VITTORIO POLITO - Mi capita di leggere sul supplemento della Gazzetta del Mezzogiorno “Percorsi fra fede piatti tipici parchi e avventure” (2013, pag. 83), a cura di Daniela D’Ambrosio con testi di Antonella Millarte, una nota che indica che a Taranto ci sia la tradizione della “Tiella con riso patate e cozze”, suggerendo la preparazione di Luigi Chirico, chef crispianese, che propone una strana ricetta della nostra “Tiella”, alla quale aggiunge “un bicchiere di vino bianco” (?), che in nessuna ricetta barese o pugliese, ho mai letto.
Non è la prima volta che la “Gazzetta del Mezzogiorno”, nelle pagine delle ricette curate da Antonella Millarte riporta bizzarre ricette, facendole passare per baresi o pugliesi, ma che della nostra terra non hanno nulla a che vedere, se non le personali “invenzioni” di chef, che invece di crearne nuove, e se possibile, originali, modificano certi piatti della nostra cucina facendoli passare per pugliesi.
Come è noto le origini di questo piatto discendono dalla tradizione contadina, in quanto rappresentava un modo rapido ed efficace per sfamare la famiglia in ritorno dai campi attraverso tempi di preparazione brevi. Dalle campagne la ricetta viaggiò fino alla costa incontrando la cultura marittima e l’influenza spagnola. Ecco quindi che nella ricetta vennero introdotte le cozze tutt’ora presenti nella tiella barese ed in quella pugliese.
Detto questo, suggerisco allo chef citato a Daniela D’Ambrosio ed a Antonella Millarte, di leggersi qualche volume sulla cucina barese “La checine de nononne”, di Giovanni Panza (Schena Editore), “Puglie in bocca” di Luigi Sada (Editrice il Vespro), “U sgranatòrie de le barìse” di Alfredo Giovine (Franco Milella Editore), “Puglia – Colori e sapori” a cura di Raffaele Nigro (Adda Editore), “Invito a Bari” a cura di Lino Patruno (Adda Editore), “A tavola sulla costa barese”, di Vito Buono e Angela Delle Foglie (Levante Editori) e “Ce se mange iòsce? Madonne ce ccròsce! di Vito Signorile (Gelsorosso Editore). L’elenco potrebbe continuare e si potrà notare che del vino non c’è traccia alcuna.
Ed ecco, una volta per tutte, la descrizione della preparazione della “Tièdde o’ furne de rise, patane e cozze”, secondo Giovanni Panza, ma che è simile a quelle consigliate dalla maggior parte degli autori e realizzate dai baresi.
«Compra un chilo di cozze di Taranto, che sono le migliori. Quando le avrai staccate dal giunco cui sono attaccate, le lavi ben bene raschiando i gusci per mondarli dal terreno e dalle impurità. Poi le prendi una per volta e, col coltello adatto (la granbedde o grambòdde), le apri in modo che il frutto rimanga tutto su una sola valva; così aperte, le riponi in un tegame ricoprendole di acqua. Pela le patate (quelle a pasta gialla sono le più idonee), le tagli a fette piuttosto spesse e anche queste le metti in un tegame ricoperte di acqua perché non anneriscano. Prepara ora il riso e lo lavi leggermente in acqua fresca. Prepara pure un bel po’ di prezzemolo, sedano, uno o due spicchi d’aglio (c’è chi preferisce la cipolla) e tieni a portata di mano la formaggera (il pecorino è preferibile), il barattolo del pepe, del sale, i pomodori, quando tutto è pronto incomincia a ricoprire il fondo del tegame (sarebbe preferibile quello di coccio – de crete – di pomodori spezzettati e conditi con aglio tagliuzzato finemente (in modo che si senta appena il sapore), sedano prezzemolo, sale, pepe, formaggio e olio nella giusta quantità. Su tale strato di condimento sistema una fila di patate e, su queste, le cozze con il guscio in basso, senza averle sgocciolate dell’acqua nelle quale le avevi riposte. Sulle cozze spargi il riso lavato e condisci ancora con pomodoro, sedano, prezzemolo, aglio, un bel po’ di formaggio e olio. Per ultimo metti uno strato di patate condite come prima; in più cospargi il tutto con mollica di pane grattugiata e, se è la stagione adatta, con fette tonde di zucchine. Aggiungi un bel po’ di acqua tenendo presente che il riso, durante la cottura, assorbe l’acqua e perciò, mentre la teglia è nel forno, controlla che vi sia sempre liquido sufficiente per la cottura aggiungendo, se ne occorra, un goccio per volta evitando che la teglia riesca in ultimo eccessivamente brodosa. Quando incominci a sentire un profumino, non ti lasciar prendere da smanie, assaggia solo un pochino per controllare la cottura e, poi, togli dal forno perché la teglia si raffreddi, tale piatto non va mangiato molto caldo». Più chiaro di così?
