di GRAZIA STELLA ELIA - Ecco un libro di poesia bilingue: Je suis Janette di Enzo Quarto. E’ scritto infatti in italiano ed egregiamente tradotto in serbo dal poeta – traduttore Dragan Mraovic, (che ho avuto il piacere di avere accanto a Belgrado, in occasione del XXXII International Meeting of Writers nel 1995), pubblicato dalla SECOP edizioni di Corato, nella Collana I girasoli diretta da Angela De Leo.
A pagina 3 leggo una tenera, originale, bellissima dedica dell’autore alla madre:
“A mia madre. / Se avessi assaggiato / la tua ultima lacrima / avrei assaporato alba / e tramonto insieme. / Già saperlo / mi consola”. Quanta tenerezza in quella “ultima lacrima”! Se il figlio l’avesse assaggiata, l’avrebbe trovata sapida di “alba e tramonto insieme”.
Segue la Presentazione dell’Arcivescovo Francesco Cacucci, ricca di sapienza e dottrina (il richiamo alle figure retoriche docet).
Sono pienamente d’accordo con lui sulla definizione della raccolta quale Canzoniere.
Di un canzoniere infatti si tratta, che canta l’amore, la fratellanza e la pace.
Importante il pensiero dell’Arcivescovo di Belgrado, che a pagina 13 dice di vedere, nel lavoro poetico di Enzo Quarto, “gli Angeli – messaggeri. I messaggeri con i messaggi lieti”.
Il primo componimento, Je suis Janette (che dà il titolo alla silloge) ampio e articolato a mo’ di poemetto, nella sua pregnanza filosofica pare una sorta di ‘editto’ amorevolmente eppure decisamente rivolto dalla pulzella d’ Orleans a tutti gli uomini, perché vivano con la “speranza” e difendano “il creato, la nostra patria”. Perché, come lei, si sentano ossessionati dalle “parole di Dio”, lasciandosi “afferrare ai polsi dalla santità”; perché “il bello affiori sulla pelle” e “Dio parli ai pensieri” di ciascuno.
Vado avanti nella lettura e trovo che l’andamento, oltre ad essere efficacemente poetico e metaforico, ricco di immagini, continua ad essere filosofico, di una filosofia che si nutre di cristianesimo convinto, tutto imperniato sui canoni dell’amore per gli altri. Splendido e illuminante quanto si legge a pagina 29: “Di stagione in stagione / vorrò aprire le porte della vita / e con le nude mani / scolpire di carezza in carezza / sulla pietra millenaria / una sola parola: / amore”.
A proposito della Galilea, a pagina 35 si coglie un’immagine bellissima: “Ripartite di qui / dove la luce divina / squarcia persino / la serenità del cielo”.
E meraviglioso è quel “silenzio” che “si fa voce” a pagina 37! E’ la fede solida come roccia che qui si fa poesia: un proliferare di immagini dalla squisita delicatezza pittorica. Altra perla di poesia a pagina 41, dove ogni verso esercita una forte suggestione. Vi è un “vento che spira / oltre le spume dei marosi / si staglia su esili fili d’erba / brillanti di rugiada soleggiata” (pare di vederla quella rugiada che brilla sotto i baci del sole) per diventare “carezza” a chi è “scosso e perso”.
Ancora versi straordinari a pagina 53: “Sorrisi al cielo arricciato e plumbeo / e il sole sornione / fece capolino”.
Ecco un inno alla “bellezza” a pagina 61, con il richiamo alla fugacità di ogni cosa: “[…] tutto avviene / nel volgere di una carezza” e pertanto “dovremmo essere fratelli”, anche perché “vale il seme dei nostri avi”.
“La pace è scritta nella parola fratello”: lapidario, meraviglioso aforisma da imprimere nel cuore.
E che dire del poemetto dal titolo in triplice lingua Shalom – Pax – Salam? I versi dalla pregnanza biblica sono un crescendo di massime da leggere e rileggere. Un poemetto che comprende alcuni motti francescani, culminanti nel distico “Dove è misericordia e discrezione, / ivi non è né superbia né durezza”. Se ciò accadesse, la natura sarebbe ricca di fiori e “l’acqua sorgiva” con il suo “zampillio” farebbe da base al “canto di usignoli”.
E siamo a pagina 75: la vita è un continuo avvicendarsi di “nero e bianco”. Al nero della notte segue “la luce attesa” e, mentre “il nero” custodisce “la speranza”, “il bianco è il passepartout del paradiso”.
Al Foscolo del Carme Dei Sepolcri […] e l’armonia vince di mille secoli il silenzio fa pensare l’incipit dei versi di pagina 67: “Dopo la morte / resta / la poesia della Pasqua ritrovata. / Finalmente”.
La morte, ritenuta comunemente la fine, “nella commozione del luccichio / di una lacrima incompiuta” (vera poesia!), può segnare invece “un inizio” tanto sconosciuto, quanto affascinante.
Il poeta, entrato a pieno nel personaggio di Janette, ha cantato con lei una canzone di poesia e di vita, manifestando, senza infingimenti, le proprie convinzioni etiche di cristiano praticante a tutto tondo, con la vibrante esortazione ad essere inclini alla bellezza, alla fratellanza, all’amore.
Si incontra, in questo libro, una poesia dalla cifra alta, senza dubbio; una poesia che diventa pedagogia in quanto cristiano insegnamento alla comunicazione e all’empatia, in chiara consonanza con il pensiero di Papa Francesco.
Lieto viaggio, dunque, a “Je suis Janette”, per le strade dei lettori di ogni lingua e di ogni età!
A pagina 3 leggo una tenera, originale, bellissima dedica dell’autore alla madre:
“A mia madre. / Se avessi assaggiato / la tua ultima lacrima / avrei assaporato alba / e tramonto insieme. / Già saperlo / mi consola”. Quanta tenerezza in quella “ultima lacrima”! Se il figlio l’avesse assaggiata, l’avrebbe trovata sapida di “alba e tramonto insieme”.
Segue la Presentazione dell’Arcivescovo Francesco Cacucci, ricca di sapienza e dottrina (il richiamo alle figure retoriche docet).
Sono pienamente d’accordo con lui sulla definizione della raccolta quale Canzoniere.
Di un canzoniere infatti si tratta, che canta l’amore, la fratellanza e la pace.
Importante il pensiero dell’Arcivescovo di Belgrado, che a pagina 13 dice di vedere, nel lavoro poetico di Enzo Quarto, “gli Angeli – messaggeri. I messaggeri con i messaggi lieti”.
Il primo componimento, Je suis Janette (che dà il titolo alla silloge) ampio e articolato a mo’ di poemetto, nella sua pregnanza filosofica pare una sorta di ‘editto’ amorevolmente eppure decisamente rivolto dalla pulzella d’ Orleans a tutti gli uomini, perché vivano con la “speranza” e difendano “il creato, la nostra patria”. Perché, come lei, si sentano ossessionati dalle “parole di Dio”, lasciandosi “afferrare ai polsi dalla santità”; perché “il bello affiori sulla pelle” e “Dio parli ai pensieri” di ciascuno.
Vado avanti nella lettura e trovo che l’andamento, oltre ad essere efficacemente poetico e metaforico, ricco di immagini, continua ad essere filosofico, di una filosofia che si nutre di cristianesimo convinto, tutto imperniato sui canoni dell’amore per gli altri. Splendido e illuminante quanto si legge a pagina 29: “Di stagione in stagione / vorrò aprire le porte della vita / e con le nude mani / scolpire di carezza in carezza / sulla pietra millenaria / una sola parola: / amore”.
A proposito della Galilea, a pagina 35 si coglie un’immagine bellissima: “Ripartite di qui / dove la luce divina / squarcia persino / la serenità del cielo”.
E meraviglioso è quel “silenzio” che “si fa voce” a pagina 37! E’ la fede solida come roccia che qui si fa poesia: un proliferare di immagini dalla squisita delicatezza pittorica. Altra perla di poesia a pagina 41, dove ogni verso esercita una forte suggestione. Vi è un “vento che spira / oltre le spume dei marosi / si staglia su esili fili d’erba / brillanti di rugiada soleggiata” (pare di vederla quella rugiada che brilla sotto i baci del sole) per diventare “carezza” a chi è “scosso e perso”.
Ancora versi straordinari a pagina 53: “Sorrisi al cielo arricciato e plumbeo / e il sole sornione / fece capolino”.
Ecco un inno alla “bellezza” a pagina 61, con il richiamo alla fugacità di ogni cosa: “[…] tutto avviene / nel volgere di una carezza” e pertanto “dovremmo essere fratelli”, anche perché “vale il seme dei nostri avi”.
“La pace è scritta nella parola fratello”: lapidario, meraviglioso aforisma da imprimere nel cuore.
E che dire del poemetto dal titolo in triplice lingua Shalom – Pax – Salam? I versi dalla pregnanza biblica sono un crescendo di massime da leggere e rileggere. Un poemetto che comprende alcuni motti francescani, culminanti nel distico “Dove è misericordia e discrezione, / ivi non è né superbia né durezza”. Se ciò accadesse, la natura sarebbe ricca di fiori e “l’acqua sorgiva” con il suo “zampillio” farebbe da base al “canto di usignoli”.
E siamo a pagina 75: la vita è un continuo avvicendarsi di “nero e bianco”. Al nero della notte segue “la luce attesa” e, mentre “il nero” custodisce “la speranza”, “il bianco è il passepartout del paradiso”.
Al Foscolo del Carme Dei Sepolcri […] e l’armonia vince di mille secoli il silenzio fa pensare l’incipit dei versi di pagina 67: “Dopo la morte / resta / la poesia della Pasqua ritrovata. / Finalmente”.
La morte, ritenuta comunemente la fine, “nella commozione del luccichio / di una lacrima incompiuta” (vera poesia!), può segnare invece “un inizio” tanto sconosciuto, quanto affascinante.
Il poeta, entrato a pieno nel personaggio di Janette, ha cantato con lei una canzone di poesia e di vita, manifestando, senza infingimenti, le proprie convinzioni etiche di cristiano praticante a tutto tondo, con la vibrante esortazione ad essere inclini alla bellezza, alla fratellanza, all’amore.
Si incontra, in questo libro, una poesia dalla cifra alta, senza dubbio; una poesia che diventa pedagogia in quanto cristiano insegnamento alla comunicazione e all’empatia, in chiara consonanza con il pensiero di Papa Francesco.
Lieto viaggio, dunque, a “Je suis Janette”, per le strade dei lettori di ogni lingua e di ogni età!