BARI - Il 13 luglio 2015, Paola Clemente, bracciante agricola 49enne di San Giorgio Ionico (Ta), moriva nei campi di Andria, nel barese. In seguito alla sua morte, ad un anno di distanza, venne emanata la legge di contrasto al caporalato 199/2016.
Il caporalato, oggi, nel nostro Paese, è l'ultimo anello della catena della più spregiudicata forma di lavoro nero irregolare, finanche, in taluni casi, della tratta delle persone. Ma chi sono e quanti sono le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, chi sono i caporali e chi fa la commissione al caporale?
I braccianti agricoli e giornalieri di campagna sono un po’ di più di un milione: il 70% sono italiani, la restante parte stranieri. Il terzo rapporto Agromafie e caporalato del maggio 2016, realizzato dall’osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, rileva che sono trai 400 e i 430mila i lavoratori irregolari impiegati nel settore agricolo in Italia, di cui circa 100mila versano in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità.
Nel Mezzogiorno l'89% della manodopera è italiano; nel centro nord i braccianti agricoli italiani sono circa il 42%. Il Paese è tagliato a metà: al Sud, prevalenza di braccianti italiani e al Nord di stranieri. In Puglia i braccianti italiani sono il 76%, in Sicilia e Campania il 74%, in Trentino il 38%, in Piemonte e in Veneto il 45%. Se dalle campagne italiane sparissero i lavoratori stranieri, l’agricoltura nazionale subirebbe un calo incalcolabile. Un recente studio condotto dall’Uila (Unione italiana dei lavoratori agroalimentari), documenta in modo dettagliato che, soprattutto nelle aree del Paese a forte trazione leghista, se in agricoltura ad essere impiegati fossero solo gli italiani, la produzione si bloccherebbe. Senza gli immigrati, in Piemonte sparirebbero dai campi 20mila lavoratori su 32mila; nella provincia di Mantova verrebbe a mancare il 58% della manodopera, a Pordenone circa il 66%, a Verona il 69%, a Cuneo si sfiorerebbe il 74% e a Bolzano l’81% L’intero settentrione, senza immigrati, perderebbe in media il 57% della forza lavoro nei campi. Leggermente più bassa la percentuale che si andrebbe a perdere nel centro Italia, fra Toscana, Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, dove senza manodopera straniera si dovrebbe trovare il modo di integrare circa il 50% di lavoratori. I dati, come già detto, sono differenti nel Sud Italia e nelle isole, dove predominano i lavoratori italiani.
In questo contesto, il caporalato, in molti casi, governa il mercato del lavoro agricolo, in sostituzione dello Stato e delle leggi. Ciò riguarda prevalentemente il Mezzogiorno d'Italia.
Tutto questo produce un danno erariale annuo, in termini di evasione, stimato in 600 milioni di euro, mentre il resto della paga contrattuale, tagliata a metà, come fosse una provvigione, entra nelle tasche del caporale di turno. Costui, il caporale, è un intermediario che riceve una commissione e la esegue, organizzando le squadre, decidendo il salario per i lavoratori, il periodo di lavoro, apre la richiesta per il collocamento e deciderà, casomai, quante giornate legali dovranno essere denunciate, utilizza le società interinali e le agenzie private di trasporti, definisce per sé il prezzo dell’intermediazione. Insomma, organizza un mercato del lavoro non legale parallelo a quello ufficiale. E questa attività diventa, poi, una vera e propria tratta delle persone, quando i braccianti sono stranieri e non solo nei periodi delle grandi raccolte del pomodoro, dell'anguria, dell'uva, degli ortaggi, ma sempre, tutti i giorni. La legge 199 del 2016, con le sue disposizioni, che legislativamente assumono un'azione di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, di riallineamento retributivo nel settore agricolo, sta dimostrando la sua efficacia per il contrasto al caporalato. E questo è dimostrato anche dagli arresti avvenuti in tutta Italia dal 2016 ad oggi. Gli esiti positivi prodotti dalla legge 199, sono confermati dal rapporto annuale dell’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro di febbraio 2018 che evidenzia 5mila222 lavoratori irregolari rilevati durante le ispezioni effettuate nel 2017 e 387 vittime di sfruttamento in agricoltura per mezzo dell’attività di polizia giudiziaria; sono stati inoltre emessi 360 provvedimenti di sospensione di attività imprenditoriale, di cui 312 successivamente revocati a seguito di regolarizzazione.
Un risultato importantissimo che non possiamo dimenticare essere il frutto del lavoro del Governo Renzi, dei Ministri Orlando e Martina, del Parlamento italiano, delle due Camere, delle Commissioni giustizia e lavoro, dei sindacati dei lavoratori agricoli, delle loro battaglie e di quelle delle associazioni agricole, che rimangono un contributo decisivo e fondamentale. Una battaglia per la legalità e la dignità dei lavoratori e delle aziende agricole virtuose. Questo provvedimento, ora, non può assolutamente essere affossato. Anzi, per incidere in profondità, ha bisogno di una nuova stagione civile e culturale della lotta al fenomeno del caporalato, che muova dalle istituzioni territoriali.
