Giovanni Allevi ad Andria il prossimo 7 giugno per presentare 'L’equilibrio della lucertola'. Intervista del Giornale di Puglia

di NICOLA RICCHITELLI - Una serata di musica e parole quella organizzata dal Circolo Culturale Corte Sveva il prossimo 7 giugno, con inizio alle ore 21 nel Teatro Don Bosco di Andria (c.so Cavour n.71) con “L’equilibrio della lucertola”. Un libro per parlare di equilibrio e disequilibrio, di quando il primo aiuta ad avere delle certezze e il secondo ti aiuta a riflettere in generale.

Intervistato dal musicologo giornalista del Corriere della Sera Mario Luzzatto Fegiz che incontrerà l'autore del libro Giovanni Allevi, musicista e compositore, ma anche laureato in filosofia, questa volta alle prese con un viaggio non in musica (ma forse anche si), facendo un punto su quanto vissuto e pensato in particolare negli ultimi anni.

"Ho perso l'equilibrio - scrive Allevi nelle prime pagine del libro - Se fosse solo un discorso meccanico di tendini, muscoli, orecchio, terminerei qui, eppure sono convinto che ogni evento della nostra esistenza sia misteriosamente connesso ad altri, così come le diverse sfere della nostra personalità comunicano e s'intersecano. Oltre del libro, in teatro si parlerà della carriera musicale e, grazie ad un pianoforte posto sul palcoscenico, il maestro Allevi suonerà dal vivo alcuni brani del suo repertorio musicale.

I biglietti d’ingresso al teatro sono disponibili nella libreria Mondadori di Andria (C.so Cavour n.132) al costo di 15€ . Il pubblico presente riceverà in omaggio una copia del libro da ritirare in sala. L’evento raccoglierà fondi per i progetti dell’Unicef.

Maestro, ritrovarsi da un pentagramma e le note ad una pagina ed alle sue parole: come ha vissuto questo passaggio?
R: «Per una volta la musica resta sullo sfondo. La protagonista del libro è la mia inquietudine, la stessa che tantissimi oggi stanno vivendo, soprattutto i giovani che si affacciano su un mondo frammentato, difficile da decifrare, apparentemente privo di ideali. Ma io voglio credere che l'ansia ed il panico siano delle porte verso una comprensione più profonda e mistica della realtà e del nostro destino».

Perchè ha sentito il bisogno di raccontarsi e di raccontare questo "Equilibrio della lucertola"?
R: «Ho voluto afferrare un lembo di spiritualità, e vi sono rimasto disperatamente aggrappato. Non pensavo di scrivere un libro; stavo solo affrontando degli esercizi di equilibrio ed un'ora di corsa tutti i giorni, in una condizione di totale distacco dal mondo, per cercare di ritrovare me stesso. Ma non ho potuto fare a meno di annotare le intuizioni filosofiche che giorno per giorno ricevevo e, senza accorgermene, ho scritto di getto questo romanzo autobiografico».

Nel libro si parla della tentazione di cadere...
R: «Io ho paura di cadere. Ho paura di parlare al telefono. Ho paura del giudizio. Ho paura di sbagliare. Ho paura di ciò che gli altri possono pensare di me. Ho paura di non raggiungere i miei obiettivi. Nel libro, attraverso un percorso interiore, faccio cadere tutti questi condizionamenti, e per un attimo mi ritrovo libero!».

In questo libro, tra l’altro, va un po’ in controtendenza. Difficilmente qualcuno fa un viaggio nell'infelicità...
R: «Se non guardiamo in faccia alla nostra inquietudine, stiamo facendo intrattenimento, non letteratura. Ogni vera forma espressiva nasce sempre dal buio dell'anima, verso la ricerca di una luce, per raggiungere un sollievo che può essere condiviso a livello collettivo».

Cosa vuole lasciare questo libro?
R: «A partire dalle difficoltà interiori che moltissimi stanno vivendo, con tutta umiltà voglio proporre una dimensione mistica e spirituale della nostra vita. La perdita dell'equilibrio è l'occasione per recuperare se stessi ed acquisire una visione poetica ed universale della propria esistenza».

Maestro, la prima volta che si è seduto davanti a un pianoforte?
R: «L'ho solo guardato. Ricordo il profumo della tastiera e i miei capelli ricci che si specchiavano sul coperchio lucido».