Piatto di terra e mare al forno, la “tiella” barese inebria le strade nei dintorni della Basilica di San Nicola, e non solo, da oltre quattro secoli. Pochi dubbi: sono stati i Borboni ad insegnare il piacere di questo piatto ai cittadini del capoluogo pugliese. Le varianti sono personali e non devono confondere le idee per quanto riguarda la ricetta originale.
Come è noto le origini di questo piatto discendono dalla tradizione contadina, in quanto rappresentava un modo rapido ed efficace per sfamare la famiglia in ritorno dai campi attraverso tempi di preparazione brevi. Dalle campagne la ricetta viaggiò fino alla costa incontrando la cultura marittima e l’influenza spagnola. Ecco quindi che nella ricetta vennero introdotte le cozze tutt’ora presenti nella tiella barese ed in quella pugliese.
Detto questo, suggerisco allo chef citato a Daniela D’Ambrosio ed a Antonella Millarte, di leggersi qualche volume sulla cucina barese “La checine de nononne”, di Giovanni Panza (Schena Editore), “Puglie in bocca” di Luigi Sada (Editrice il Vespro), “U sgranatòrie de le barìse” di Alfredo Giovine (Franco Milella Editore), “Puglia – Colori e sapori” a cura di Raffaele Nigro (Adda Editore), “Invito a Bari” a cura di Lino Patruno (Adda Editore), “A tavola sulla costa barese”, di Vito Buono e Angela Delle Foglie (Levante Editori) e “Ce se mange iòsce? Madonne ce ccròsce! di Vito Signorile (Gelsorosso Editore). L’elenco potrebbe continuare e si potrà notare che del vino non c’è traccia alcuna.
Ed ecco, una volta per tutte, la descrizione della preparazione della “Tièdde o’ furne de rise, patane e cozze”, secondo Giovanni Panza, ma che è simile a quelle consigliate dalla maggior parte degli autori e realizzate dai baresi.
«Compra un chilo di cozze di Taranto, che sono le migliori. Quando le avrai staccate dal giunco cui sono attaccate, le lavi ben bene raschiando i gusci per mondarli dal terreno e dalle impurità. Poi le prendi una per volta e, col coltello adatto (la granbedde o grambòdde), le apri in modo che il frutto rimanga tutto su una sola valva; così aperte, le riponi in un tegame ricoprendole di acqua. Pela le patate (quelle a pasta gialla sono le più idonee), le tagli a fette piuttosto spesse e anche queste le metti in un tegame ricoperte di acqua perché non anneriscano. Prepara ora il riso e lo lavi leggermente in acqua fresca. Prepara pure un bel po’ di prezzemolo, sedano, uno o due spicchi d’aglio (c’è chi preferisce la cipolla) e tieni a portata di mano la formaggera (il pecorino è preferibile), il barattolo del pepe, del sale, i pomodori, quando tutto è pronto incomincia a ricoprire il fondo del tegame (sarebbe preferibile quello di coccio – de crete – di pomodori spezzettati e conditi con aglio tagliuzzato finemente (in modo che si senta appena il sapore), sedano prezzemolo, sale, pepe, formaggio e olio nella giusta quantità. Su tale strato di condimento sistema una fila di patate e, su queste, le cozze con il guscio in basso, senza averle sgocciolate dell’acqua nelle quale le avevi riposte. Sulle cozze spargi il riso lavato e condisci ancora con pomodoro, sedano, prezzemolo, aglio, un bel po’ di formaggio e olio. Per ultimo metti uno strato di patate condite come prima; in più cospargi il tutto con mollica di pane grattugiata e, se è la stagione adatta, con fette tonde di zucchine. Aggiungi un bel po’ di acqua tenendo presente che il riso, durante la cottura, assorbe l’acqua e perciò, mentre la teglia è nel forno, controlla che vi sia sempre liquido sufficiente per la cottura aggiungendo, se ne occorra, un goccio per volta evitando che la teglia riesca in ultimo eccessivamente brodosa. Quando incominci a sentire un profumino, non ti lasciar prendere da smanie, assaggia solo un pochino per controllare la cottura e, poi, togli dal forno perché la teglia si raffreddi, tale piatto non va mangiato molto caldo». Più chiaro di così?
Piatto di terra e mare al forno, la “tiella” barese inebria le strade nei dintorni della Basilica di San Nicola, e non solo, da oltre quattro secoli. Pochi dubbi: sono stati i Borboni ad insegnare il piacere di questo piatto ai cittadini del capoluogo pugliese. Le varianti sono personali e non devono confondere le idee per quanto riguarda la ricetta originale.