di GRAZIA STELLA ELIA - Dal 1955 ad oggi sono davvero tante le pubblicazioni di poesia in lingua latina di Joseph Tusiani. Usciva infatti, in quell’anno, un piccolo libro, Melos cordis (Canto del cuore), che subito mosse l’interesse degli studiosi.
A quel primo lavoro tanti altri ne seguirono. Uno dei temi più cari al poeta, in latino come nelle altre tre lingue da lui usate, è il paese che lo vide nascere e dove, da bambino, era un prodigio nel canto: San Marco in Lamis nel suo sempre amato Gargano, visto e sentito come il luogo del cuore.
Altro tema è l’America, terra di lavoro e di dolore. Anche il tema religioso trova posto nella poesia latina e rilevante è il tema dell’amore; pungente quello dell’emigrazione, da lui definita “flagello della fame”. Trionfa, nella scrittura, la “luce” intesa come calore-amore, insieme alla musica, sempre presente nella cantabilità dei versi.
Il 5 giugno del 2009, in omaggio ai suoi 85 anni, presso l’Accademia Belgica di Roma si svolse un Convegno internazionale sulla figura e l’opera in latino di Joseph Tusiani.
Eminenti studiosi riflettevano e dissertavano sulla imponente produzione in lingua latina del poeta nel simposio De Iosepho Tusiani poeta latino, culminato nella lettura dei versi Nox Americana, densi di empatia verso chi soffre a causa della guerra e della povertà.
Nell’aprile del 2015 il Professor Nikolaus Thurn dell’Università di Berlino, autore del volume Lateinisicher Zugang 23 lateinesche Godichteaus 24 Jaharhunderten (2014) lo inseriva tra i migliori poeti latini da Livio Andronico al Novecento.
Questo ennesimo libro costituisce un nuovo, importante tassello del già ricco mosaico delle pubblicazioni tusianee. Vi domina la lingua latina, una lingua antica, nobile e austera, con la quale il poeta italo-americano ha raggiunto lo straordinario traguardo del primo posto tra i poeti che scrivono in latino nel mondo.
Joseph Tusiani usa continuamente le sue amate quattro lingue: l’inglese, il latino, l’italiano e il dialetto garganico e la sua scrittura, dopo l’ictus del 2014, ha come subito un’amabile “scossa” per una vigorosa rinascita, data l’ampia produzione che ne è seguita (e forse derivata).
Questo libro, edito da Levante di Bari, è meticolosamente curato dal professor Emilio Bandiera, da lunghi anni compagno di viaggio nella realizzazione di vari volumi tusianei in lingua latina.
Alla fine della lunga, minuziosa, particolareggiata Introduzione del Prof. Bandiera ci si imbatte, a pagina 29, in tre versi tratti dal bellissimo componimento 14:
Quid erit? Quid erit? Nil.
Lux vicit. De nube foras subito velut imber magna serena quies scaturitur.
(Che sarà? Che sarà? Niente.
Ha vinto la luce. Fuori dalla nube subito, come pioggia scaturisce una grande serena quiete.)
Ecco il dominio della luce sull’ombra, della “mente” luminosa che non deve temere il buio, ma regnare “imperiosa e altissima”.
Entriamo ora nelle pagine di poesia, che si aprono con un elogio a quel baculum che, al ritorno del poeta dall’ospedale dopo l’ictus, inizia ad essere per lui il lignum nobile, amatum et almum, che gli sarà “amico per sempre”.
Ed ecco due pagine con i versi che esprimono l’allegria per essere uscito “vincitore” dalla malattia.
E’ opportuno soffermarsi a pagina 38, dove viene invocata la Musa latina, alla quale il poeta dice che con la sua “nobiltà” lo “rende ricco” e che le giura la propria “fedeltà”.
Gli anni, la malattia, la necessità del bastone nulla possono sul “sogno” (pag. 41) espresso in versi meravigliosi. E’ il sogno della terra natia, dove “la nobile quercia vince i secoli, / dove “il mandorlo garganico è amico del sole /…” e dove “Joseph sarà sempre poeta, / nutrito sol di versi e giovinezza”.
Tra il sogno, i sogni e l’illuminazione generata dalla natura si vede aleggiare la malinconia, che emerge tutta da due versi del componimento Solum in mente mea (Solo col pensiero, pag. 30):
multum me ferit omne quod / me stantem mihi porrigit.
(molta pena mi dà tutto quello / che mi mostra immobile a me stesso.)
Concetto espresso con una bella similitudine a pagina 42 in Minima similitudo: aerumnae in me remanet sementis amara / quam mutare homini nulli conceditur unqum. Resta in me l’amaro seme dell’angoscia / che a nessun uomo è mai concesso di mutare).
