo interprete Adam Driver la cui ambiguità espressiva non sembra mai risolvere quella richiesta al suo personaggio.
L’impronta Disney tende le sue fila e nell’ultima malinconica apparizione vivente di Carrie Fisher, “la principessa Leia”, la tentazione al manierismo si fa strada senza remore. Ne risultano immuni le nuove presenze di Kelly Marie Tran, “Rose”, e Benicio Del Toro, “DJ”, che preannunciano nuovi intrecci per il prossimo ultimo capitolo della trilogia, così come l’eccellente fotografia di Steve Yedlin, i costumi di Michael Kaplan e le musiche di John Williams.
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