di FRANCESCO GRECO - Bill Gates aveva 53 anni quando si autopensionò da Microsoft per dedicarsi, con la moglie, alla beneficenza. E’ la stessa età in cui da noi i bamboccioni (o i nerd) ancora stanno attaccati alla paghetta di mamma. Che a volte, invece di spingere il vecchio figlio Peter Pan a calci in culo fuori dalla magione paterna, se lo coccola, se lo spupazza come fosse appena nato.
Anche questo è declino, il peggiore, perché non legittimato.
Da noi, se per caso fosse nato un Mark Zuckerberg, lo terremmo a 300 euro al mese, al call center del rione, a contratti a termine.
Anche per questo poi – dopo essere stati costosamente formati dall’Italia - se ne vanno a Barcellona, Londra, Berlino: salvano la paga, e anche la dignità, che qui ti insudiciano ogni mattina, se non sei amico degli amici, meritocrazia zero, cooptazione, becero familismo suicida, livellamento sulla mediocrità e la supponenza.
Siamo un paese di vecchi, pieno di Napolitano, di morti di fame (c’è gente che sta in 20 board e cumulerà 20 pensioni), un nobile decaduto (“straordinario e straziato”). Un’immensa casa di riposo, culle vuote, paesi fantasma (ultimo rapporto SVIMEZ), terre abbandonate, emigrazione in ripresa. Ma a nessuno gliene importa. Non certo ai politici, che vendendo paradisi futuri ci campano: le istituzioni ormai sono ammortizzatori sociali, dal baretto sotto casa al Parlamento il passo è breve.
A frugare impietoso nel baratro in cui siamo finiti, Alberto Forchielli in “Muovete il culo!” (Lettera ai giovani perché facciano la rivoluzione in un Paese di vecchi), Baldini+Castoldi, Milano 2018, pp. 192, euro 15.
Un paese di morti, dove non si prendono decisioni, in cui la fuga dalle responsabilità è cultura. In un tempo virale, vuol dire stare fermi, suicidarsi.
Forchielli apre con la storia del milite ignoto, quel povero ragazzo friulano, Michele, che non ce l’ha fatta e s’è suicidato. Emblema di una generazione (solo una?) che fa “sforzi senza ottenere risultati”, che ha “subito il furto della felicità”.
Un gesto disperato, che andava decodificato ampiamente, ma di cui i media (i Vespa e i Floris) non si sono quasi occupati, dediti come sono al gossip politico da fifa e arena.
Ma quanti Michele ci sono (Generazione Standby) in un paese "messicanizzato", in cui ai casting del Grande Fratello e ai talent si presentano a migliaia? Dove la protesta è stata intrappolata dalle fake-news di sovranismi e populismi e in cui la sinistra è un ectoplasma? In cui il lavoro ha perso ogni dignità e valore (lo ha rilevato anche Papa Francesco), lo stato sociale si è dissolto, ascensore sociale rotto e ammortizzatori sociali zero, o quasi?
Forchielli se la prende anche con la sua generazione, ma non si capisce bene cosa avrebbe dovuto fare, da cosa nascono i sensi di colpa. Sarebbero diventati delle “muffe” a causa di “agi” e “vizi” che gli sono stati concessi. “Hanno perso geneticamente forza di volontà e spirito di sacrificio”. Ma ci sono anche quelli che ce l’hanno e lo stesso sono ricacciati ai margini, fuori dal patto sociale. Vero comunque che chi si è imboscato nei posti migliori senza fare niente (“la furbizia ha spodestato l’etica del lavoro”) oggi è fresco “come delle rose”, a 60 anni magari va in giro coi jeans sdruciti alla moda.
Un saggio da leggere subito, anche se non sortirà alcun effetto: viviamo in un paese alla tre scimmiette sul comò, di sordi, orbi e silenti, che vogliono vivere cento anni in pace. Quella eterna.
Anche questo è declino, il peggiore, perché non legittimato.
Da noi, se per caso fosse nato un Mark Zuckerberg, lo terremmo a 300 euro al mese, al call center del rione, a contratti a termine.
Anche per questo poi – dopo essere stati costosamente formati dall’Italia - se ne vanno a Barcellona, Londra, Berlino: salvano la paga, e anche la dignità, che qui ti insudiciano ogni mattina, se non sei amico degli amici, meritocrazia zero, cooptazione, becero familismo suicida, livellamento sulla mediocrità e la supponenza.
Siamo un paese di vecchi, pieno di Napolitano, di morti di fame (c’è gente che sta in 20 board e cumulerà 20 pensioni), un nobile decaduto (“straordinario e straziato”). Un’immensa casa di riposo, culle vuote, paesi fantasma (ultimo rapporto SVIMEZ), terre abbandonate, emigrazione in ripresa. Ma a nessuno gliene importa. Non certo ai politici, che vendendo paradisi futuri ci campano: le istituzioni ormai sono ammortizzatori sociali, dal baretto sotto casa al Parlamento il passo è breve.
A frugare impietoso nel baratro in cui siamo finiti, Alberto Forchielli in “Muovete il culo!” (Lettera ai giovani perché facciano la rivoluzione in un Paese di vecchi), Baldini+Castoldi, Milano 2018, pp. 192, euro 15.
Un paese di morti, dove non si prendono decisioni, in cui la fuga dalle responsabilità è cultura. In un tempo virale, vuol dire stare fermi, suicidarsi.
Forchielli apre con la storia del milite ignoto, quel povero ragazzo friulano, Michele, che non ce l’ha fatta e s’è suicidato. Emblema di una generazione (solo una?) che fa “sforzi senza ottenere risultati”, che ha “subito il furto della felicità”.
Un gesto disperato, che andava decodificato ampiamente, ma di cui i media (i Vespa e i Floris) non si sono quasi occupati, dediti come sono al gossip politico da fifa e arena.
Ma quanti Michele ci sono (Generazione Standby) in un paese "messicanizzato", in cui ai casting del Grande Fratello e ai talent si presentano a migliaia? Dove la protesta è stata intrappolata dalle fake-news di sovranismi e populismi e in cui la sinistra è un ectoplasma? In cui il lavoro ha perso ogni dignità e valore (lo ha rilevato anche Papa Francesco), lo stato sociale si è dissolto, ascensore sociale rotto e ammortizzatori sociali zero, o quasi?
Forchielli se la prende anche con la sua generazione, ma non si capisce bene cosa avrebbe dovuto fare, da cosa nascono i sensi di colpa. Sarebbero diventati delle “muffe” a causa di “agi” e “vizi” che gli sono stati concessi. “Hanno perso geneticamente forza di volontà e spirito di sacrificio”. Ma ci sono anche quelli che ce l’hanno e lo stesso sono ricacciati ai margini, fuori dal patto sociale. Vero comunque che chi si è imboscato nei posti migliori senza fare niente (“la furbizia ha spodestato l’etica del lavoro”) oggi è fresco “come delle rose”, a 60 anni magari va in giro coi jeans sdruciti alla moda.
Un saggio da leggere subito, anche se non sortirà alcun effetto: viviamo in un paese alla tre scimmiette sul comò, di sordi, orbi e silenti, che vogliono vivere cento anni in pace. Quella eterna.
Ma quanti Michele ci sono (run 3) in un paese "messicanizzato", in cui ai casting del Grande Fratello e ai talent si presentano a migliaia?
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