Un nuovo accenno alla malinconia ritorna nella poesia 27, pag. 62 dove è invocato il Pio Gesù: Me fac, Pie Iesu, / oblivisci quod candela significatur / in suprema aetate hominis / […] (Gesù Pio, / fammi dimenticare che cosa si intenda per candela / nella tarda età dell’uomo / […]
Ad un poeta come Joseph Tusiani, che ha amato tante donne, non poteva mancare di scrivere versi per San Valentino e Valentiniana dies giunse anche a me, via email, nel giorno stesso in cui fu scritta, il 13 febbraio 2015.
Non mancano di essere motivi di ispirazione le festività religiose, come Candelarum dies (La Candelora) e Dominica in palmis e non mancano le invocazioni di aiuto e protezione rivolte al Signore e a “Santa Maria, Madre / dolce e benigna” (pag. 88).
Torna intanto l’amore come dolce fiamma a scaldare il cuore e la parola dell’uomo che, nonostante la senilità, è vivo e ama.
Arriva poi l’ironia a far “giocare” il poeta su temi seri quali l’amore e l’aldilà (pp. 92 -95). Seguono testi di vario genere, qualcuno colorato di fresco candore, qualche altro tinto di incertezze e dubbi esistenziali. Poi il sole più volte invocato, visto come la divinità della luce e del calore, prodigio, toccasana per la “vecchiaia” (pag.122).
Subito dopo, forte e amaro, il rimpianto della gioventù, “cara immagine”, “giovinezza sublime”, “defunta gioventù”, dove l’aggettivo “defunta” la dice lunga sulla lontananza- sparizione della verde età.
Quante volte si incontra la parola lux? Tante, tantissime volte. E’ la parola splendida che Joseph Tusiani usa in tutte le accezioni, ad illuminare i suoi versi.
Così, procedendo nella coinvolgente lettura, si giunge alle due ultime pagine con le due poesie Hilaris hora e Quo vadimus? (“Momento di allegria” e “Dove andiamo?”), l’una allegramente ironica, arguta l’altra, che si conclude con la richiesta, alla “terra crudele”, di essere inviato “alle stelle, dove pura luce è sempre più splendente”.
Un importante elemento da sottolineare è l’aspetto ritmico dell’opera, frutto della metrica, elemento basilare nel mondo antico, valido a distinguere la poesia dalla prosa, oltre che a conferire bellezza.
Si può concludere dicendo che questo libro, uscito con Levante editori di Bari nella collana KLEOS a cura del Prof. Francesco De Martino, andrebbe letto da molti, specialmente dai giovani liceali, i quali potrebbero farne tesoro ai fini di una più profonda conoscenza del mondo antico, fatto di regole precise da osservare per la scrittura e la lettura ritmica. Potrebbero anch’essi confermare, con il poeta italo- americano e pugliese verace, che la luce, intesa soprattutto come cultura, è sempre vincente.
A quel primo lavoro tanti altri ne seguirono. Uno dei temi più cari al poeta, in latino come nelle altre tre lingue da lui usate, è il paese che lo vide nascere e dove, da bambino, era un prodigio nel canto: San Marco in Lamis nel suo sempre amato Gargano, visto e sentito come il luogo del cuore.
Altro tema è l’America, terra di lavoro e di dolore. Anche il tema religioso trova posto nella poesia latina e rilevante è il tema dell’amore; pungente quello dell’emigrazione, da lui definita “flagello della fame”. Trionfa, nella scrittura, la “luce” intesa come calore-amore, insieme alla musica, sempre presente nella cantabilità dei versi.
Il 5 giugno del 2009, in omaggio ai suoi 85 anni, presso l’Accademia Belgica di Roma si svolse un Convegno internazionale sulla figura e l’opera in latino di Joseph Tusiani.
Eminenti studiosi riflettevano e dissertavano sulla imponente produzione in lingua latina del poeta nel simposio De Iosepho Tusiani poeta latino, culminato nella lettura dei versi Nox Americana, densi di empatia verso chi soffre a causa della guerra e della povertà.
Nell’aprile del 2015 il Professor Nikolaus Thurn dell’Università di Berlino, autore del volume Lateinisicher Zugang 23 lateinesche Godichteaus 24 Jaharhunderten (2014) lo inseriva tra i migliori poeti latini da Livio Andronico al Novecento.
Questo ennesimo libro costituisce un nuovo, importante tassello del già ricco mosaico delle pubblicazioni tusianee. Vi domina la lingua latina, una lingua antica, nobile e austera, con la quale il poeta italo-americano ha raggiunto lo straordinario traguardo del primo posto tra i poeti che scrivono in latino nel mondo.
Joseph Tusiani usa continuamente le sue amate quattro lingue: l’inglese, il latino, l’italiano e il dialetto garganico e la sua scrittura, dopo l’ictus del 2014, ha come subito un’amabile “scossa” per una vigorosa rinascita, data l’ampia produzione che ne è seguita (e forse derivata).
Questo libro, edito da Levante di Bari, è meticolosamente curato dal professor Emilio Bandiera, da lunghi anni compagno di viaggio nella realizzazione di vari volumi tusianei in lingua latina.
