di ALFREDO DE GIUSEPPE * - In questo mese ho letto con attenzione quanto riportato da una rivista mensile dell’Osservatore Romano, “Donne Chiesa Mondo”, in cui un articolo della giornalista francese Marie-Lucile Kubacki spiega la situazione di molte suore: «… impiegate al servizio di uomini di Chiesa, si alzano all’alba per preparare la colazione e vanno a dormire una volta che la cena è stata servita, la casa riordinata, la biancheria lavata e stirata. In questo tipo di “servizio” le suore non hanno un orario preciso e regolamentato, come i laici, e la loro retribuzione è aleatoria, spesso molto modesta».
Insomma, donne pagate poco, spesso non pagate affatto, che non hanno alcun orario o regolamento, non hanno un contratto e non hanno una convenzione con i Vescovi o le Parrocchie con cui lavorano.
La loro professionalità, la competenza o i loro titoli di studio non sono riconosciuti e questo genera, all’interno delle gerarchie «abusi di potere» e «violenza simbolica» che ha conseguenze molto concrete.
Nello stesso mese, ho visto al cinema il film del regista australiano Garth Davis dal titolo “Maria Maddalena” dove il ruolo della donna di Gesù (Filippo dice “La sua consorte”) viene finalmente esaltato nella sua corretta, direi normale, vicenda umana. Non più prostituta redenta come la Chiesa ha tentato di accreditare per quasi duemila anni e neanche una santa folgorata da una visione: semplicemente una donna problematica che non vuole sposare l’uomo scelto dai fratelli, che intravede una speranza in un nuovo profeta, un uomo timido, un po’ confuso e in definitiva vittima delle aspettative degli uomini del suo tempo, di cui lei finisce per innamorarsi.
In entrambi i lavori, uno attuale e l’altro che ci riporta all’antropologia del Cristianesimo, si pone prepotentemente in discussione il ruolo della donna nella Chiesa, ma anche nelle società dove quella religione ha influito pesantemente sulle vicende umane, dalla sessualità ai ruoli sociali.
Siamo tutti coinvolti: il nostro calendario parte dalla data di nascita di Cristo, tutto l’Occidente si è mosso sul presupposto della verità assoluta di quella religione, quasi tutti noi siamo battezzati, in qualche modo ne siamo intrisi culturalmente e filosoficamente.
Noi maschietti siamo tutti un po’ maschilisti, siamo nati, forgiati in questo contesto, dove tutto sembra naturalmente coerente con l’uomo posto un gradino più in alto. Ma è sempre stato così? Ovunque? O la religione, impostata come organizzazione statalista, si è data una sua dimensione maschilista?
Partiamo dall’inizio. Dalla Genesi: E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Allora l'uomo disse: "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta." Alla donna disse: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà”.
La donna era già sottoposta appena creata. Lunga sarebbe stata la strada della liberazione. Per quanto Cristo tenti di dare nei Vangeli pari dignità alle donne (a esempio difende una prostituta dal linciaggio, dialoga di religione con una reietta), Paolo nella prima lettera ai Corinzi si affretta a precisare: “Voglio tuttavia che sappiate questo: Cristo è il capo di ogni uomo, l'uomo è capo della donna e Dio è capo di Cristo. Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, disonora il suo capo; al contrario, ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa, perché è come se fosse rasa. Se una donna, dunque, non vuol portare il velo, si faccia anche tagliare i capelli! Ma se è vergognoso per una donna essere rasa, si copra col velo. L'uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. Infatti, l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall'uomo; né fu creato l'uomo per la donna, bensì la donna per l'uomo”.
È evidente che su queste basi non è difficile essere maschilisti. E la struttura della Chiesa è stata nei secoli abbondantemente maschilista, a partire dall’eliminazione di Maria Maddalena dall’iconografia degli apostoli, tutti rigidamente uomini.
Papa Woytila nel 1994 ha ribadito che il sacerdozio è riservato ai soli uomini, come peraltro il Catechismo della Chiesa Cattolica recita senza esitazioni al testo n. 1577: “Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile. Il Signore Gesù ha scelto uomini per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l'ordinazione delle donne non è possibile”.
