di FREDERIC PASCALI - L’adolescenza, con le sue molteplici sfaccettature è stata, da sempre, al servizio di storie che ne esaltassero le peculiarità ad uso e consumo di una propria indipendenza e dignità rispetto al mondo degli adulti. Un po’ quello che accade nella pellicola diretta da Jennifer Yuh Nelson, adattamento cinematografico di uno dei romanzi della saga creata da Alexandra Bracken.
La narrazione, strutturata dalla poco convincente sceneggiatura della stessa Bracken e di Chad Hodge, prende avvio in un futuro inquietante nel quale per una strana, e inspiegabile, epidemia la maggior parte dei bambini e degli adolescenti è deceduta mentre quelli che restano ancora in vita risultano dotati di poteri speciali che il governo americano ritiene possano rappresentare una minaccia per la collettività. I ragazzi sopravvissuti vengono rinchiusi in speciali centri di raccolta e divisi in colori a seconda della loro presunta pericolosità. Tra di loro c’è anche Ruby, ormai sedicenne e prigioniera da quando di anni ne aveva 10. Grazie ai suoi poteri riesce a celare il suo colore corrispondente, il temutissimo arancione, fino a quando qualcuno non l’aiuta a scappare.
Alla resa dei conti la pellicola della Nelson, con alle spalle già una brillante carriera nel cinema di animazione, sconta più difetti che pregi perdendosi in una sorta di canovaccio narrativo che più che dal cinema sembra attingere ai primordi della televisione degli eroi per ragazzi, alla stagione d’oro dei telefilm degli anni 70/80, dall’asiatico “Megaloman” agli immarcescibili “Power Rangers” della Saban Entertainement. Come allora, all’interno di un unico episodio si muovono diversi temi di racconto coadiuvati da una macchina da presa che con estrema “pulizia”, attenendosi pedissequamente allo svolgimento del compito, tratteggia i personaggi con voluta superficialità sfruttando al massimo, in questo caso, l’impalpabile realismo della fotografia di Kramer Morgenthau. Tuttavia, una nota di merito va senz’altro spesa per la protagonista, Amandia Stenberg, “Ruby”, che sostiene il ruolo con il piglio della veterana e dà un po’ di personalità a frangenti troppo spesso scontati.
La narrazione, strutturata dalla poco convincente sceneggiatura della stessa Bracken e di Chad Hodge, prende avvio in un futuro inquietante nel quale per una strana, e inspiegabile, epidemia la maggior parte dei bambini e degli adolescenti è deceduta mentre quelli che restano ancora in vita risultano dotati di poteri speciali che il governo americano ritiene possano rappresentare una minaccia per la collettività. I ragazzi sopravvissuti vengono rinchiusi in speciali centri di raccolta e divisi in colori a seconda della loro presunta pericolosità. Tra di loro c’è anche Ruby, ormai sedicenne e prigioniera da quando di anni ne aveva 10. Grazie ai suoi poteri riesce a celare il suo colore corrispondente, il temutissimo arancione, fino a quando qualcuno non l’aiuta a scappare.
Alla resa dei conti la pellicola della Nelson, con alle spalle già una brillante carriera nel cinema di animazione, sconta più difetti che pregi perdendosi in una sorta di canovaccio narrativo che più che dal cinema sembra attingere ai primordi della televisione degli eroi per ragazzi, alla stagione d’oro dei telefilm degli anni 70/80, dall’asiatico “Megaloman” agli immarcescibili “Power Rangers” della Saban Entertainement. Come allora, all’interno di un unico episodio si muovono diversi temi di racconto coadiuvati da una macchina da presa che con estrema “pulizia”, attenendosi pedissequamente allo svolgimento del compito, tratteggia i personaggi con voluta superficialità sfruttando al massimo, in questo caso, l’impalpabile realismo della fotografia di Kramer Morgenthau. Tuttavia, una nota di merito va senz’altro spesa per la protagonista, Amandia Stenberg, “Ruby”, che sostiene il ruolo con il piglio della veterana e dà un po’ di personalità a frangenti troppo spesso scontati.