BARI - La vita e le opere di Michelangelo raccontate da Vittorio Sgarbi, con il contrappunto musicale di Valentino Corvino e le immagini del visual artist Tommaso Arosio. È quanto propone «Michelangelo», lo spettacolo che va in scena nel Nuovo Teatro Verdi di Brindisi lunedì 5 febbraio alle ore 20.30. Dopo Michelangelo Merisi, il Caravaggio, ora il Buonarroti, scultore, pittore, architetto e poeta del Cinquecento, un classico di sempre, diverso ma a tratti simile al tormentato Caravaggio che la scorsa stagione tanto ha appassionato il pubblico delle sale teatrali. Il motto di Sgarbi ora è: ripartire dal Rinascimento, il suo intento, avvicinare l’arte alla gente.
Nei tre pannelli iniziali la prima ad apparire è la celeberrima Pietà in San Pietro (1498-99), scolpita da un Michelangelo poco più che ventenne e alle prese con il suo primo lavoro con il marmo di Carrara. L’opera non può che segnare il vero e proprio inizio della lezione del professor Sgarbi, che esamina via via tutte le più celebri opere del Maestro, illustrandone collegamenti artistico-letterari che coprono oltre cinquecento anni di storia. La Pietà è la perfetta rappresentazione visiva della preghiera dantesca di San Bernardino (Divina Commedia, Paradiso, canto XXXIII): «Vergine Madre, figlia del tuo figlio umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura». Ma l’opera diventa anche oggetto di una riflessione che suggerisce riferimenti ai capolavori di Manet, Magritte e Jan Fabre.
Tra una sonata e l’altra del violino del foggiano Valentino Corvino, si frappongono le figure scultoree della Sacra Famiglia del Tondo Doni, che così bene esprime il concetto artistico michelangiolesco, per cui la migliore pittura è quella che si avvicina ai volumi della scultura, e la concentrazione del David, messo a confronto con i maestri della scuola bolognese del Quattrocento, ma anche e in modo sorprendente con i Bronzi di Riace, che Michelangelo non può aver ammirato ma che sembrano averlo ispirato soprattutto nella posa del celeberrimo eroe biblico. Il viaggio nell’arte del Buonarroti tocca gli spettacolari dipinti della Cappella Sistina, che rimandano a una sorta di fermo immagine di una plasticità sempre viva: più azione che bellezza. E in quella “incolmabile minima distanza” fra il dito di Dio e quello di Adamo, il critico colloca «L’origine du monde» di Gustave Courbet. Passando per il Mosè - che ha lo stesso sguardo concentrato e severo del David - si arriva agli ultimi lavori di Michelangelo, quelli dal linguaggio più contemporaneo, sorprendentemente anticipatore dei tempi. La lezione su uno dei maggiori geni dell’arte di tutti i tempi si conclude con l’ultima Pietà , quella Rondanini, che chiude il cerchio: nelle sue figure sbozzate dalla pietra grezza, Madre e Figlio insieme, si trova l’espressione inarrivabile della tecnica, della poetica e dell’arte di Michelangelo, che nel suo non-finito, nella sua incompletezza, testimonia tutto il senso e la bellezza.
«Io non fui mai né pittore né scultore, come chi ne fa bottega. Sempre me ne son guardato per l’honore di mie padre e de’ mia frategli, ben io abbi servito tre papi, che è stato forza». È quanto scrisse Michelangelo al nipote Leonardo, rivelando di preferire la definizione di cittadino fiorentino: cittadino libero e nobile. «Un grande pittore e scultore - ha spiegato Sgarbi in una recente intervista - era un artista che abbracciava una tecnica solo per comunicare la propria anima. Non si poteva identificare in una categoria professionale perché il suo obiettivo non era professionale ma spirituale. Nell’illustrare le opere sottolineo l’importanza e la forza della religione di cui l’arte è dimostrazione tangibile, infatti se esiste un artista come Michelangelo vuol dire che Dio esiste». Non a caso la potenza dell’arte è tra i pochi strumenti in grado di rappresentare fino in fondo il valore della bellezza, compreso il suo senso rivoluzionario. «Guardare le opere d’arte - ha concluso il critico ferrarese - serve a capire la necessità e l’urgenza della presenza della bellezza attorno a noi, anche se nulla è meno necessario dell’arte, tuttavia è la nostra sensibilità a coglierla e a cercarla, così anche costruire uno spettacolo per aumentare la sensibilità di qualcuno per me è un valore importante».