Ora però son passati più di duemila anni. L’ultimo Papa, Francesco, ha dato una prima spallata a consuetudini e regole. È il momento di osare: ci dovrà essere, forse in un futuro molto vicino, una definitiva affermazione pratica della parità uomo-donna, partendo magari dal sacerdozio e da tutta la gerarchia ecclesiastica.
Non più suore al servizio di prelati, ma donne pronte a governare, a essere anche papesse, non più mogli fedeli e silenziose, ma persone attive e pensanti.
La Chiesa, vista l’enorme responsabilità storica che si porta sul groppone, dovrà prendere atto che marcare attraverso il proprio credo le differenze fra uomo e donna è ormai antitetico alla predicazione della giustizia sociale.
Fare questo passo, con decisione e brillantezza, formerà nel prossimo futuro generazioni di uomini meno frustrati, e donne più responsabili del loro ruolo, perché in effetti il maschilismo e la supina accettazione della sottomissione da parte delle donne sono la sommatoria finale (e a volte drammatica) di insegnamenti religiosi, di pratiche quotidiane, di millenni di storia e letteratura.
Un passo del genere creerà insomma quell’ambiente favorevole e far crescere una vera parità di genere, non più forzata da leggi, quote rosa e bolle papali, ma semplicemente una prassi culturalmente, antropologicamente accettata.
Del resto la religione, così come tutte le vicende umane, non è immutabile nel tempo, molte sterzate sono state compiute nei secoli: ora è arrivato il momento di cambiare registro su un argomento che, pur rifacendosi alle Sacre Scritture, non è più derogabile.
Abbiamo vissuto un lungo Medioevo e le martirizzazioni delle donne volute dal Sant’Uffizio, la negazione della libertà sessuale, l’immagine della donna fossilizzata in una vergine buona e romantica, angelo del focolare senza potere decisionale, poi però è arrivata la psicoanalisi di Freud, il lavoro industriale in grandi fabbriche, le rivoluzioni del ’68, il divorzio e l’autonomia economica: il Concilio Vaticano II in parte aveva iniziato un percorso, più volte ostacolato da resistenze e privilegi.
Ora manca il coraggio finale, che forse comporta la sostanziale modifica di alcuni passi fondanti della religione prima ebraica e poi cattolica, ma l’evoluzione dell’uomo e della società lo richiede: nessun libro di successo e ancora in voga, seppur scritto a più mani qualche secolo fa, potrà fermarla.
* regista, scrittore, imprenditore
Insomma, donne pagate poco, spesso non pagate affatto, che non hanno alcun orario o regolamento, non hanno un contratto e non hanno una convenzione con i Vescovi o le Parrocchie con cui lavorano.
La loro professionalità, la competenza o i loro titoli di studio non sono riconosciuti e questo genera, all’interno delle gerarchie «abusi di potere» e «violenza simbolica» che ha conseguenze molto concrete.
Nello stesso mese, ho visto al cinema il film del regista australiano Garth Davis dal titolo “Maria Maddalena” dove il ruolo della donna di Gesù (Filippo dice “La sua consorte”) viene finalmente esaltato nella sua corretta, direi normale, vicenda umana. Non più prostituta redenta come la Chiesa ha tentato di accreditare per quasi duemila anni e neanche una santa folgorata da una visione: semplicemente una donna problematica che non vuole sposare l’uomo scelto dai fratelli, che intravede una speranza in un nuovo profeta, un uomo timido, un po’ confuso e in definitiva vittima delle aspettative degli uomini del suo tempo, di cui lei finisce per innamorarsi.
In entrambi i lavori, uno attuale e l’altro che ci riporta all’antropologia del Cristianesimo, si pone prepotentemente in discussione il ruolo della donna nella Chiesa, ma anche nelle società dove quella religione ha influito pesantemente sulle vicende umane, dalla sessualità ai ruoli sociali.
Siamo tutti coinvolti: il nostro calendario parte dalla data di nascita di Cristo, tutto l’Occidente si è mosso sul presupposto della verità assoluta di quella religione, quasi tutti noi siamo battezzati, in qualche modo ne siamo intrisi culturalmente e filosoficamente.
