di NICOLA RICCHITELLI – Non ricordo bene se ho cantato prima “La fiera dell’Est” e conosciuto poi il nome di chi questo capolavoro della musica italiana lo ha scritto o viceversa, ma forse resterà una specie di eterno dilemma: è più famoso Angelo Branduardi o La fiera dell’Est? A tal proposito il maestro genovese taglia corto: «… senza scherzi, sono entrato nella storia, perché l’opera è talmente diventata opera popolare da non appartenere più al suo autore».
Non lo si vede molto in televisione Angelo Branduardi, anzi a voler essere precisi e se la memoria non mi inganna, personalmente non ricordo una sua comparsata, una sua esibizione, una sua intervista a favore di telecamere tra gli innumerevoli studi televisivi che popolano il panorama televisivo italiano in trentatré anni di esistenza e la spiegazione è presto data: «… la televisione oggi come oggi non fa conoscere proprio nessuno… Non serve, perché oggi tutto avviene sulla rete, sui social, su Youtube, la televisione oramai è un vecchio elettrodomestico, morto oramai».
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quella Fiera, così come in questi quaranta e più anni di carriera per il maestro genovese, e quindi venti album, colonne sonore per film, teatro, e instancabili tournée in giro per il Belpaese.
Maestro, mi conceda la provocazione, la si vede poco in televisione, in un'epoca dove se non vai davanti alle telecamere corri il rischio di essere dimenticati o di non farsi conoscere dalle nuove generazioni…
R:«Non, non è così, perché la televisione oggi come oggi non fa conoscere proprio nessuno. Non serve a niente, e questo lo dico dati alla mano. Se lei prende i dati del Sanremo appena concluso si renderà conto che vi è un aumento dell’appena 1% della vendita dei dischi, capisci? È la montagna che partorisce il topolino, quindi cosa può interessare a me di andare in tv? Non serve, perché oggi tutto avviene sulla rete, sui social, su YouTube, la televisione oramai è un vecchio elettrodomestico, morto oramai».
Qual è il suo rapporto con questi nuovi mezzi di comunicazione?
R:«Nel web in molti mi dedicano la loro attenzione, ci sono quasi 5-6 siti web tra Italia e Germania che si occupano della mia musica, devo dire che il web e tutto ciò che ne concerne – vedi i vari social – non mi dispiace, diventa un disastro quanto accanto a queste cose bellissime, ti ritrovi a leggere e a vedere fiumi e fiumi di mer…Speriamo che il tutto si autoregoli».
Maestro, come avviene il suo incontro con la musica e quando nasce il suo amore per il violino?
R:«Io volevo studiare pianoforte, ma ahimè in casa non ne avevamo uno e comprarlo era impossibile perché costava troppo, mio padre che era un melomane allora mi portò da un professore di violino, a quel punto lui aprì la scatola e vidi lo strumento, fu subito amore a prima vista, da quel momento diciamo che sono stato allevato per fare il musicista, trascurando anche altre cose, quindi ho preso il diploma e da Genova mi sono trasferito a Milano che mi ha permesso di entrare nel grande giro».
Inoltre lei è tra i più giovani in Italia ad aver conseguito al conservatorio il diploma di violino?
R:«In realtà siamo in tre…Sa qual è la verità? Che studiare il violino è molto difficile, diciamo pure che è lo strumento più difficile che c’è. È uno strumento che non si può sonicchiarlo come la batteria o la chitarra, è uno strumento che o sei capace a suonarlo oppure lascia perdere».
Quindi il violino è uno strumento che bisogna amarlo punto e basta…
R:«Si, ci vuole amore, sacrificio e tanto studio»
Era il 1974, era l’anno del suo primo album, “Angelo Branduardi” per l’appunto. Quanta difficoltà vi erano in quegli anni affermarsi nel panorama musicale italiano e farsi conoscere al grande pubblico?
