Premio europeo del paesaggio, c’è anche Vereto

di FRANCESCO GRECO - PATU’ (LE). Il canto delle cicale nascoste fra gli ulivi, la luna rossa che lenta sale dal mare di Leuca, il delirio dell’organetto di Donatello Pisanello, le danzatrici sulle “pajare” (trullo a tolos) sulla collina di Vereto messapica. Come in un film di Anghelopulos.

Benedetta dalle divinità l’inaugurazione del restauro degli affreschi e il risanamento statico della chiesetta di campagna della Madonna di Vereto (San Paolo dei Serpenti).

Si inizia con una visita guidata al Parco (un ettaro), si finisce a notte alta col mandolino del maestro Antonio Calsolaro (da Alessano) e i “Musici di Patù” e le coreografie di Maristella Martella (“Tarantarte”) sotto lo sguardo della luna ormai piena e di molti ospiti forestieri (visti la fotografa belga Tamara Triffez e lo scenografo Giusto Puri Purini), che fanno Pil.

Ci son voluti dieci anni, a Sud il tempo scorre lento. Si cominciò nel 2008, con una serata di pizzica-pizzica in una maxi-discoteca di Roma, per raccogliere fondi. C’erano i Cantori di Carpino (il 90enne Antonio Piccinino, ritirando il premio, si emozionò: “Vorrei che mia madre fosse qui a vedermi…”), mormorò in lacrime.

Seguì la donazione della chiesetta rurale da parte della famiglia Sangiovanni di Alessano, al Comune di Patù. E poi l’arrivo dei finanziamenti (200mila euro) e i lavori.
 
Una serata pregna di pathos, modulata sui codici sempre vivi della memoria, l’identità, l’appartenenza, la voglia di protagonismo di una comunità vivace e appassionata, che gioca le sue chance sul mercato turistico fidelizzando un ospite colto, attento, attratto anche dallo storytelling delle pietre e le infinite sedimentazioni dei topoi, ma anche dal senso di accoglienza e ospitalità dei salentini, sempre forte, mutuata dalla Madre Grecia e che al tempo del fetido razzismo dei porti (e i cervelli portati abusivamente) chiusi, fa la differenza. E si vede: qui la gente continua a venire, affittare, comprare, mangiare.
 
Al tramonto, il restauratore Andrea Erroi ha spiegato le “scoperte” fatte durante i lavori a una folla attenta, poi il convegno “Prospettive di valorizzazione e fruizione”.
 
Dopo l’introduzione di Antonio De Marco (Arci-Terra Archeorete del Mediterraneo, ragazzo pieno di entusiasmo), le parole del sindaco Gabriele Abaterusso, poi di Vincenzo Santoro (responsabile dipartimento cultura e turismo ANCI) che dà un background alle immagini: “L’affresco richiama un’iconografia antica, legata ai poteri magici di San Paolo, a cui i contadini si rivolgevano per guarire dal morso del bestiario dei veleni: scorpioni, serpenti, ragni, rospi…”. Poi una riflessione sull’idea di “comunitarietà dei beni culturali” (Convenzione di Faro).

Il prof. Ledo Prato (Fondazione Città Italia, Roma), ha lanciato una proposta: candidare Vereto al premio del paesaggio del Consiglio d’Europa (due anni fa lo vinse il Parco dei Paduli, area Maglie-Otranto).

Idea bellissima, da molti “like”, ma Vereto avrebbe certamente più appeal, e possibilità di successo, se fra le tante bellezze e testimonianze del passato, avesse ancora la necropoli in zona Centopietre, a valle, a Campo Re: 300 tombe che circa 30 anni fa furono devastate, spianate dall’iconoclastia dei politici locali, immolata dalla loro sete di potere, per farci case low costi: un crimine contro l’umanità che non andrà mai in prescrizione, e su cui, peraltro, i suddetti hanno costruito carriere oltre le loro qualità umane e politiche, di cui il territorio non ha avuto alcuna ricaduta se non degrado, declino, default.
 
Quasi beffarde quindi le parole della funzionaria archeologa della Soprintendenza Serena Strafella sull’importanza dei beni materiali e immateriali, perché “portatori di identità”. Ha invitato i cittadini a essere “custodi di un territorio straordinario”. Magari, se avessero sorvegliato meglio, se si fossero scandalizzati un pochino, poiché gli orrori dei potenti si reggono anche sui silenzi complici collettivi e i beni artistici sono eredità di tutti.
 
Di “coscienza della conoscenza” ha parlato Giovanni Giangreco, già soprintendente ai BB. CC. di Puglia e Basilicata e invitato a viverli come “bene comune”, andando “oltre il campanile”. C’era pure Luigi De Luca direttore del Museo Sigismondo Castromediano. 
 
Poi Patù (dovrebbe derivare da pathos, sofferenza, e lo stato anche il massacro di una necropoli) ha dato il meglio di sé nella festa: il buon pane cotto al forno a legna, l’olio d’oliva, i saporiti pomodori di Morciano (da poco recuperati), la “salamura” (pomodori e peperoni), pucce con le olive, e il buon vino...
E musica e danze con Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro (Targa Tenco 2017 miglior album in dialetto napoletano), Lamberto Probo, Massimiliano De Marco, Luca Buccarella, Roberto Chiga e la splendida voce di Adriana Polo.
 
L’evento è stato promosso da: associazione culturale “Diotimart” (nel festival “Folk Books”), Avis, Pro-Loco, Patushow, Parrocchia San Michele Arcangelo, associazioni di Strada San Gregorio e Centro Storico, don Liborio Romano, Quattru Catti.

L’unione fa la forza, anche nel difendere quel che è rimasto. E’ facile finire fuori mercato nel turismo, la bellezza è la sola cosa che ci hanno lasciato. Occhi (e menti) aperti, Patù!

(ph credits: Francesco Spadafora)

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