LECCE - Aumentano le «imprese rosa» in provincia di Lecce. Sono 16.352 e rappresentano il 22,4 per cento del totale delle aziende salentine (73.078). L’Osservatorio economico di Davide Stasi ha condotto un’indagine sulle imprese femminili (aggiornate all’ultimo trimestre disponibile ovvero al 31 dicembre 2017). A fine 2016 erano 16.179. L’incremento, in un anno, è stato di 173 unità , pari all’1,1 per cento.
L’analisi per settori economici evidenzia una consistente presenza imprenditoriale femminile nel commercio al dettaglio con 5.216 imprese che rappresentano il 31,9 per cento del totale delle imprese femminili; nell’agricoltura si contano 2.612 imprese (pari al 16 per cento), nel turismo 1.707 imprese (10,4 per cento) e nelle «altre attività di servizi» (prevalentemente servizi alla persona) con 1.531 imprese (9,4 per cento). Le attività manifatturiere sono 1.134 (6,9 per cento). Sono attualmente 1.201 le imprese femminili iscritte come «non classificate», in quanto non hanno ancora comunicato il tipo di attività che svolgeranno in futuro.
I Comuni della provincia di Lecce dove si registra una maggiore incidenza delle «imprese rosa» sono Otranto con il 34,7 per cento (313 aziende femminili sul totale di 903); Cannole con il 30,9 per cento (72 su 233); Santa Cesarea Terme con il 29,7 per cento (74 su 249); Miggiano con il 28 per cento (69 su 246); Castro con il 27,5 per cento (49 su 178); Patù con il 27 per cento (37 su 137); Diso con il 26,7 per cento (55 su 206); Sanarica con il 26,4 per cento (29 su 110); Palmariggi con il 26,1 per cento (29 su 111); Nociglia con il 25,9 per cento (42 su 162); Andrano con il 25,8 per cento (77 su 298); Melendugno con il 25,6 per cento (264 su 1.030); Gagliano del Capo con il 25,5 per cento (104 su 408); Morciano di Leuca con il 25,5 per cento (84 su 329); Ortelle con il 25,5 per cento (42 su 165).
La città capoluogo, Lecce, occupa la 32esima posizione, dunque sopra la media provinciale, con il 23,5 per cento (2.931 imprese sul totale di 12.496). In fondo alla speciale classifica, figurano Neviano con il 18 per cento (66 su 367); Sogliano Cavour, anch’esso con il 18 per cento (52 su 289); Surbo con il 17,9 per cento (183 su 1.022); San Cassiano con il 17,2 per cento (28 su 163) e in ultima posizione Castrì di Lecce con il 17 per cento (37 su 218).
«Il grado di imprenditorialità femminile – spiega Davide Stasi – è “esclusivo” in 14.064 aziende della provincia di Lecce. Risulta “forte” in altre 1.899 e “maggioritario” nelle restanti 389. In particolare, l’analisi della forma giuridica evidenzia che il 69,9 per cento è costituito da ditte individuali (11.437). Seguono le società di capitali (3.112) che rappresentano il 19 per cento e la dinamica degli ultimi anni indica un’evoluzione in corso verso questa forma giuridica più “strutturata”. Le società di persone – aggiunge – sono 1.090, pari al 6,7 per cento; le cooperative sono 649, pari al 4 per cento e i consorzi appena 11, pari allo 0,1 per cento; le altre forme giuridiche sono 53. Queste imprese danno lavoro a 39.273 addetti, di cui 10.980 addetti familiari e 28.293 subordinati».
Il lavoro di ricerca ha permesso di analizzare il capitale sociale delle stesse. Le “imprese rosa” costituite senza capitali sono 11.449, pari al 70 per cento. Quelle con capitale fino a 10mila euro sono 1.818, pari all’11,1 per cento; quelle con capitale tra i 10mila e i 15mila sono 1.977 ovvero il 12,1 percento. Seguono le altre con percentuali marginali. Appena 4 le imprese con un capitale tra i 2 milioni di euro e i 2,5 milioni; una sola capitalizza tra i 2,5 milioni e i 5 milioni e 17 quelle che hanno investito nel capitale sociale oltre 5 milioni».