R:«In realtà era il secondo poiché il primo non era mai uscito. Devo dirti che forse è molto più difficile affermarsi oggi, nonostante l’esistenza di una serie infinita di media, oggi è molto più difficile affermarsi. Ai miei tempi, quando le case discografiche avevano ancora i talent scout, e decideva di metterti sotto contratto, ti dava per l’appunto un contratto di cinque anni, e dicevano nel primo disco perdiamo, nel secondo andiamo a pari, nel terzo guadagniamo. Inoltre a quei tempi la casa discografica passava un piccolo stipendio mensile, in modo tale da poter lavorare sulla musica senza dover andare necessariamente andare a scaricare la frutta, ed era una cosa fondamentale perché l’artista non nasce imparato, l’artista ha bisogno di maturare, ha bisogno di tempo. Ai giorni d’oggi invece non solo ai ragazzi non vengono dati cinque anni, ma neanche cinque minuti, se l’artista non va gli si dà subito una bella pedata nel sedere».
Tre anni dopo arriverà una delle pietre miliari della musica italiana, “Alla fiera dell’Est”. Come nasce questo grande capolavoro?
R:«La fiera dell’Est è una commistione con un tema di stile rinascimentale, è una melodia ad intervallo unico, che è la prima forma di musica che si pensa sia stata creata».
Io ho conosciuto questo brano, credo in seconda o terza elementare, cosa che avviene tutt’oggi, visto che ancora si studia sui banchi di scuola. Eppure sembra che i bambini conoscono la famosa fiera ma non il suo autore…
R:«Certo, meglio, si spiega che senza scherzi, sono entrato nella storia, perché l’opera è talmente diventata opera popolare, da non appartenere più al suo autore».
Negli anni duemila ha cantato San Francesco, come è nato quel progetto?
R:«Quello è stato un altro grande successo. L’idea non è stata mia ma dei francescani che hanno ritenuto che io fossi l’unico adatto a musicare fedelmente gli scritti di San Francesco. Ammetto che all’inizio ero molto titubato, poi alla fine in maniera un po’ divertente ho chiesto loro perché lo chiedevano a me che ero un peccatore e loro mi hanno risposto che Dio per l’appunto sceglie sempre i peccatori, e devo dire che è una battuta bellissima. Quindi mia moglie ha iniziato a lavorarci, e a quel punto lì ho messo su questo meraviglioso progetto».
Maestro, avremo in futuro la possibilità di poterla ascoltare nella nostra meravigliosa Puglia?
R:«Non ho la minima idea…stanno facendo il calendario spero che una tappa in Puglia non manchi».
Non lo si vede molto in televisione Angelo Branduardi, anzi a voler essere precisi e se la memoria non mi inganna, personalmente non ricordo una sua comparsata, una sua esibizione, una sua intervista a favore di telecamere tra gli innumerevoli studi televisivi che popolano il panorama televisivo italiano in trentatré anni di esistenza e la spiegazione è presto data: «… la televisione oggi come oggi non fa conoscere proprio nessuno… Non serve, perché oggi tutto avviene sulla rete, sui social, su Youtube, la televisione oramai è un vecchio elettrodomestico, morto oramai».
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quella Fiera, così come in questi quaranta e più anni di carriera per il maestro genovese, e quindi venti album, colonne sonore per film, teatro, e instancabili tournée in giro per il Belpaese.
Maestro, mi conceda la provocazione, la si vede poco in televisione, in un'epoca dove se non vai davanti alle telecamere corri il rischio di essere dimenticati o di non farsi conoscere dalle nuove generazioni…
R:«Non, non è così, perché la televisione oggi come oggi non fa conoscere proprio nessuno. Non serve a niente, e questo lo dico dati alla mano. Se lei prende i dati del Sanremo appena concluso si renderà conto che vi è un aumento dell’appena 1% della vendita dei dischi, capisci? È la montagna che partorisce il topolino, quindi cosa può interessare a me di andare in tv? Non serve, perché oggi tutto avviene sulla rete, sui social, su YouTube, la televisione oramai è un vecchio elettrodomestico, morto oramai».
Qual è il suo rapporto con questi nuovi mezzi di comunicazione?
R:«Nel web in molti mi dedicano la loro attenzione, ci sono quasi 5-6 siti web tra Italia e Germania che si occupano della mia musica, devo dire che il web e tutto ciò che ne concerne – vedi i vari social – non mi dispiace, diventa un disastro quanto accanto a queste cose bellissime, ti ritrovi a leggere e a vedere fiumi e fiumi di mer…Speriamo che il tutto si autoregoli».
