di FRANCESCO GRECO - Così attuale che pare scritto oggi, al tempo infame e viscido delle fake-news dilaganti (dov’è l’arsenale chimico di Saddam?), Facebook spiona e Cambridge Analytics. Che si sommano agli hacker e i troll che avrebbero lavorato per lavare i cervelli Usa a danno di Hillary Clinton, per spingere il populista Donald Trump verso la Casa Bianca.
E invece, potenza della modulazione visionaria, ha un secolo (1922) “L’opinione pubblica”, di Walter Lippmann, Donzelli Editore, Roma 2018, pp. 316, euro 22,00 (Piccola Biblioteca Donzelli, prefazione di Nicola Tranfaglia, traduzione di Cesare Mannucci).
E aiuta anche a capire come può accadere di aver svezzato la gente a colpi di “Vaffa” escatologici e oggi non si riesce a gestire il risultato, poiché le democrazie sono cose complesse assai, e diremmo anzi barocche, sono processi quasi impossibili da governare: non basta procurarsi il consenso con ogni mezzo, anche il meno etico (infatti il reddito di cittadinanza è quasi sparito dal programma del M5S: era solo un espediente, un piede di porco per scardinare le istituzioni), e passare dalla fase della protesta alla proposta è cosa ardua assai. Si vedrà…
Intanto frughiamo in questo bel saggio – un classico della sociologia dei media - scritto in modo divulgativo, cioè per tutti, che ci aiuta a capire come funziona la propaganda, come il cittadino-elettore, in epoca di bulimia mediatica, si ritrova a pensarla come chi detiene il potere e chi lo governa, senza più una vaga sembianza di capacità critica, né libero arbitrio, avvolti nel peplo di quello che Tranfaglia chiama “ambiente invisibile”, come inavvertibili sono i condizionamenti. Così siamo ridotti a cloni, consumatori di format mentali e culturali altrui, che pensiamo nostri. Anche perché i decisori politici tessono attorno una normativa ad acta, con controlli dai contenuti meramente sociologici, detta volgarmente: polveroni demagogici, specchietti per allodole.
La biografia di Lippmann ne attesta la capacità analitica, anche attraverso le convulsioni ideologiche e l’umoralità, segno di orizzonti culturali privi di steccati e ortodossie in un tempo, il Novecento, che ha sofferto anche di tale patologia.
Premessa razionale: “La creazione del consenso non è un’arte nuova. E’ un’arte vecchissima…” (Lippmann, che parte dalla psicoanalisi per parlare di codici, stereotipi, censure, segretezza, capi, seguaci, lettori, natura delle news, ecc.), e forse anche i Faraoni sapevano come controllare e indottrinare il loro popolo, solo che oggi, grazie anche alle nuove tecnologie, ha raggiunto una dimensione rarefatta e micidiale nella sua efficacia. Ma non ce ne rendiamo conto e crediamo nel potere dei social e del web in generale, del tutto inesistente, se consideriamo, per dirne solo una, che le primavere arabe proprio sulla rete hanno fondato la capacità di propaganda e di aggregazione, eppure sono tutte fallite.
Tranfaglia data, nello specifico, l’inizio di processi destrutturanti al 1994, Berlusconi, “l’Italia è il paese che amo…”.Sottinteso: prima i condizionamenti erano più rustici, e da quella “discesa in campo” si sono fatti mirati e scientifici, anche col sostrato della tv spazzatura, che ha desertificato il nostro immaginario, mutato la percezione del reale.
In un contesto di informazione globalizzata e di ideologie relativizzate, che ha distrutto categorie politiche e culturali, siamo entrati in un processo in cui l’opinione pubblica è stata omologata, cloroformizzata, depotenziata e alla fin fine neutralizzata. Ce ne vorrà affinché le coscienze acquistino sensibilità, reattività, un minimo di autonomia.
Questo saggio aiuta un poco entrando nei meccanismi, gli ingranaggi e spiegandoli. Il resto dobbiamo farlo noi...
E invece, potenza della modulazione visionaria, ha un secolo (1922) “L’opinione pubblica”, di Walter Lippmann, Donzelli Editore, Roma 2018, pp. 316, euro 22,00 (Piccola Biblioteca Donzelli, prefazione di Nicola Tranfaglia, traduzione di Cesare Mannucci).
E aiuta anche a capire come può accadere di aver svezzato la gente a colpi di “Vaffa” escatologici e oggi non si riesce a gestire il risultato, poiché le democrazie sono cose complesse assai, e diremmo anzi barocche, sono processi quasi impossibili da governare: non basta procurarsi il consenso con ogni mezzo, anche il meno etico (infatti il reddito di cittadinanza è quasi sparito dal programma del M5S: era solo un espediente, un piede di porco per scardinare le istituzioni), e passare dalla fase della protesta alla proposta è cosa ardua assai. Si vedrà…
Intanto frughiamo in questo bel saggio – un classico della sociologia dei media - scritto in modo divulgativo, cioè per tutti, che ci aiuta a capire come funziona la propaganda, come il cittadino-elettore, in epoca di bulimia mediatica, si ritrova a pensarla come chi detiene il potere e chi lo governa, senza più una vaga sembianza di capacità critica, né libero arbitrio, avvolti nel peplo di quello che Tranfaglia chiama “ambiente invisibile”, come inavvertibili sono i condizionamenti. Così siamo ridotti a cloni, consumatori di format mentali e culturali altrui, che pensiamo nostri. Anche perché i decisori politici tessono attorno una normativa ad acta, con controlli dai contenuti meramente sociologici, detta volgarmente: polveroni demagogici, specchietti per allodole.
La biografia di Lippmann ne attesta la capacità analitica, anche attraverso le convulsioni ideologiche e l’umoralità, segno di orizzonti culturali privi di steccati e ortodossie in un tempo, il Novecento, che ha sofferto anche di tale patologia.
Premessa razionale: “La creazione del consenso non è un’arte nuova. E’ un’arte vecchissima…” (Lippmann, che parte dalla psicoanalisi per parlare di codici, stereotipi, censure, segretezza, capi, seguaci, lettori, natura delle news, ecc.), e forse anche i Faraoni sapevano come controllare e indottrinare il loro popolo, solo che oggi, grazie anche alle nuove tecnologie, ha raggiunto una dimensione rarefatta e micidiale nella sua efficacia. Ma non ce ne rendiamo conto e crediamo nel potere dei social e del web in generale, del tutto inesistente, se consideriamo, per dirne solo una, che le primavere arabe proprio sulla rete hanno fondato la capacità di propaganda e di aggregazione, eppure sono tutte fallite.
Tranfaglia data, nello specifico, l’inizio di processi destrutturanti al 1994, Berlusconi, “l’Italia è il paese che amo…”.Sottinteso: prima i condizionamenti erano più rustici, e da quella “discesa in campo” si sono fatti mirati e scientifici, anche col sostrato della tv spazzatura, che ha desertificato il nostro immaginario, mutato la percezione del reale.
In un contesto di informazione globalizzata e di ideologie relativizzate, che ha distrutto categorie politiche e culturali, siamo entrati in un processo in cui l’opinione pubblica è stata omologata, cloroformizzata, depotenziata e alla fin fine neutralizzata. Ce ne vorrà affinché le coscienze acquistino sensibilità, reattività, un minimo di autonomia.
Questo saggio aiuta un poco entrando nei meccanismi, gli ingranaggi e spiegandoli. Il resto dobbiamo farlo noi...