«Nel nostro Paese – prosegue Stasi – sia per la crisi che per le reali difficoltà nel trovare un posto di lavoro, cresce sempre di più la voglia di mettersi in proprio e trasformare un’idea di impresa in una start up, sempre più spesso tutta al femminile. Nella maggior parte dei casi, le aziende in “rosa” possono fruire di una serie di agevolazioni a patto che in una ditta individuale, la titolare sia una donna; in una società di persone e cooperative, almeno il 60 per cento dei soci devono essere donne, mentre nelle società di capitali, almeno 2/3 delle quote devono essere in possesso di donne e l’amministrazione deve essere composta almeno da 1/3 di donne.
Per quanto riguarda, invece, le piccole imprese i requisiti da possedere sono tre: avere meno di 50 dipendenti, un fatturato inferiore a sette milioni di euro o cinque milioni di totale di bilancio e non essere dipendenti da imprese partecipanti. Dal 15 gennaio scorso, inoltre, è possibile presentare domanda anche per “Resto al Sud”, riservata ai giovani tra i 18 e i 35 anni.
I tipi di agevolazioni – sottolinea – che spettano alle donne che costituiscono imprese femminili, possono essere “contributi a fondo perduto” (ovvero incentivi per l’avvio dell’impresa femminile, costituiti da una parte di capitale che non deve essere restituito, generalmente il 50 per cento dei fondi e il resto viene rimborsato in rate a tasso agevolato). Ci sono, poi, le agevolazioni per avviare l’attività imprenditoriale, realizzare nuovi progetti aziendali, acquistare nuovi prodotti e servizi. Esiste anche il fondo di garanzia che non prevede un contributo economico, ma permette di richiedere un finanziamento garantito dallo Stato. Infine, il microcredito che non è un contributo economico, ma è la garanzia sull’eventuale prestito richiesto da imprese femminili già costituite o da professioniste con partita Iva da almeno cinque anni».
L’analisi per settori economici evidenzia una consistente presenza imprenditoriale femminile nel commercio al dettaglio con 5.216 imprese che rappresentano il 31,9 per cento del totale delle imprese femminili; nell’agricoltura si contano 2.612 imprese (pari al 16 per cento), nel turismo 1.707 imprese (10,4 per cento) e nelle «altre attività di servizi» (prevalentemente servizi alla persona) con 1.531 imprese (9,4 per cento). Le attività manifatturiere sono 1.134 (6,9 per cento). Sono attualmente 1.201 le imprese femminili iscritte come «non classificate», in quanto non hanno ancora comunicato il tipo di attività che svolgeranno in futuro.
I Comuni della provincia di Lecce dove si registra una maggiore incidenza delle «imprese rosa» sono Otranto con il 34,7 per cento (313 aziende femminili sul totale di 903); Cannole con il 30,9 per cento (72 su 233); Santa Cesarea Terme con il 29,7 per cento (74 su 249); Miggiano con il 28 per cento (69 su 246); Castro con il 27,5 per cento (49 su 178); Patù con il 27 per cento (37 su 137); Diso con il 26,7 per cento (55 su 206); Sanarica con il 26,4 per cento (29 su 110); Palmariggi con il 26,1 per cento (29 su 111); Nociglia con il 25,9 per cento (42 su 162); Andrano con il 25,8 per cento (77 su 298); Melendugno con il 25,6 per cento (264 su 1.030); Gagliano del Capo con il 25,5 per cento (104 su 408); Morciano di Leuca con il 25,5 per cento (84 su 329); Ortelle con il 25,5 per cento (42 su 165).
