di LUIGI LAGUARAGNELLA - Non deve passare come un evento bello e passato. Sette giorni fa papa Francesco era a Bari insieme ai capi religiosi della chiesa Ortodossa e cristiana mediorientale. Il capoluogo pugliese si è ritrovato ad essere la pagina di storia di un incontro di preghiera e di dialogo che può scrivere un capitolo nuovo sulla pace, soprattutto in quelle terre dalla Siria alla Palestina che rischiano di essere dimenticate o in uno stato costante di conflitto.
Bari si è fatta trovare pronta a questo grande appuntamento voluto dal pontefice argentino. L’eccellente organizzazione da parte di tutto l’apparato della sicurezza insieme quello dei volontari ha senza dubbio proiettato la città ad un salto di qualità . Questo, come dimostra la giornata del 7 luglio, può avvenire soltanto con uno spirito di collaborazione.
Bari, in quel giorno, ha incarnato davvero il ruolo di ponte tra occidente e oriente e in San Nicola trova i suoi appoggi. Il santo di Myra è il timbro, anzi il murale (come quello che si affaccia su Lungomare), di cui i baresi devono prendere maggiormente coscienza e non solo ricordarlo per il folklore o la festa patronale. San Nicola è simbolo dell’ecumenismo, del dialogo e la città che custodisce le sue reliquie deve mostrarsi all’altezza, deve poter metterci del suo per il dialogo, per il processo di pace, per lo sviluppo. La presenza del papa in questa estate 2018 deve porre domande e deve mettere al lavoro cittadini, intellettuali, lavoratori.
San Nicola è un dono della storia alla città e all’umanità intera ed è giusto che tutti abbiano accesso e sia permesso rispettare e venerare, scoprire e studiare, questo santo e ciò che rappresenta.
Senza sospetto, si può dire che l’incontro per la “pace in Medio Oriente” proietta Bari in una dimensione europea. L’organizzazione dei due momenti su Lungomare e in Basilica, miracolosamente (per una città del sud) non ha riscontrato inefficienze e anomalie. Il flusso dei 70000 fedeli è stato gestito in modo ineccepibile.
A Bari, per la prima volta, si è visto un papa seduto in un pulmino scoperto insieme ai suoi colleghi religiosi.
Finalmente nel capoluogo pugliese si sono riunite non soltanto le intenzioni di pace, ma le forze e le disponibilità dei baresi. E forse occorreva il papa. All’ombra di San Nicola i baresi hanno urlato la parola “unità ” per un dialogo religioso. Questa parola i cittadini dovrebbero ricordarsela nei fatti. Quasi ci si dimentica che i baresi, pur essendo un popolo accogliente, raramente tendono a ragionare in un’ottica di aggregazione, di unione. E’ giusto ammetterlo: si tende a fare gli affari propri, difficilmente si percepisce un senso di inclusione, nonostante i tentativi di “fare rete” nei diversi bisogni della società .
Troppo spesso e in tutti i settori da quello lavorativo a quello universitario, da quello associativo fino anche a quello religioso, si tende eccessivamente a guardare il proprio orticello, lasciando fuori la speranza di realizzazione di tanti ragazzi che vogliono mettersi in gioco e cercano spiragli qui. La coesione cittadina è inconsistente. Si guarda sempre al proprio terreno, arricchendo sempre più i suoi componenti e mai offrendo possibilità di distribuzione di talento e ricchezza. La giornata insieme a papa Francesco ha dimostrato che si può essere coesi che ognuno può fare la sua parte solo se si è aperti all’altro che è al fianco.
A Bari molti aspetti emersi dal 7 luglio possono diventare sistemi, possibilità se solo c’è la volontà di crederci, di crescere, di aprirsi, di guardare l’orticello del vicino, non per spettegolare, ma per unire i terreni. Come ha fatto il papa con il suo appello ai vertici delle chiese del Medio Oriente.
Il popolo barese può essere, infatti, lo specchio di ciò che sta accadendo alla sua squadra di calcio che sta andando allo sfascio e addirittura al fallimento soprattutto per mala gestione, mala comunicazione, un non-dialogo e accordo tra diverse teste che si incolpano, anziché collaborare. Il calcio a Bari rispecchia l’indole dei cittadini.
La tendenza è che chi è escluso continua a rimanere tale in campo lavorativo, intellettuale, giornalistico, culturale e religioso. In tale contesto disgregato è inevitabile che ognuno sia costretto ad “arrabattarsi” da solo, ridimensionando sogni e progetti che in fondo sono per il bene comune della città .
Servono sempre le persone dall’esterno per rinsaldare un senso di appartenenza e di coesione, come ha fatto papa Francesco capace di aggregare e coinvolgere naturalmente.