Come si sente ogni volta che lo fa?
R: «E' aumentato enormemente il senso di responsabilità, perché so che ora moltissime persone mettono a nudo la propria anima per accogliere le mie note. La mia è una vita di concentrazione, di riflessione, di incontro puntuale con i miei draghi interiori. Avrei già desistito da tempo se non fosse che comporre musica ed eseguirla mi regala una gioia inimmaginabile».

Eppure suo padre la chiudeva a chiave affinché non lo suonasse...
R: «E' davvero emblematico che tutta la mia storia sia iniziata da un divieto, che ho dovuto infrangere, con la spontaneità di un bambino. Allora era il divieto di mio padre, oggi sono le regole della liturgia accademica: continuo a trovarmi ancora nella difficile posizione di dover infrangere dei dettami acquisiti, per dare un senso profondo e nuovo a ciò che faccio».

Che emozione prova quando riesce a dare un senso a delle note fino a farle diventare musica?
R: «In questi ultimi anni mi accontento sempre meno. Non mi do pace finché le note non trovano la loro espressione all'interno delle complesse architetture classiche. Ma quando scrivo l'ultima nota di una sinfonia o di un concerto per pianoforte e orchestra, ho la sensazione, del tutto personale, di aver fatto qualcosa di importante, anche se sono in pochissimi a capirlo. Il mondo contemporaneo, con la sua frenesia, e con l'urgenza di far capire tutto e subito, ha perso memoria delle forme dilatate della classicità, e non concepisce più la musica come discorso o come attesa di una esplosione emotiva. Ma sono felice lo stesso, anzi, orgoglioso di essere realmente un artista controcorrente».

Il conservatorio e la laurea in filosofia: come si relazionano insieme musica e filosofia?
R: «Può sembrare paradossale, ma la forza intellettuale per portare a termine il mio proposito estetico musicale, ossia gettare le basi di un rinnovamento della tradizione classica, non l'ho trovata tra le mura del conservatorio durante il decennale corso di composizione, ma nel pensiero dei miei filosofi di riferimento: Socrate, Hegel, Strirner, Sartre. Da loro ho ricevuto il monito ad abbracciare una visione che superasse il momento contingente, per inseguire un'idea che considerasse il presente più importante del passato. Sempre da loro ho acquisito l'urgenza di rimanere un artista libero dalle imposizioni dogmatiche accademiche, ed evitare il rischio di diventare io stesso "istituzione"».

Per dare valore alla sua musica ha dovuto lasciare Ascoli Piceno. Come cambiò la sua vita?
R: «Avevo già 28 anni, quando, dopo aver perso il lavoro di insegnante di musica alla scuola media, una mattina mi recai alla stazione per fare un biglietto di sola andata Ascoli-Milano. Trovai subito un impiego come cameriere nei catering, con cui pagare l'affitto di un monolocale, mentre terminavo gli studi di Composizione al conservatorio "Giuseppe Verdi". Nonostante il disordine e la quasi totale solitudine, avevo finalmente tempo per pensare, riprendere i testi dell'università e scrivere la mia musica. In quegli anni ho immaginato e teorizzato la "musica classica contemporanea".

Poi arrivarono le collaborazioni con Jovanotti e lei che apriva i suoi concerti. Immagino fosse la prima volta dinanzi ad una così sperduta marea di gente?
R: «Ero terrorizzato, anche perché ho la delicata attitudine a nascondermi, a non apparire, a non manifestarmi. Eppure tra la mia musica e il pubblico è scattato qualcosa di magico, più per merito di quei tantissimi ragazzi, che hanno avuto rispetto del mio coraggio, tributandomi il dono del silenzio e dell'attenzione».

È stato più duro il distacco dal suo paese o ritrovarsi in giro per New York a chiedere audizioni?
R: «Quell'estate del 2004 feci a New York la più grande collezione di porte sbattute in faccia della mia vita. Alla Carnegie Hall mi dissero che, se volevo entrare, potevo fare una visita guidata a pagamento. Ho vissuto momenti di scoraggiamento, ma ho anche conosciuto lo spirito del sognatore, inaspettatamente vivo dentro di me. Quando anni dopo fui invitato a fare il mio concerto di debutto proprio alla Carnegie Hall, all'ingresso artisti chiesi se dovevo pagare un biglietto per entrare; l'inserviente ovviamente non capì di cosa stessi parlando!».

Quando ha capito che ce l’aveva fatta?
R:«Quando ho constatato che giovani interpreti di tutto il mondo eseguono la mia musica, anche in paesi dove non sono mai stato. Osservando i loro video su internet, ho la sensazione che la mia musica vada avanti da sola, trovando la propria strada, in maniera discreta e silenziosa».

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