"Che bello, si torna a fare il pane in casa…". Parla la ph belga Tamara Triffez

di FRANCESCO GRECO - BRUXELLES. “La mia fotografia si muove su un percorso lento. Parto da una ricerca sociale, antropologica, che dura anni… Lavoro molto sulla scomparsa di un mondo, mi piace  indagare il momento della trasformazione… Il pane? E’ la lingua di tutti gli uomini”.

Quel pane in b/n sospeso fra Salento e Sicilia, in cerca di echi nascosti e segrete risonanze, complicità etniche e differenze estetiche e culturali, proposto nella mostra “Pane Nostro…” (titolo che riecheggia Matvejevic), alla masseria “Santu Lasi” (agro di Salve), ha avuto enorme successo.

Il “Pane dei Morti”, il “Cristo crocefisso di pane”, le “Mani di donna”, gli angeli di pane, gli altari, ecc. hanno catturato lo sguardo di tanta gente arrivata da ogni dove, illuminato la loro anima, scaldato il cuore. Ai tempi dell’aridità e la sterilità della società “liquida”, non è cosa da poco.

Tamara ha vissuto molti anni a Roma, è stata attrice di teatro e ha lavorato in varie occasioni con  Carmelo Bene, è la moglie dell’architetto e scenografo Giusto Puri Purini, che a sua volta ha lavorato con Roberto  Rossellini. Insomma, persone che arricchiscono il territorio e tutti noi.
 
Col sorriso sulle labbra, Tamara ha spiegato a tutti il concept più intimo, la semantica complessa del progetto iniziato in Sicilia, nella Valle del Belìce (a Salemi, pensate, c’è anche il “Museo del Pane”), due  anni fa e continuato nell’area idruntina, in Salento, e infine proposto nell’antica dimora di Eliana e Vincenzo Cazzato, fra vecchi merletti e unità di misura delle ulive del mondo di ieri che ci portiamo nella pelle, lo sguardo, il sangue, il dna.
 
E’ nata a Bruxelles (Belgio), è figlia d’arte: il padre infatti è il  pittore Jean Triffez, la madre era russa, nobile, a cui la Rivoluzione d’Ottobre tolse tutto: “Dalla sua famiglia sono giunti sino a me solo pochi oggetti e pochissime memorie sommerse dal dolore dell’esilio”, confida Tamara con lo sguardo cosmopolita di chi ha girato il mondo.

DOMANDA: Fra Sicilia e Salento ci sono affinità in materia di “Pane dei Santi”?
RISPOSTA: “Si, ci sono molte affinità. E questo perche solo in Sicilia e Puglia (dal tempo dei Romani sono i granai del paese) si trova l’espressione di questa antica tradizione, si ritrovano le sue radici nella cultura Grec e pagana (il culto del prossimo arrivo della primavera, dove si onorava Minerva in questa data, con il rito, i Quinquetria Maiores, sino alla trasformazione, e introduzione nel Cristianesimo. San Giuseppe è morto il 18 marzo e una volta per i Morti si offrivano banchetti. Le tavole sono il fulcro dello spirito della carità cristiana. San Giuseppe è il protettore dei falegnami, ma soprattutto dei poveri e degli ammalati, e cosi il cibo viene consumato, perché accomuna l’uomo a Dio, perciò la tradizione, come spesso avviene, nasce da varie cause e si è tramandata nei tempi per via delle trame dei vari passaggi culturali”.

D.: Due idee di devozione a confronto, ma perché in Salento si sviluppa nell’area attorno a Otranto (Giurdignano, Casamassella, Giuggianello, Minervino, Specchia Gallone) e solo lì?
R.: “Non si possono fare affermazioni certe, ma è probabile che la comunità Greca, che si installò in quella zona di mondo portò con se certe tradizioni. Si dice anche che la zona Idruntina, Otranto e zone circostanti, avesse una ampia comunità ebraica, e che per bilanciare i rituali  della Festa Tu Bishevàt, Festa degli Alberi, questa avveniva con  un pasto comunitario. La Chiesa decise di affermare la sua presenza religiosa che ridesse vigore al senso dell’ Eucarestia, o mensa dei poveri. Comunque non si sa in modo certo…”.