Cosa vogliono fare i baresi: seguire la scia dello spirito di unità del 7 luglio oppure continuare con la disgregazione per interessi del proprio orticello contro il bene comune?
Bari si è fatta trovare pronta a questo grande appuntamento voluto dal pontefice argentino. L’eccellente organizzazione da parte di tutto l’apparato della sicurezza insieme quello dei volontari ha senza dubbio proiettato la città ad un salto di qualità . Questo, come dimostra la giornata del 7 luglio, può avvenire soltanto con uno spirito di collaborazione.
Bari, in quel giorno, ha incarnato davvero il ruolo di ponte tra occidente e oriente e in San Nicola trova i suoi appoggi. Il santo di Myra è il timbro, anzi il murale (come quello che si affaccia su Lungomare), di cui i baresi devono prendere maggiormente coscienza e non solo ricordarlo per il folklore o la festa patronale. San Nicola è simbolo dell’ecumenismo, del dialogo e la città che custodisce le sue reliquie deve mostrarsi all’altezza, deve poter metterci del suo per il dialogo, per il processo di pace, per lo sviluppo. La presenza del papa in questa estate 2018 deve porre domande e deve mettere al lavoro cittadini, intellettuali, lavoratori.
San Nicola è un dono della storia alla città e all’umanità intera ed è giusto che tutti abbiano accesso e sia permesso rispettare e venerare, scoprire e studiare, questo santo e ciò che rappresenta.
Senza sospetto, si può dire che l’incontro per la “pace in Medio Oriente” proietta Bari in una dimensione europea. L’organizzazione dei due momenti su Lungomare e in Basilica, miracolosamente (per una città del sud) non ha riscontrato inefficienze e anomalie. Il flusso dei 70000 fedeli è stato gestito in modo ineccepibile.
A Bari, per la prima volta, si è visto un papa seduto in un pulmino scoperto insieme ai suoi colleghi religiosi.
Finalmente nel capoluogo pugliese si sono riunite non soltanto le intenzioni di pace, ma le forze e le disponibilità dei baresi. E forse occorreva il papa. All’ombra di San Nicola i baresi hanno urlato la parola “unità ” per un dialogo religioso. Questa parola i cittadini dovrebbero ricordarsela nei fatti. Quasi ci si dimentica che i baresi, pur essendo un popolo accogliente, raramente tendono a ragionare in un’ottica di aggregazione, di unione. E’ giusto ammetterlo: si tende a fare gli affari propri, difficilmente si percepisce un senso di inclusione, nonostante i tentativi di “fare rete” nei diversi bisogni della società .
Troppo spesso e in tutti i settori da quello lavorativo a quello universitario, da quello associativo fino anche a quello religioso, si tende eccessivamente a guardare il proprio orticello, lasciando fuori la speranza di realizzazione di tanti ragazzi che vogliono mettersi in gioco e cercano spiragli qui. La coesione cittadina è inconsistente. Si guarda sempre al proprio terreno, arricchendo sempre più i suoi componenti e mai offrendo possibilità di distribuzione di talento e ricchezza. La giornata insieme a papa Francesco ha dimostrato che si può essere coesi che ognuno può fare la sua parte solo se si è aperti all’altro che è al fianco.
A Bari molti aspetti emersi dal 7 luglio possono diventare sistemi, possibilità se solo c’è la volontà di crederci, di crescere, di aprirsi, di guardare l’orticello del vicino, non per spettegolare, ma per unire i terreni. Come ha fatto il papa con il suo appello ai vertici delle chiese del Medio Oriente.
Il popolo barese può essere, infatti, lo specchio di ciò che sta accadendo alla sua squadra di calcio che sta andando allo sfascio e addirittura al fallimento soprattutto per mala gestione, mala comunicazione, un non-dialogo e accordo tra diverse teste che si incolpano, anziché collaborare. Il calcio a Bari rispecchia l’indole dei cittadini.
La tendenza è che chi è escluso continua a rimanere tale in campo lavorativo, intellettuale, giornalistico, culturale e religioso. In tale contesto disgregato è inevitabile che ognuno sia costretto ad “arrabattarsi” da solo, ridimensionando sogni e progetti che in fondo sono per il bene comune della città .
Servono sempre le persone dall’esterno per rinsaldare un senso di appartenenza e di coesione, come ha fatto papa Francesco capace di aggregare e coinvolgere naturalmente.
Cosa vogliono fare i baresi: seguire la scia dello spirito di unità del 7 luglio oppure continuare con la disgregazione per interessi del proprio orticello contro il bene comune?