PESCARA - Si terrà il 23 aprile 2018, alle ore 21.00, ed e’ organizzata dal circolo culturale “Il Nostro Circolo” del sindaco emerito di Montesilvano, dottor Lillo Cordoma, in Corso Umberto I n. 348 a Montesilvano (PE), con il patrocinio dei Comitati delle Due Sicilie, la Fondazione Francesco II di Borbone e l’associazione Brigantesse d’Abruzzo.
La piccola migrazione di qualità verso la Crimea, prima del 1861, fu sollecitata dagli emissari zaristi alla famiglia Borbone, poiché il Regno delle Due Sicilie rappresentava per essi il meglio nell’agricoltura, nell’artigianato e nella pesca: infatti, agricoltori, pescatori e artigiani di qualità vennero invitati in Crimea allo scopo d’insegnare ai sudditi dello Zar l’arte della pesca, della navigazione, l’agricoltura e la manifattura ed il Regno delle Due Sicilie decise di aprire il consolato di Kerc per coadiuvarli in loco.
La grande migrazione verso la Crimea, dopo il 1861, fu causata dall’impoverimento dei territori del Regno delle Due Sicilie, dovuto all’invasione piemontese, caratterizzata dal trasferimento di migliaia e migliaia di famiglie, provenienti soprattutto dalla Puglia, dalla Campania, dall’Abruzzo e dalla Calabria, che si concentravano soprattutto nelle città costiere come Kerc: tra di esse non vi erano solo agricoltori, artigiani e pescatori, ma anche musicisti, avvocati, architetti, medici e scrittori.
Sorse, così, una grande e prospera comunità nella penisola del Mar Nero, la cui bellezza è facilmente desumibile da un detto russo che riassume il meglio del mondo così: “Crim e Rim”, Crimea e Roma (… e poi puoi pure morire).
La comunità crebbe, generò una solida economia, si fece apprezzare e suscitò anche invidia.
La rivoluzione bolscevica segnò l’inizio della fine, con la fuga precipitosa di migliaia di persone verso la penisola italiana e l’espropriazione dei loro beni: addirittura sino al 1920, anno in cui la Crimea cadde interamente nelle mani dei bolscevichi, il Generale Wrangel a capo dell’Armata Bianca di Crimea aveva organizzato la fuga di 150.000 profughi, passando per Costantinopoli.
La collettivizzazione forzata degli anni 20 costrinse quelli che vollero rimanere a consegnare tutti i loro beni al Kolchoz denominato “Sacco e Vanzetti”, soffrendo finanche la fame.
La Comunità rimasta fu pesantemente colpita anche dalle Purghe staliniane, iniziate nel 1935, attraverso fucilazioni e deportazioni.
Nel 1942, la stessa fu interamente deportata nei Gulag del Kazakistan (soprattutto in quello di Karaganda che superava la superficie di 40.000 chilometri quadrati): in pochi si salvarono dalla deportazione; nella sola Kerc, su circa 2.000 deportati, vi fecero ritorno in soli circa 200.
Quelle famiglie avevano conservato, fossilizzato, perché “lingua” di una minoranza etnica, il loro dialetto, che nella patria d’origine evolveva con i tempi, diventando altro.
Ci fu chi la studiò (un dotto prelato ne trasse un vocabolario e una ricerca di grande spessore: “Della lingua dei pugliesi di Crimea”).
Ma quei nostri emigrati furono comunque dimenticati; al punto che, mentre tutte le altre minoranze etniche di Crimea martirizzate da Stalin erano state riconosciute come vittime della repressione, grazie al lavoro diplomatico dei loro Paesi di partenza, l’unica esclusa era quella italiana, a riprova di quanta attenzione prestino i nostri governi e le nostre rappresentanze diplomatiche (con poche, ma non decisive eccezioni) ai connazionali all’estero.
La vicenda di quella comunità è stata meritoriamente ricostruita da Stefano Mensurati e Giulia Giachetti Boico, presidente dell’associazione Cerkio con sede a Kerc.
Dalle loro ricerche sono nati due libri pubblicati sul genocidio dimenticato degli Italiani di Crimea dall’editore Settimo Sigillo e scritti a quattro mani con il Professor Giulio Vignoli dell’Università di Genova, la mostra ed il catalogo che oramai girano tutta la penisola grazie all’impegno anche dei discendenti italiani come il sottoscritto (per parte materna Zingarelli, emigrati da Bisceglie nella seconda metà dell’ottocento, prima ad Odessa, dove fu composta “ O sole mio”, e poi a Kerc, e ritornati all’epoca della rivoluzione bolscevica) e soprattutto della Onlus l’Uomo Libero e della Libreria Editrice Goriziana.
