Minniti: "L'Italia non può diventare un'Ungheria al centro del Mediterraneo"
ROMA - "L'Italia ha sempre coltivato il dialogo tra Est e Ovest, ma non è mai stata un Paese dell'Est al confine con l'Ovest. Non possiamo diventare un'Ungheria al centro del Mediterraneo" ha dichiarato l'ex ministro del'Interno, Marco Minniti, parlando del nuovo governo gialloverde, in un'intervista al 'Corriere della Sera'.
"Il pentapartito populista ha un'idea della società chiusa. Chiusa nella dimensione virtuale: il sacro blog. Chiusa nella dimensione fisica: l'idea del confine come separazione dagli altri, anche a livello internazionale. La nostra identità contro quella altrui, il nostro gruppo contro un altro gruppo. Tutto questo può portare allo slittamento di valori e di funzione del nostro Paese. Una separazione non tanto dai riti barocchi di Bruxelles, che non piacciono neanche a me, ma dai valori fondamentali che ci legano all'Europa e ai nostri alleati storici. Per le immigrazioni, nessuna espulsione è possibile senza una rete di rapporti internazionali. Affinché ci sia un Paese che espelle, ci dev'essere un Paese che riaccoglie. Questa rete di rapporti esiste. Abbiamo costruito un modello affrontando la questione sull'altra sponda del Mediterraneo. Abbiamo fatto 25mila rimpatri volontari assistiti grazie alla collaborazione con la Libia e con le organizzazioni umanitarie dell'Onu, che prima in Libia non c'erano e ora ci sono. La frontiera più importante è quella meridionale della Libia. È fondamentale il rapporto con i Paesi nordafricani e centrafricani, anche per fermare i foreign fighters dell'Isis che tentano di tornare a casa. Se offendi quei Paesi e i loro cittadini, se fai saltare la rete, se pensi di riportare tutto quanto in Italia, rischi l'eterogenesi dei fini: pensi di migliorare una cosa, e la peggiori".
"Il pentapartito populista ha un'idea della società chiusa. Chiusa nella dimensione virtuale: il sacro blog. Chiusa nella dimensione fisica: l'idea del confine come separazione dagli altri, anche a livello internazionale. La nostra identità contro quella altrui, il nostro gruppo contro un altro gruppo. Tutto questo può portare allo slittamento di valori e di funzione del nostro Paese. Una separazione non tanto dai riti barocchi di Bruxelles, che non piacciono neanche a me, ma dai valori fondamentali che ci legano all'Europa e ai nostri alleati storici. Per le immigrazioni, nessuna espulsione è possibile senza una rete di rapporti internazionali. Affinché ci sia un Paese che espelle, ci dev'essere un Paese che riaccoglie. Questa rete di rapporti esiste. Abbiamo costruito un modello affrontando la questione sull'altra sponda del Mediterraneo. Abbiamo fatto 25mila rimpatri volontari assistiti grazie alla collaborazione con la Libia e con le organizzazioni umanitarie dell'Onu, che prima in Libia non c'erano e ora ci sono. La frontiera più importante è quella meridionale della Libia. È fondamentale il rapporto con i Paesi nordafricani e centrafricani, anche per fermare i foreign fighters dell'Isis che tentano di tornare a casa. Se offendi quei Paesi e i loro cittadini, se fai saltare la rete, se pensi di riportare tutto quanto in Italia, rischi l'eterogenesi dei fini: pensi di migliorare una cosa, e la peggiori".
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