Nei tre pannelli iniziali la prima ad apparire è la celeberrima Pietà in San Pietro (1498-99), scolpita da un Michelangelo poco più che ventenne e alle prese con il suo primo lavoro con il marmo di Carrara. L’opera non può che segnare il vero e proprio inizio della lezione del professor Sgarbi, che esamina via via tutte le più celebri opere del Maestro, illustrandone collegamenti artistico-letterari che coprono oltre cinquecento anni di storia. La Pietà è la perfetta rappresentazione visiva della preghiera dantesca di San Bernardino (Divina Commedia, Paradiso, canto XXXIII): «Vergine Madre, figlia del tuo figlio umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura». Ma l’opera diventa anche oggetto di una riflessione che suggerisce riferimenti ai capolavori di Manet, Magritte e Jan Fabre.
Tra una sonata e l’altra del violino del foggiano Valentino Corvino, si frappongono le figure scultoree della Sacra Famiglia del Tondo Doni, che così bene esprime il concetto artistico michelangiolesco, per cui la migliore pittura è quella che si avvicina ai volumi della scultura, e la concentrazione del David, messo a confronto con i maestri della scuola bolognese del Quattrocento, ma anche e in modo sorprendente con i Bronzi di Riace, che Michelangelo non può aver ammirato ma che sembrano averlo ispirato soprattutto nella posa del celeberrimo eroe biblico. Il viaggio nell’arte del Buonarroti tocca gli spettacolari dipinti della Cappella Sistina, che rimandano a una sorta di fermo immagine di una plasticità sempre viva: più azione che bellezza. E in quella “incolmabile minima distanza” fra il dito di Dio e quello di Adamo, il critico colloca «L’origine du monde» di Gustave Courbet. Passando per il Mosè - che ha lo stesso sguardo concentrato e severo del David - si arriva agli ultimi lavori di Michelangelo, quelli dal linguaggio più contemporaneo, sorprendentemente anticipatore dei tempi. La lezione su uno dei maggiori geni dell’arte di tutti i tempi si conclude con l’ultima Pietà , quella Rondanini, che chiude il cerchio: nelle sue figure sbozzate dalla pietra grezza, Madre e Figlio insieme, si trova l’espressione inarrivabile della tecnica, della poetica e dell’arte di Michelangelo, che nel suo non-finito, nella sua incompletezza, testimonia tutto il senso e la bellezza.
«Io non fui mai né pittore né scultore, come chi ne fa bottega. Sempre me ne son guardato per l’honore di mie padre e de’ mia frategli, ben io abbi servito tre papi, che è stato forza». È quanto scrisse Michelangelo al nipote Leonardo, rivelando di preferire la definizione di cittadino fiorentino: cittadino libero e nobile. «Un grande pittore e scultore - ha spiegato Sgarbi in una recente intervista - era un artista che abbracciava una tecnica solo per comunicare la propria anima. Non si poteva identificare in una categoria professionale perché il suo obiettivo non era professionale ma spirituale. Nell’illustrare le opere sottolineo l’importanza e la forza della religione di cui l’arte è dimostrazione tangibile, infatti se esiste un artista come Michelangelo vuol dire che Dio esiste». Non a caso la potenza dell’arte è tra i pochi strumenti in grado di rappresentare fino in fondo il valore della bellezza, compreso il suo senso rivoluzionario. «Guardare le opere d’arte - ha concluso il critico ferrarese - serve a capire la necessità e l’urgenza della presenza della bellezza attorno a noi, anche se nulla è meno necessario dell’arte, tuttavia è la nostra sensibilità a coglierla e a cercarla, così anche costruire uno spettacolo per aumentare la sensibilità di qualcuno per me è un valore importante».