La città capoluogo, Lecce, occupa la 32esima posizione, dunque sopra la media provinciale, con il 23,5 per cento (2.931 imprese sul totale di 12.496). In fondo alla speciale classifica, figurano Neviano con il 18 per cento (66 su 367); Sogliano Cavour, anch’esso con il 18 per cento (52 su 289); Surbo con il 17,9 per cento (183 su 1.022); San Cassiano con il 17,2 per cento (28 su 163) e in ultima posizione Castrì di Lecce con il 17 per cento (37 su 218).
«Il grado di imprenditorialità femminile – spiega Davide Stasi – è “esclusivo” in 14.064 aziende della provincia di Lecce. Risulta “forte” in altre 1.899 e “maggioritario” nelle restanti 389. In particolare, l’analisi della forma giuridica evidenzia che il 69,9 per cento è costituito da ditte individuali (11.437). Seguono le società di capitali (3.112) che rappresentano il 19 per cento e la dinamica degli ultimi anni indica un’evoluzione in corso verso questa forma giuridica più “strutturata”. Le società di persone – aggiunge – sono 1.090, pari al 6,7 per cento; le cooperative sono 649, pari al 4 per cento e i consorzi appena 11, pari allo 0,1 per cento; le altre forme giuridiche sono 53. Queste imprese danno lavoro a 39.273 addetti, di cui 10.980 addetti familiari e 28.293 subordinati».
Il lavoro di ricerca ha permesso di analizzare il capitale sociale delle stesse. Le “imprese rosa” costituite senza capitali sono 11.449, pari al 70 per cento. Quelle con capitale fino a 10mila euro sono 1.818, pari all’11,1 per cento; quelle con capitale tra i 10mila e i 15mila sono 1.977 ovvero il 12,1 percento. Seguono le altre con percentuali marginali. Appena 4 le imprese con un capitale tra i 2 milioni di euro e i 2,5 milioni; una sola capitalizza tra i 2,5 milioni e i 5 milioni e 17 quelle che hanno investito nel capitale sociale oltre 5 milioni».
«Nel nostro Paese – prosegue Stasi – sia per la crisi che per le reali difficoltà nel trovare un posto di lavoro, cresce sempre di più la voglia di mettersi in proprio e trasformare un’idea di impresa in una start up, sempre più spesso tutta al femminile. Nella maggior parte dei casi, le aziende in “rosa” possono fruire di una serie di agevolazioni a patto che in una ditta individuale, la titolare sia una donna; in una società di persone e cooperative, almeno il 60 per cento dei soci devono essere donne, mentre nelle società di capitali, almeno 2/3 delle quote devono essere in possesso di donne e l’amministrazione deve essere composta almeno da 1/3 di donne.
Per quanto riguarda, invece, le piccole imprese i requisiti da possedere sono tre: avere meno di 50 dipendenti, un fatturato inferiore a sette milioni di euro o cinque milioni di totale di bilancio e non essere dipendenti da imprese partecipanti. Dal 15 gennaio scorso, inoltre, è possibile presentare domanda anche per “Resto al Sud”, riservata ai giovani tra i 18 e i 35 anni.
I tipi di agevolazioni – sottolinea – che spettano alle donne che costituiscono imprese femminili, possono essere “contributi a fondo perduto” (ovvero incentivi per l’avvio dell’impresa femminile, costituiti da una parte di capitale che non deve essere restituito, generalmente il 50 per cento dei fondi e il resto viene rimborsato in rate a tasso agevolato). Ci sono, poi, le agevolazioni per avviare l’attività imprenditoriale, realizzare nuovi progetti aziendali, acquistare nuovi prodotti e servizi. Esiste anche il fondo di garanzia che non prevede un contributo economico, ma permette di richiedere un finanziamento garantito dallo Stato. Infine, il microcredito che non è un contributo economico, ma è la garanzia sull’eventuale prestito richiesto da imprese femminili già costituite o da professioniste con partita Iva da almeno cinque anni».