di VITTORIO POLITO - Alcuni anni fa si svolse, ad iniziativa di Gianfranco Ruggieri, nell’omonimo negozio di Arte Sacra di Bari (che ha compiuto 150 anni insieme all’Unità d’Italia), una interessante serata culturale dedicata all’intrigante tema “San Nicola tra fede e arte in Grecia”, che gli illustri relatori padre Rosario Scognamiglio o.f.p., il compianto archeologo Nino Lavermicocca, Nico Veneziani, cardiologo con la passione delle tradizioni popolari e di San Nicola, e Lorenzo Gentile, poeta e commediografo, svolsero magistralmente.
Nico Veneziani, ripropose provocatoriamente l’antico dilemma se fu traslazione o furto quello delle reliquie nicolaiane presenti a Bari: in riferimento ad uno scritto di Norberto Ohler, docente di storia medievale all’Università di Friburgo. Dopo aver analizzata la situazione storico-geografica nell’alto medioevo in Europa, e le condizioni socio economiche del tempo, furono sottolineate le motivazioni che portarono alla diffusione della peregrinazione nei secoli, definiti i contorni della figura del pellegrino e giustificato l’operato dei 62 marinai baresi nel 1087.
L’arrivo delle ossa del Santo di Mira ha comunque determinato effetti importanti: primo fra tutti elevare Bari a epicentro della religiosità cristiana indivisa di Oriente e Occidente, essendo la tomba di San Nicola e la romanica basilica luoghi di sacri incontri per i cristiani romani e quelli delle chiese orientali, specie russi e greci.
Padre Scognamiglio con la sua relazione fece un ampio excursus sulla storia dei monasteri ortodossi greci da lui visitati, alla ricerca di iconografie dedicate al nostro Protettore, con la proiezione delle affascinanti immagini delle Meteore.
Nino Lavermicocca (1942-2014), archeologo medievista, illustrò le qualità artistiche della iconografia tradizionale dei monasteri ortodossi greci dedicata al Santo di Mira, soffermandosi lungamente sull’immagine inconsueta di San Nicola al Concilio di Nicea.
Veneziani sottolineò come la presenza delle reliquie nicolaiane nella città di Bari, sia divenuta nel tempo, per commercianti, pellegrini e religiosi motivo autorevole per momenti di concordia, configurandosi nei secoli, per il Santo, l’appellativo di apportatore di pace. Oggi può essere reale la possibilità di identificare il “corridoio 8” quale “cammino di San Nicola”, lungo percorso che unisce Oriente e Occidente in nome dell’armonia tra i popoli e dell’ecumenismo. L’intrigante enigma, posto dal moderatore, se fu traslazione o furto, perdura, non ci fu risposta, ma sta di fatto che il gran Santo è rimasto a Bari con grande soddisfazione dei baresi che continuano ad onorarlo.
Infine, Lorenzo Gentile (1922-1997), poeta e commediografo dialettale barese declamò la poesia di Peppino Franco, “La staddue de Sanda Necòle”, che evidenzia la soggezione che emana lo splendido viso del Santo di Bari, scolpito con grande perizia da Giovanni Corsi nel 1794, al quale volle dare l’espressione di un filosofo greco.
Nico Veneziani, ripropose provocatoriamente l’antico dilemma se fu traslazione o furto quello delle reliquie nicolaiane presenti a Bari: in riferimento ad uno scritto di Norberto Ohler, docente di storia medievale all’Università di Friburgo. Dopo aver analizzata la situazione storico-geografica nell’alto medioevo in Europa, e le condizioni socio economiche del tempo, furono sottolineate le motivazioni che portarono alla diffusione della peregrinazione nei secoli, definiti i contorni della figura del pellegrino e giustificato l’operato dei 62 marinai baresi nel 1087.
L’arrivo delle ossa del Santo di Mira ha comunque determinato effetti importanti: primo fra tutti elevare Bari a epicentro della religiosità cristiana indivisa di Oriente e Occidente, essendo la tomba di San Nicola e la romanica basilica luoghi di sacri incontri per i cristiani romani e quelli delle chiese orientali, specie russi e greci.
Padre Scognamiglio con la sua relazione fece un ampio excursus sulla storia dei monasteri ortodossi greci da lui visitati, alla ricerca di iconografie dedicate al nostro Protettore, con la proiezione delle affascinanti immagini delle Meteore.
Nino Lavermicocca (1942-2014), archeologo medievista, illustrò le qualità artistiche della iconografia tradizionale dei monasteri ortodossi greci dedicata al Santo di Mira, soffermandosi lungamente sull’immagine inconsueta di San Nicola al Concilio di Nicea.
Veneziani sottolineò come la presenza delle reliquie nicolaiane nella città di Bari, sia divenuta nel tempo, per commercianti, pellegrini e religiosi motivo autorevole per momenti di concordia, configurandosi nei secoli, per il Santo, l’appellativo di apportatore di pace. Oggi può essere reale la possibilità di identificare il “corridoio 8” quale “cammino di San Nicola”, lungo percorso che unisce Oriente e Occidente in nome dell’armonia tra i popoli e dell’ecumenismo. L’intrigante enigma, posto dal moderatore, se fu traslazione o furto, perdura, non ci fu risposta, ma sta di fatto che il gran Santo è rimasto a Bari con grande soddisfazione dei baresi che continuano ad onorarlo.
Infine, Lorenzo Gentile (1922-1997), poeta e commediografo dialettale barese declamò la poesia di Peppino Franco, “La staddue de Sanda Necòle”, che evidenzia la soggezione che emana lo splendido viso del Santo di Bari, scolpito con grande perizia da Giovanni Corsi nel 1794, al quale volle dare l’espressione di un filosofo greco.
LA STADDUE DE SANDA NECÒLE
di Peppino Franco
Mbàcce a nnu quàddre o ngòcche stàddua bbèdde.
tu sijnde mbrìme ca la ggènde disce:
- Iè bbèdd’assà!... L’ha ffàtte Sande Luche! -
E au Sande nèste, allòre, ci l’ha ffàtte?,
ca ddà nu Sande Luche non avàste! –
Ddà mbàcce ci s’affèrme, beh!... se ngànde,
chiamènde sèmbe… e non nze sàzzie mà!
Pedènne so ssicùre ca pe’ ffà
la Stàddue de Sanda Necòle nèste,
le màne ha ppuèste pùre ’u Paddretèrne.
Percè, iè vvère ca nguèdd’alla Stàddue,
vestùte mègghie de nnu Menzegnòre,
a cchìle stà scettàte ’u argijnde e ’u òre,
ma la bbellèzze non è chèdda ddà…
La fàcce e ll’ècchie de Sande Necòle
te fàscene tremuà ci l’acchiamijnde…
te crijnze ca la vocche àva parlà!
Tu ’u sà ca ’u Sande è de legname, embè…
acquànne t’àcchie mbàcce mbrònde a Jìdde,
acchiamendànnue fisse… vène ’u ffrìdde!