Alla fine della lunga, minuziosa, particolareggiata Introduzione del Prof. Bandiera ci si imbatte, a pagina 29, in tre versi tratti dal bellissimo componimento 14:
Quid erit? Quid erit? Nil.
Lux vicit. De nube foras subito velut imber magna serena quies scaturitur.
(Che sarà? Che sarà? Niente.
Ha vinto la luce. Fuori dalla nube subito, come pioggia scaturisce una grande serena quiete.)
Ecco il dominio della luce sull’ombra, della “mente” luminosa che non deve temere il buio, ma regnare “imperiosa e altissima”.
Entriamo ora nelle pagine di poesia, che si aprono con un elogio a quel baculum che, al ritorno del poeta dall’ospedale dopo l’ictus, inizia ad essere per lui il lignum nobile, amatum et almum, che gli sarà “amico per sempre”.
Ed ecco due pagine con i versi che esprimono l’allegria per essere uscito “vincitore” dalla malattia.
E’ opportuno soffermarsi a pagina 38, dove viene invocata la Musa latina, alla quale il poeta dice che con la sua “nobiltà” lo “rende ricco” e che le giura la propria “fedeltà”.
Gli anni, la malattia, la necessità del bastone nulla possono sul “sogno” (pag. 41) espresso in versi meravigliosi. E’ il sogno della terra natia, dove “la nobile quercia vince i secoli, / dove “il mandorlo garganico è amico del sole /…” e dove “Joseph sarà sempre poeta, / nutrito sol di versi e giovinezza”.
Tra il sogno, i sogni e l’illuminazione generata dalla natura si vede aleggiare la malinconia, che emerge tutta da due versi del componimento Solum in mente mea (Solo col pensiero, pag. 30):
multum me ferit omne quod / me stantem mihi porrigit.
(molta pena mi dà tutto quello / che mi mostra immobile a me stesso.)
Concetto espresso con una bella similitudine a pagina 42 in Minima similitudo: aerumnae in me remanet sementis amara / quam mutare homini nulli conceditur unqum. Resta in me l’amaro seme dell’angoscia / che a nessun uomo è mai concesso di mutare).
Un nuovo accenno alla malinconia ritorna nella poesia 27, pag. 62 dove è invocato il Pio Gesù: Me fac, Pie Iesu, / oblivisci quod candela significatur / in suprema aetate hominis / […] (Gesù Pio, / fammi dimenticare che cosa si intenda per candela / nella tarda età dell’uomo / […]
Ad un poeta come Joseph Tusiani, che ha amato tante donne, non poteva mancare di scrivere versi per San Valentino e Valentiniana dies giunse anche a me, via email, nel giorno stesso in cui fu scritta, il 13 febbraio 2015.
Non mancano di essere motivi di ispirazione le festività religiose, come Candelarum dies (La Candelora) e Dominica in palmis e non mancano le invocazioni di aiuto e protezione rivolte al Signore e a “Santa Maria, Madre / dolce e benigna” (pag. 88).
Torna intanto l’amore come dolce fiamma a scaldare il cuore e la parola dell’uomo che, nonostante la senilità, è vivo e ama.
Arriva poi l’ironia a far “giocare” il poeta su temi seri quali l’amore e l’aldilà (pp. 92 -95). Seguono testi di vario genere, qualcuno colorato di fresco candore, qualche altro tinto di incertezze e dubbi esistenziali. Poi il sole più volte invocato, visto come la divinità della luce e del calore, prodigio, toccasana per la “vecchiaia” (pag.122).
Subito dopo, forte e amaro, il rimpianto della gioventù, “cara immagine”, “giovinezza sublime”, “defunta gioventù”, dove l’aggettivo “defunta” la dice lunga sulla lontananza- sparizione della verde età.
Quante volte si incontra la parola lux? Tante, tantissime volte. E’ la parola splendida che Joseph Tusiani usa in tutte le accezioni, ad illuminare i suoi versi.
Così, procedendo nella coinvolgente lettura, si giunge alle due ultime pagine con le due poesie Hilaris hora e Quo vadimus? (“Momento di allegria” e “Dove andiamo?”), l’una allegramente ironica, arguta l’altra, che si conclude con la richiesta, alla “terra crudele”, di essere inviato “alle stelle, dove pura luce è sempre più splendente”.
Un importante elemento da sottolineare è l’aspetto ritmico dell’opera, frutto della metrica, elemento basilare nel mondo antico, valido a distinguere la poesia dalla prosa, oltre che a conferire bellezza.
Si può concludere dicendo che questo libro, uscito con Levante editori di Bari nella collana KLEOS a cura del Prof. Francesco De Martino, andrebbe letto da molti, specialmente dai giovani liceali, i quali potrebbero farne tesoro ai fini di una più profonda conoscenza del mondo antico, fatto di regole precise da osservare per la scrittura e la lettura ritmica. Potrebbero anch’essi confermare, con il poeta italo- americano e pugliese verace, che la luce, intesa soprattutto come cultura, è sempre vincente.
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