D.: Due concezioni del Barocco anche sul pane: quali i tratti essenziali di quello siciliano e il nostro?
R.: “Il pane siciliano delle tavole di San Giuseppe è come il suo barocco, ricchissimo di dettagli, e cosi il suo pane delle vere  opere, sculture di pane. In Sicilia viene ripercorsa nel pane la sua ricchezza architettonica. In Terra Salentina la tradizione è ancora oggi legata alla cultura contadina, che poi è all’origine della celebrazione”.

D.: Che ruolo ha l’aspetto onirico nella devozione delle tavole dei Santi?
R.: “I sogni nella tradizione e trasmissione di questa ricorrenza sono, direi, uno dei veicoli di trasmissione della tradizione, da madre a figlia. Chi ha il sogno ha una    esperienza onirica potente che ingaggia e impegna le persone o famiglie, a volte per generazioni. Molti seguono la tradizione per via dei sogni, e molti no, spesso sono richieste di grazia molto dirette e uniche. Perciò direi che le tavole che vengono eseguite ogni anno spesso   all’origine sono legate a sogni, quelle fatte per una grazia o benedizione sono per l’anno della richiesta”.

D.: L’abbondanza dei cibi sulle tavole dei Santi in Sicilia (101) e l’esiguità (13) sulle nostre, come la spiega?
R.: “Come per i pani, l’emulazione della ricchezza si riferisce a poteri alti, Re,  Vicerè, etc. Inoltre la Terra Siciliana, che gli Arabi chiamavano il Giardino di Allah, è appunto un centro di varietà e ricchezza alimentare unico. La Terra del Salento è terra con uno spessore di roccia notevole, oltre al clima vario dai venti e non tutte le piante amano il vento. In Sicilia ci sono piante botaniche di tutto il pianeta e molte tropicali: banani, alberi di ficus giganti, fiori e alberi di ibiscus, palme. E’ la terra stessa a essere generosa. In Salento le ricchezze nascono delle enormi fatiche delle genti. E penso questo sia lo specchio del perché 101 li e 13 qui”.

D.: Ogni elemento è altamente simbolico: cosa vuol dire il miele sulla pasta?
R.: “Il miele è come l’oro, ma si può mangiare. Nella tradizione mediterranea e singolarmente in Grecia, è simbolo di Nutrimento Inspirante. Dà il dono della poesia della scienza. Il miele ha anche un ruolo nel risveglio della  primavera iniziatica, è legato all’immortalità del suo colore, giallo oro, ed evidenzia il ciclo eterno delle morti e rinascite. E’ anche simbolo della conoscenza, per Clemente d’Alessandria. Per le Terre Buddhiste é associato alla dottrina, la mia dottrina é come mangiare miele, l’inizio é dolce, in mezzo é dolce, e alla fine é dolce. La perfezione del miele ne fa facilmente un’offerta potente e propiziatoria”.

D.: Perché oggi il pane non si fa più a casa com’è stato per secoli e millenni?
R.: “Basta guardare la società attuale, tutta centri commerciali e velocità. Fare il pane richiede tempo e il lievito madre originale ha tempi lunghi da rispettare. Essendo la società contadina in via di scomparsa, anche il pane ha la tendenza a scomparire nella sua forma originale. Anche se incontro sempre più persone che riprendono a fare il pane e in Salento ci sono  tanti piccoli agricoltori che hanno un altro lavoro, ma fanno sul loro appezzamento di terra la semina del  grano Cappelli e poi la moglie fa il pane in casa, e magari lo portano al forno per la cottura. E qualche forno a legna esiste ancora”.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto