di FRANCESCO GRECO - ALESSANO (LE). Caro è agli dei chi se ne va troppo presto… Giornalista, saggista, ricercatore, etnomusicologo, direttore artistico della “Notte della Taranta”, Sergio Torsello se ne andava all’improvviso tre anni fa, in un giorno di primavera (19 aprile 2015) lasciando il padre Corrado, la moglie Anna Paola Amoroso e due figli: Giulia e Andrea.
Ancora giovane (era del 1964), nel pieno vigore delle energie intellettuali, che spese senza risparmio, in una terra che amava, contribuendo alla sua riconoscibilità e visibilità nei decenni passati.
Partendo dal concept: descrivere il personaggio e la sua mission, l’ing. Agostino Laganà e l’arch. Luigi Nicolardi, con l’affetto che nasce da una lunga amicizia, hanno lavorato a un “progetto evocativo” fondato sugli aspetti che più hanno caratterizzato e attraversato la vita dello studioso e dell’amico di tante esperienze trascorse insieme. Una serie di elementi allegorici sviluppati in tutte le loro molteplici articolazioni nell’edicola funeraria nel cimitero di Alessano.
L’impianto planimetrico rappresenta l’immagine di un libro aperto, in cui viene raccontata la storia di una vita che nonostante tutto non si interrompe, anzi, prosegue, nella sua ricchezza semantica. Altro topos della vita dello sfortunato studioso della cultura popolare del Salento è rappresentato dalla piazza, l’agorà, soprattutto quelle della Grecìa Salentina, dove l’affabulazione scorre come un fiume tranquillo, la memoria, la conoscenza, il passato rivivono e i contemporanei se n‘appropriano.
Grande importanza viene attribuita al disegno di questo piccolo spazio che si apre all’incrocio dei due viali ortogonali che lo lambiscono. Alla piazza è riservato il ruolo di conferire valenza simbolica al progetto e carattere di unitarietà all’insieme degli elementi.
La pavimentazione, in lastre di pietra leccese opportunamente intagliate, rappresenta le lettere di un alfabeto di una nuova lingua senza tempo e senza storia.
Il tutto a simboleggiare una piccola agorà al cui centro, orientato lungo l’asse est-ovest, è stato inserito un Menhir, quale elemento di congiunzione tra la terra e il cielo, tra il naturale e il soprannaturale. Unico esempio di orologio naturale, in cui la proiezione dell’ombra, con il suo variare in funzione della posizione del sole, rappresenta lo scorrere del tempo, che non smette mai di segnare le ore, anche dopo il momento del trapasso.
Altra costante di una vita: il palcoscenico, che domina la scena e si può leggere anche come prosecuzione dell’agorà e dove si possono immaginare le folle sconfinate della “Notte della Taranta”.
Il tutto è poi impreziosito da un ritratto in bianco e nero (nella foto) dell’artista Roberto Russo, con una frase dello scrittore argentino Jorge Luis Borges scelta dalla moglie: “…”.
“Abbiamo voluto regalare a Sergio -. concludono i tecnici – un luogo che contenesse la sua storia passata, come se dovesse continuare a vivere, con le stesse passioni…”.
Ancora giovane (era del 1964), nel pieno vigore delle energie intellettuali, che spese senza risparmio, in una terra che amava, contribuendo alla sua riconoscibilità e visibilità nei decenni passati.
Partendo dal concept: descrivere il personaggio e la sua mission, l’ing. Agostino Laganà e l’arch. Luigi Nicolardi, con l’affetto che nasce da una lunga amicizia, hanno lavorato a un “progetto evocativo” fondato sugli aspetti che più hanno caratterizzato e attraversato la vita dello studioso e dell’amico di tante esperienze trascorse insieme. Una serie di elementi allegorici sviluppati in tutte le loro molteplici articolazioni nell’edicola funeraria nel cimitero di Alessano.
L’impianto planimetrico rappresenta l’immagine di un libro aperto, in cui viene raccontata la storia di una vita che nonostante tutto non si interrompe, anzi, prosegue, nella sua ricchezza semantica. Altro topos della vita dello sfortunato studioso della cultura popolare del Salento è rappresentato dalla piazza, l’agorà, soprattutto quelle della Grecìa Salentina, dove l’affabulazione scorre come un fiume tranquillo, la memoria, la conoscenza, il passato rivivono e i contemporanei se n‘appropriano.
Grande importanza viene attribuita al disegno di questo piccolo spazio che si apre all’incrocio dei due viali ortogonali che lo lambiscono. Alla piazza è riservato il ruolo di conferire valenza simbolica al progetto e carattere di unitarietà all’insieme degli elementi.
La pavimentazione, in lastre di pietra leccese opportunamente intagliate, rappresenta le lettere di un alfabeto di una nuova lingua senza tempo e senza storia.
Il tutto a simboleggiare una piccola agorà al cui centro, orientato lungo l’asse est-ovest, è stato inserito un Menhir, quale elemento di congiunzione tra la terra e il cielo, tra il naturale e il soprannaturale. Unico esempio di orologio naturale, in cui la proiezione dell’ombra, con il suo variare in funzione della posizione del sole, rappresenta lo scorrere del tempo, che non smette mai di segnare le ore, anche dopo il momento del trapasso.
Altra costante di una vita: il palcoscenico, che domina la scena e si può leggere anche come prosecuzione dell’agorà e dove si possono immaginare le folle sconfinate della “Notte della Taranta”.
Il tutto è poi impreziosito da un ritratto in bianco e nero (nella foto) dell’artista Roberto Russo, con una frase dello scrittore argentino Jorge Luis Borges scelta dalla moglie: “…”.
“Abbiamo voluto regalare a Sergio -. concludono i tecnici – un luogo che contenesse la sua storia passata, come se dovesse continuare a vivere, con le stesse passioni…”.