LECCE - Diminuiscono gli occupati e i disoccupati, mentre aumentano gli inattivi in provincia di Lecce. A rilevarlo l’Osservatorio economico di Davide Stasi che ha elaborato i dati sul mercato del lavoro degli ultimi dieci anni.
Il contesto socio-economico condiziona, ancora una volta negativamente, le dinamiche dell’occupazione e la ripresa, nel Salento, resta ancora debole, a causa degli effetti di lungo periodo della recessione.
In particolare, il tasso di occupazione è sceso dal 43,7 per cento al 42,7 per cento. Gli occupati sono 223.109, di cui 137.200 uomini e 85.909 donne (contro i 228.287 dell’anno precedente, di cui 142.003 uomini e 86.284 donne). Si registra, dunque, una contrazione di 5.178 unità lavorative in meno, di cui 4.803 uomini e 375 donne.
Rispetto al 2013, la contrazione è di 2.022 unità in meno, di cui 5.295 uomini, mentre risulta positiva la performance delle donne di 3.273 unità (le donne occupate erano 82.636).
Rispetto al 2007, quando gli occupati raggiunsero quota 249mila, la contrazione è di 25.891 unità in meno, di cui 23.818 uomini e 2.073 donne.
Eppure i segnali registrati nel biennio 2015-2016 lasciavano ben sperare in una graduale e costante ripresa, considerato il tasso di occupazione che era salito prima al 43 per cento e poi al 43,7 per cento. Inoltre, dall’analisi per comparti produttivi, hanno registrato buone performance il turismo, seguito dalla sanità e dall’assistenza sociale.
Parallelamente, sempre in provincia di Lecce, il tasso di disoccupazione è sceso dal 23,1 per cento al 22,3. In termini assoluti, ci sono 64.163 disoccupati (contro i 68.492 dell’anno prima).
Impressionano, soprattutto, i dati riferiti ai giovani sino ai 29 anni. La percentuale, infatti, raggiunge quasi la metà: il 42 per cento per cento dei giovani tra i 18 e i 29 anni cerca lavoro. Sale al 47 per cento la quota dei giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni.
«I timidi segnali di ripresa registrati nel settore privato risultano del tutto insufficienti», commenta Davide Stasi. «Continuiamo a pagare le conseguenze di una crisi senza precedenti. Basti pensare – sottolinea – che, nel 2007, gli occupati erano 249mila e il tasso di occupazione era del 46,5 per cento. Parallelamente, i disoccupati erano 42.638, cioè 21.525 in meno e il tasso di disoccupazione si fermava al 14,6 per cento. Ma occorre analizzare bene questi dati – precisa – perché se da un lato cresce la disoccupazione giovanile, dall’altro, è incomprensibile la difficoltà a reperire manodopera nei settori dell’artigianato».
La “ricetta” per contrastare il fenomeno della disoccupazione è quella di «creare un rapporto più stretto tra la scuola e le aziende per avvicinare i giovani alle attività artigiane. Occorre, in particolare, valorizzare la formazione professionale, rilanciando l’apprendistato quale strumento formativo fondamentale per trasmettere il “saper fare” e per inserire i giovani nel mondo del lavoro. La riforma dell’apprendistato serve a ridurre la distanza tra i giovani e il mondo del lavoro. Da un lato, i ragazzi potranno trovare nuove strade per imparare una professione, dall’altro – conclude Stasi – le imprese potranno formare la manodopera qualificata di cui necessitano».
Il contesto socio-economico condiziona, ancora una volta negativamente, le dinamiche dell’occupazione e la ripresa, nel Salento, resta ancora debole, a causa degli effetti di lungo periodo della recessione.
In particolare, il tasso di occupazione è sceso dal 43,7 per cento al 42,7 per cento. Gli occupati sono 223.109, di cui 137.200 uomini e 85.909 donne (contro i 228.287 dell’anno precedente, di cui 142.003 uomini e 86.284 donne). Si registra, dunque, una contrazione di 5.178 unità lavorative in meno, di cui 4.803 uomini e 375 donne.
Rispetto al 2013, la contrazione è di 2.022 unità in meno, di cui 5.295 uomini, mentre risulta positiva la performance delle donne di 3.273 unità (le donne occupate erano 82.636).
Rispetto al 2007, quando gli occupati raggiunsero quota 249mila, la contrazione è di 25.891 unità in meno, di cui 23.818 uomini e 2.073 donne.
Eppure i segnali registrati nel biennio 2015-2016 lasciavano ben sperare in una graduale e costante ripresa, considerato il tasso di occupazione che era salito prima al 43 per cento e poi al 43,7 per cento. Inoltre, dall’analisi per comparti produttivi, hanno registrato buone performance il turismo, seguito dalla sanità e dall’assistenza sociale.
Parallelamente, sempre in provincia di Lecce, il tasso di disoccupazione è sceso dal 23,1 per cento al 22,3. In termini assoluti, ci sono 64.163 disoccupati (contro i 68.492 dell’anno prima).
Impressionano, soprattutto, i dati riferiti ai giovani sino ai 29 anni. La percentuale, infatti, raggiunge quasi la metà: il 42 per cento per cento dei giovani tra i 18 e i 29 anni cerca lavoro. Sale al 47 per cento la quota dei giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni.
«I timidi segnali di ripresa registrati nel settore privato risultano del tutto insufficienti», commenta Davide Stasi. «Continuiamo a pagare le conseguenze di una crisi senza precedenti. Basti pensare – sottolinea – che, nel 2007, gli occupati erano 249mila e il tasso di occupazione era del 46,5 per cento. Parallelamente, i disoccupati erano 42.638, cioè 21.525 in meno e il tasso di disoccupazione si fermava al 14,6 per cento. Ma occorre analizzare bene questi dati – precisa – perché se da un lato cresce la disoccupazione giovanile, dall’altro, è incomprensibile la difficoltà a reperire manodopera nei settori dell’artigianato».
La “ricetta” per contrastare il fenomeno della disoccupazione è quella di «creare un rapporto più stretto tra la scuola e le aziende per avvicinare i giovani alle attività artigiane. Occorre, in particolare, valorizzare la formazione professionale, rilanciando l’apprendistato quale strumento formativo fondamentale per trasmettere il “saper fare” e per inserire i giovani nel mondo del lavoro. La riforma dell’apprendistato serve a ridurre la distanza tra i giovani e il mondo del lavoro. Da un lato, i ragazzi potranno trovare nuove strade per imparare una professione, dall’altro – conclude Stasi – le imprese potranno formare la manodopera qualificata di cui necessitano».