Infine, l’11 settembre 2015 il Presidente Russo Vladimir Putin ha incontrato i rappresentanti dell’associazione Cerkio in Crimea promettendo loro il riconoscimento, negato dall’Ucraina per oltre 20 anni, di minoranza deportata, avvenuto puntualmente con decreto del 12 settembre 2015.
La piccola migrazione di qualità verso la Crimea, prima del 1861, fu sollecitata dagli emissari zaristi alla famiglia Borbone, poiché il Regno delle Due Sicilie rappresentava per essi il meglio nell’agricoltura, nell’artigianato e nella pesca: infatti, agricoltori, pescatori e artigiani di qualità vennero invitati in Crimea allo scopo d’insegnare ai sudditi dello Zar l’arte della pesca, della navigazione, l’agricoltura e la manifattura ed il Regno delle Due Sicilie decise di aprire il consolato di Kerc per coadiuvarli in loco.
La grande migrazione verso la Crimea, dopo il 1861, fu causata dall’impoverimento dei territori del Regno delle Due Sicilie, dovuto all’invasione piemontese, caratterizzata dal trasferimento di migliaia e migliaia di famiglie, provenienti soprattutto dalla Puglia, dalla Campania, dall’Abruzzo e dalla Calabria, che si concentravano soprattutto nelle città costiere come Kerc: tra di esse non vi erano solo agricoltori, artigiani e pescatori, ma anche musicisti, avvocati, architetti, medici e scrittori.
Sorse, così, una grande e prospera comunità nella penisola del Mar Nero, la cui bellezza è facilmente desumibile da un detto russo che riassume il meglio del mondo così: “Crim e Rim”, Crimea e Roma (… e poi puoi pure morire).
La comunità crebbe, generò una solida economia, si fece apprezzare e suscitò anche invidia.
La rivoluzione bolscevica segnò l’inizio della fine, con la fuga precipitosa di migliaia di persone verso la penisola italiana e l’espropriazione dei loro beni: addirittura sino al 1920, anno in cui la Crimea cadde interamente nelle mani dei bolscevichi, il Generale Wrangel a capo dell’Armata Bianca di Crimea aveva organizzato la fuga di 150.000 profughi, passando per Costantinopoli.
La collettivizzazione forzata degli anni 20 costrinse quelli che vollero rimanere a consegnare tutti i loro beni al Kolchoz denominato “Sacco e Vanzetti”, soffrendo finanche la fame.
La Comunità rimasta fu pesantemente colpita anche dalle Purghe staliniane, iniziate nel 1935, attraverso fucilazioni e deportazioni.
Nel 1942, la stessa fu interamente deportata nei Gulag del Kazakistan (soprattutto in quello di Karaganda che superava la superficie di 40.000 chilometri quadrati): in pochi si salvarono dalla deportazione; nella sola Kerc, su circa 2.000 deportati, vi fecero ritorno in soli circa 200.
Quelle famiglie avevano conservato, fossilizzato, perché “lingua” di una minoranza etnica, il loro dialetto, che nella patria d’origine evolveva con i tempi, diventando altro.
Ci fu chi la studiò (un dotto prelato ne trasse un vocabolario e una ricerca di grande spessore: “Della lingua dei pugliesi di Crimea”).
Ma quei nostri emigrati furono comunque dimenticati; al punto che, mentre tutte le altre minoranze etniche di Crimea martirizzate da Stalin erano state riconosciute come vittime della repressione, grazie al lavoro diplomatico dei loro Paesi di partenza, l’unica esclusa era quella italiana, a riprova di quanta attenzione prestino i nostri governi e le nostre rappresentanze diplomatiche (con poche, ma non decisive eccezioni) ai connazionali all’estero.
La vicenda di quella comunità è stata meritoriamente ricostruita da Stefano Mensurati e Giulia Giachetti Boico, presidente dell’associazione Cerkio con sede a Kerc.
Dalle loro ricerche sono nati due libri pubblicati sul genocidio dimenticato degli Italiani di Crimea dall’editore Settimo Sigillo e scritti a quattro mani con il Professor Giulio Vignoli dell’Università di Genova, la mostra ed il catalogo che oramai girano tutta la penisola grazie all’impegno anche dei discendenti italiani come il sottoscritto (per parte materna Zingarelli, emigrati da Bisceglie nella seconda metà dell’ottocento, prima ad Odessa, dove fu composta “ O sole mio”, e poi a Kerc, e ritornati all’epoca della rivoluzione bolscevica) e soprattutto della Onlus l’Uomo Libero e della Libreria Editrice Goriziana.
Infine, l’11 settembre 2015 il Presidente Russo Vladimir Putin ha incontrato i rappresentanti dell’associazione Cerkio in Crimea promettendo loro il riconoscimento, negato dall’Ucraina per oltre 20 anni, di minoranza deportata, avvenuto puntualmente con decreto del 12 settembre 2015.
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