Noi maschietti siamo tutti un po’ maschilisti, siamo nati, forgiati in questo contesto, dove tutto sembra naturalmente coerente con l’uomo posto un gradino più in alto. Ma è sempre stato così? Ovunque? O la religione, impostata come organizzazione statalista, si è data una sua dimensione maschilista?
Partiamo dall’inizio. Dalla Genesi: E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Allora l'uomo disse: "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta." Alla donna disse: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà”.
La donna era già sottoposta appena creata. Lunga sarebbe stata la strada della liberazione. Per quanto Cristo tenti di dare nei Vangeli pari dignità alle donne (a esempio difende una prostituta dal linciaggio, dialoga di religione con una reietta), Paolo nella prima lettera ai Corinzi si affretta a precisare: “Voglio tuttavia che sappiate questo: Cristo è il capo di ogni uomo, l'uomo è capo della donna e Dio è capo di Cristo. Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, disonora il suo capo; al contrario, ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa, perché è come se fosse rasa. Se una donna, dunque, non vuol portare il velo, si faccia anche tagliare i capelli! Ma se è vergognoso per una donna essere rasa, si copra col velo. L'uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. Infatti, l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall'uomo; né fu creato l'uomo per la donna, bensì la donna per l'uomo”.
È evidente che su queste basi non è difficile essere maschilisti. E la struttura della Chiesa è stata nei secoli abbondantemente maschilista, a partire dall’eliminazione di Maria Maddalena dall’iconografia degli apostoli, tutti rigidamente uomini.
Papa Woytila nel 1994 ha ribadito che il sacerdozio è riservato ai soli uomini, come peraltro il Catechismo della Chiesa Cattolica recita senza esitazioni al testo n. 1577: “Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile. Il Signore Gesù ha scelto uomini per formare il collegio dei dodici Apostoli, e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero loro succeduti nel ministero. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l'ordinazione delle donne non è possibile”.
Ora però son passati più di duemila anni. L’ultimo Papa, Francesco, ha dato una prima spallata a consuetudini e regole. È il momento di osare: ci dovrà essere, forse in un futuro molto vicino, una definitiva affermazione pratica della parità uomo-donna, partendo magari dal sacerdozio e da tutta la gerarchia ecclesiastica.
Non più suore al servizio di prelati, ma donne pronte a governare, a essere anche papesse, non più mogli fedeli e silenziose, ma persone attive e pensanti.
La Chiesa, vista l’enorme responsabilità storica che si porta sul groppone, dovrà prendere atto che marcare attraverso il proprio credo le differenze fra uomo e donna è ormai antitetico alla predicazione della giustizia sociale.
Fare questo passo, con decisione e brillantezza, formerà nel prossimo futuro generazioni di uomini meno frustrati, e donne più responsabili del loro ruolo, perché in effetti il maschilismo e la supina accettazione della sottomissione da parte delle donne sono la sommatoria finale (e a volte drammatica) di insegnamenti religiosi, di pratiche quotidiane, di millenni di storia e letteratura.
Un passo del genere creerà insomma quell’ambiente favorevole e far crescere una vera parità di genere, non più forzata da leggi, quote rosa e bolle papali, ma semplicemente una prassi culturalmente, antropologicamente accettata.
Del resto la religione, così come tutte le vicende umane, non è immutabile nel tempo, molte sterzate sono state compiute nei secoli: ora è arrivato il momento di cambiare registro su un argomento che, pur rifacendosi alle Sacre Scritture, non è più derogabile.
Abbiamo vissuto un lungo Medioevo e le martirizzazioni delle donne volute dal Sant’Uffizio, la negazione della libertà sessuale, l’immagine della donna fossilizzata in una vergine buona e romantica, angelo del focolare senza potere decisionale, poi però è arrivata la psicoanalisi di Freud, il lavoro industriale in grandi fabbriche, le rivoluzioni del ’68, il divorzio e l’autonomia economica: il Concilio Vaticano II in parte aveva iniziato un percorso, più volte ostacolato da resistenze e privilegi.
Ora manca il coraggio finale, che forse comporta la sostanziale modifica di alcuni passi fondanti della religione prima ebraica e poi cattolica, ma l’evoluzione dell’uomo e della società lo richiede: nessun libro di successo e ancora in voga, seppur scritto a più mani qualche secolo fa, potrà fermarla.
* regista, scrittore, imprenditore