'Alla salute': la recensione

di FREDERIC PASCALI - La rappresentazione del dolore, da tempo immemore, accompagna la natura umana e il suo percorso di consapevolezza e attitudine alla vita. Il film documentario diretto da Brunella Filì approfondisce e suggella questo aspetto plasmando la realtà attraverso un gusto estetico elegante e asciutto che punta diritto al messaggio insito nell’icona stessa definita dal corpo aggredito del suo protagonista: lo chef Nick Difino.

La necessità di Nick di documentare, dare voce, suono e immagini al suo imbattersi in una terribile e inaspettata malattia,un linfoma Non-Hodgkin,a partire dalla diagnosi per proseguire poi con il calvario della cura debilitante, e per certi versi invalidante,dipinge sul grande schermo una testimonianza di specie atipica che trova la sua assoluta originalità nella raffigurazione di uno spaccato dell’individuo attraverso quelli che potremmo definire i suoi “usi e costumi”.

Grazie al sapiente lavoro di sceneggiatura della regista  e di Antonella Gaeta, affiancati dallo stesso Difino, il racconto biografico evita il declivio dell’autoreferenzialità e mutua nella descrizione delle diverse sfumature della condizione umana filtrate attraverso le relazioni sociali, le proprie origini e tradizioni nelle quali il cibo, strettamente correlato con il corpo, assume un valore catartico prolungando la sensazione condivisa di poter usufruire di momenti di serenità anche all’interno del più profondo dei drammi.
La macchina da presa gira senza fare troppi sconti e trasmette con efficacia il senso di una sfida che la fotografia di Davide Micocci rende cinematografica senza intaccare la suggestione di una narrazione che supera l’alchimia del montaggio e diventa parte istantanea del nostro tempo.
Pluripremiata al recente Biografilm di Bologna, “Alla salute” è una pellicola destinata a lasciare il segno grazie anche alla sua garbata semplicità concettuale che commuove e fa sorridere senza commistioni di campo e senza pretendere nulla se non la voglia di non gettare mai la spugna anche quando sembra che ormai si attenda solo il suono dell’ultimo gong.