Maestro, come avviene il suo incontro con la musica e quando nasce il suo amore per il violino?
R:«Io volevo studiare pianoforte, ma ahimè in casa non ne avevamo uno e comprarlo era impossibile perché costava troppo, mio padre che era un melomane allora mi portò da un professore di violino, a quel punto lui aprì la scatola e vidi lo strumento, fu subito amore a prima vista, da quel momento diciamo che sono stato allevato per fare il musicista, trascurando anche altre cose, quindi ho preso il diploma e da Genova mi sono trasferito a Milano che mi ha permesso di entrare nel grande giro».
Inoltre lei è tra i più giovani in Italia ad aver conseguito al conservatorio il diploma di violino?
R:«In realtà siamo in tre…Sa qual è la verità? Che studiare il violino è molto difficile, diciamo pure che è lo strumento più difficile che c’è. È uno strumento che non si può sonicchiarlo come la batteria o la chitarra, è uno strumento che o sei capace a suonarlo oppure lascia perdere».
Quindi il violino è uno strumento che bisogna amarlo punto e basta…
R:«Si, ci vuole amore, sacrificio e tanto studio»
Era il 1974, era l’anno del suo primo album, “Angelo Branduardi” per l’appunto. Quanta difficoltà vi erano in quegli anni affermarsi nel panorama musicale italiano e farsi conoscere al grande pubblico?
R:«In realtà era il secondo poiché il primo non era mai uscito. Devo dirti che forse è molto più difficile affermarsi oggi, nonostante l’esistenza di una serie infinita di media, oggi è molto più difficile affermarsi. Ai miei tempi, quando le case discografiche avevano ancora i talent scout, e decideva di metterti sotto contratto, ti dava per l’appunto un contratto di cinque anni, e dicevano nel primo disco perdiamo, nel secondo andiamo a pari, nel terzo guadagniamo. Inoltre a quei tempi la casa discografica passava un piccolo stipendio mensile, in modo tale da poter lavorare sulla musica senza dover andare necessariamente andare a scaricare la frutta, ed era una cosa fondamentale perché l’artista non nasce imparato, l’artista ha bisogno di maturare, ha bisogno di tempo. Ai giorni d’oggi invece non solo ai ragazzi non vengono dati cinque anni, ma neanche cinque minuti, se l’artista non va gli si dà subito una bella pedata nel sedere».
Tre anni dopo arriverà una delle pietre miliari della musica italiana, “Alla fiera dell’Est”. Come nasce questo grande capolavoro?
R:«La fiera dell’Est è una commistione con un tema di stile rinascimentale, è una melodia ad intervallo unico, che è la prima forma di musica che si pensa sia stata creata».
Io ho conosciuto questo brano, credo in seconda o terza elementare, cosa che avviene tutt’oggi, visto che ancora si studia sui banchi di scuola. Eppure sembra che i bambini conoscono la famosa fiera ma non il suo autore…
R:«Certo, meglio, si spiega che senza scherzi, sono entrato nella storia, perché l’opera è talmente diventata opera popolare, da non appartenere più al suo autore».
Negli anni duemila ha cantato San Francesco, come è nato quel progetto?
R:«Quello è stato un altro grande successo. L’idea non è stata mia ma dei francescani che hanno ritenuto che io fossi l’unico adatto a musicare fedelmente gli scritti di San Francesco. Ammetto che all’inizio ero molto titubato, poi alla fine in maniera un po’ divertente ho chiesto loro perché lo chiedevano a me che ero un peccatore e loro mi hanno risposto che Dio per l’appunto sceglie sempre i peccatori, e devo dire che è una battuta bellissima. Quindi mia moglie ha iniziato a lavorarci, e a quel punto lì ho messo su questo meraviglioso progetto».
Maestro, avremo in futuro la possibilità di poterla ascoltare nella nostra meravigliosa Puglia?
R:«Non ho la minima idea…stanno facendo il calendario spero che una tappa in Puglia non manchi».