Il caporalato, oggi, nel nostro Paese, è l'ultimo anello della catena della più spregiudicata forma di lavoro nero irregolare, finanche, in taluni casi, della tratta delle persone. Ma chi sono e quanti sono le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, chi sono i caporali e chi fa la commissione al caporale?
I braccianti agricoli e giornalieri di campagna sono un po’ di più di un milione: il 70% sono italiani, la restante parte stranieri. Il terzo rapporto Agromafie e caporalato del maggio 2016, realizzato dall’osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, rileva che sono trai 400 e i 430mila i lavoratori irregolari impiegati nel settore agricolo in Italia, di cui circa 100mila versano in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità.
Nel Mezzogiorno l'89% della manodopera è italiano; nel centro nord i braccianti agricoli italiani sono circa il 42%. Il Paese è tagliato a metà: al Sud, prevalenza di braccianti italiani e al Nord di stranieri. In Puglia i braccianti italiani sono il 76%, in Sicilia e Campania il 74%, in Trentino il 38%, in Piemonte e in Veneto il 45%. Se dalle campagne italiane sparissero i lavoratori stranieri, l’agricoltura nazionale subirebbe un calo incalcolabile. Un recente studio condotto dall’Uila (Unione italiana dei lavoratori agroalimentari), documenta in modo dettagliato che, soprattutto nelle aree del Paese a forte trazione leghista, se in agricoltura ad essere impiegati fossero solo gli italiani, la produzione si bloccherebbe. Senza gli immigrati, in Piemonte sparirebbero dai campi 20mila lavoratori su 32mila; nella provincia di Mantova verrebbe a mancare il 58% della manodopera, a Pordenone circa il 66%, a Verona il 69%, a Cuneo si sfiorerebbe il 74% e a Bolzano l’81% L’intero settentrione, senza immigrati, perderebbe in media il 57% della forza lavoro nei campi. Leggermente più bassa la percentuale che si andrebbe a perdere nel centro Italia, fra Toscana, Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, dove senza manodopera straniera si dovrebbe trovare il modo di integrare circa il 50% di lavoratori. I dati, come già detto, sono differenti nel Sud Italia e nelle isole, dove predominano i lavoratori italiani.
In questo contesto, il caporalato, in molti casi, governa il mercato del lavoro agricolo, in sostituzione dello Stato e delle leggi. Ciò riguarda prevalentemente il Mezzogiorno d'Italia.
Tutto questo produce un danno erariale annuo, in termini di evasione, stimato in 600 milioni di euro, mentre il resto della paga contrattuale, tagliata a metà, come fosse una provvigione, entra nelle tasche del caporale di turno. Costui, il caporale, è un intermediario che riceve una commissione e la esegue, organizzando le squadre, decidendo il salario per i lavoratori, il periodo di lavoro, apre la richiesta per il collocamento e deciderà, casomai, quante giornate legali dovranno essere denunciate, utilizza le società interinali e le agenzie private di trasporti, definisce per sé il prezzo dell’intermediazione. Insomma, organizza un mercato del lavoro non legale parallelo a quello ufficiale. E questa attività diventa, poi, una vera e propria tratta delle persone, quando i braccianti sono stranieri e non solo nei periodi delle grandi raccolte del pomodoro, dell'anguria, dell'uva, degli ortaggi, ma sempre, tutti i giorni. La legge 199 del 2016, con le sue disposizioni, che legislativamente assumono un'azione di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, di riallineamento retributivo nel settore agricolo, sta dimostrando la sua efficacia per il contrasto al caporalato. E questo è dimostrato anche dagli arresti avvenuti in tutta Italia dal 2016 ad oggi. Gli esiti positivi prodotti dalla legge 199, sono confermati dal rapporto annuale dell’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro di febbraio 2018 che evidenzia 5mila222 lavoratori irregolari rilevati durante le ispezioni effettuate nel 2017 e 387 vittime di sfruttamento in agricoltura per mezzo dell’attività di polizia giudiziaria; sono stati inoltre emessi 360 provvedimenti di sospensione di attività imprenditoriale, di cui 312 successivamente revocati a seguito di regolarizzazione.
Un risultato importantissimo che non possiamo dimenticare essere il frutto del lavoro del Governo Renzi, dei Ministri Orlando e Martina, del Parlamento italiano, delle due Camere, delle Commissioni giustizia e lavoro, dei sindacati dei lavoratori agricoli, delle loro battaglie e di quelle delle associazioni agricole, che rimangono un contributo decisivo e fondamentale. Una battaglia per la legalità e la dignità dei lavoratori e delle aziende agricole virtuose. Questo provvedimento, ora, non può assolutamente essere affossato. Anzi, per incidere in profondità, ha bisogno di una nuova stagione civile e culturale della lotta al fenomeno del caporalato, che muova dalle istituzioni territoriali.