di FRANCESCO GRECO - Nevicava a Ruvo e don Tonino andò a trovare i marocchini che vivevano in città. In piazza incontrò Mohamed, che gli disse: “Vescovo, fai qualcosa per i miei amici. Non per me, io sto bene, io dormo in un garage…”. Lo portò in periferia, in un stalla, dove otto marocchini erano seduti sulla paglia, uno sui piedi dell’altro: “Si scaldavano così…”.
Di ritorno dall’Australia, don Tonino si fermò a Singapore dove “non riuscii a vedere nessun segno cristiano: non una chiesa, non un campanile, non un segno di croce…”.
A un certo punto Matteo, la guida, gli disse: “Vieni più avanti così, mi ascolti meglio…”. Un amico gli rispose che don Tonino era un vescovo cattolico. Allora egli posò il microfono, si avvicinò al vescovo di Molfetta, Ruvo di Puglia, Giovinazzo e Terlizzi (nato ad Alessano, Lecce, nel 1935) e gli disse: “Sono cattolico.
L’altro giorno è nata una bambina nella mia casa. Si chiama Fior di pesco. La battezzerai tu…”.
Bariloche (Argentina) è una città bellissima. Ce ne sono due: quella al centro, ricca, “lussureggiante, opulenta” e l’altra, fatta di “catapecchie dove la gente vive in un modo disumano”.
Don Ignazio (missionario pugliese in Patagonia), portò don Tonino a visitare “la città dei poveri”.
Faceva molto freddo e nel fango dei barrios, scalzi, una trentina di ragazzini giocavano con gli aquiloni, “li facevano volare con un senso di libertà incredibile” in un pezzo di cielo che sconfinava nelle Ande candide di neve.
Disse ai ragazzini che desiderava conoscere una di quelle capanne di cartone e assi inchiodate l’una accanto all’altra. C’era una donna sui 35 anni, che disse di avere 12 figli. “In quella stanza non c’era nulla, c’era un focolare spento, c’era un armadio, c’era un tavolino… Mi ha colpito che sul tavolo, dove c’era anche un vecchio televisore, c’era anche un libro: El santo Evangelio de nuestro Seňor Jesucristo…”.
Il bravo cardiologo alessanese Giancarlo Piccinni fu uno dei sodali più vicini a don Tonino: una complicità intellettuale che Goethe definirebbe ”affinità elettive”. Con lui il presidente dell’omonima Fondazione ha condiviso idee, visioni, utopie.
Ebbe in dono alcune audiocassette che oggi, a 25 anni dal suo “dies natalis”, sbobinate, costituiscono il corpus pregnante di “Con Cristo sulle strade del mondo” (Trentuno meditazioni per una Chiesa in missione), Edizioni San Paolo, Milano 2018, pp. 142, euro 12 (prefazione di Vito Angiuli, vescovo della diocesi Ugento-Santa Maria di Leuca).
Fra tutti gli scritti di don Tonino e su don Tonino, questo è forse il più struggente, perché intimo e vero, intrecciato con la materia delle fiabe, un canovaccio a tratti aspro perché partorito dal ventre oscuro del mondo, solcato però da un’infinita dolcezza, da un dolore mitigato dall’umana partecipazione dell’uomo di Chiesa ai destini dell’uomo sperduto fra i meridiani, all’ombra dei paralleli del mondo.
Svela l’animo inquieto di un poeta, la sua sensibilità dilatata, lo sguardo teso a cogliere l’essenziale. Un eterno Peter Pan capace di infantili stupori.
Il vescovo pugliese sarebbe stato un ottimo scrittore. Conquista il nitore abbagliante della sua prosa essenziale, cruda, diretta, priva del minimo orpello e per questo di grande pathos, di potere dialettico, evocativo, commuovente. Parole che vanno dritte al cuore.
Di ritorno dall’Australia, don Tonino si fermò a Singapore dove “non riuscii a vedere nessun segno cristiano: non una chiesa, non un campanile, non un segno di croce…”.
A un certo punto Matteo, la guida, gli disse: “Vieni più avanti così, mi ascolti meglio…”. Un amico gli rispose che don Tonino era un vescovo cattolico. Allora egli posò il microfono, si avvicinò al vescovo di Molfetta, Ruvo di Puglia, Giovinazzo e Terlizzi (nato ad Alessano, Lecce, nel 1935) e gli disse: “Sono cattolico.
L’altro giorno è nata una bambina nella mia casa. Si chiama Fior di pesco. La battezzerai tu…”.
Bariloche (Argentina) è una città bellissima. Ce ne sono due: quella al centro, ricca, “lussureggiante, opulenta” e l’altra, fatta di “catapecchie dove la gente vive in un modo disumano”.
Don Ignazio (missionario pugliese in Patagonia), portò don Tonino a visitare “la città dei poveri”.
Faceva molto freddo e nel fango dei barrios, scalzi, una trentina di ragazzini giocavano con gli aquiloni, “li facevano volare con un senso di libertà incredibile” in un pezzo di cielo che sconfinava nelle Ande candide di neve.
Disse ai ragazzini che desiderava conoscere una di quelle capanne di cartone e assi inchiodate l’una accanto all’altra. C’era una donna sui 35 anni, che disse di avere 12 figli. “In quella stanza non c’era nulla, c’era un focolare spento, c’era un armadio, c’era un tavolino… Mi ha colpito che sul tavolo, dove c’era anche un vecchio televisore, c’era anche un libro: El santo Evangelio de nuestro Seňor Jesucristo…”.
Il bravo cardiologo alessanese Giancarlo Piccinni fu uno dei sodali più vicini a don Tonino: una complicità intellettuale che Goethe definirebbe ”affinità elettive”. Con lui il presidente dell’omonima Fondazione ha condiviso idee, visioni, utopie.
Ebbe in dono alcune audiocassette che oggi, a 25 anni dal suo “dies natalis”, sbobinate, costituiscono il corpus pregnante di “Con Cristo sulle strade del mondo” (Trentuno meditazioni per una Chiesa in missione), Edizioni San Paolo, Milano 2018, pp. 142, euro 12 (prefazione di Vito Angiuli, vescovo della diocesi Ugento-Santa Maria di Leuca).
Fra tutti gli scritti di don Tonino e su don Tonino, questo è forse il più struggente, perché intimo e vero, intrecciato con la materia delle fiabe, un canovaccio a tratti aspro perché partorito dal ventre oscuro del mondo, solcato però da un’infinita dolcezza, da un dolore mitigato dall’umana partecipazione dell’uomo di Chiesa ai destini dell’uomo sperduto fra i meridiani, all’ombra dei paralleli del mondo.
Svela l’animo inquieto di un poeta, la sua sensibilità dilatata, lo sguardo teso a cogliere l’essenziale. Un eterno Peter Pan capace di infantili stupori.
Il vescovo pugliese sarebbe stato un ottimo scrittore. Conquista il nitore abbagliante della sua prosa essenziale, cruda, diretta, priva del minimo orpello e per questo di grande pathos, di potere dialettico, evocativo, commuovente. Parole che vanno dritte al cuore.