ROMA – Una dieta troppo ricca di grassi aumenta fino al 24% il rischio di recidiva del tumore della mammella. È dimostrato il ruolo degli stili di vita sani nella cosiddetta prevenzione terziaria, che mira a evitare il ritorno della malattia. Bastano 150 minuti di attività fisica a settimana (ad esempio camminata veloce o giardinaggio) per ridurre del 25% la mortalità per tumore della mammella nelle pazienti che hanno già ricevuto la diagnosi rispetto alle sedentarie. E ingrassare di 5 Kg può incrementare fino al 13% la mortalità per la neoplasia. Attenzione anche al fumo di sigaretta. Le donne che hanno abbandonato questa pericolosa abitudine ma che in passato hanno fumato da 20 a 35 sigarette presentano un rischio di ricomparsa di carcinoma della mammella del 22%, del 37% per le fumatrici di più di 35 sigarette e, addirittura, del 41% per coloro che non hanno mai smesso. “Oggi sempre più donne sconfiggono la malattia, in Italia in quindici anni le percentuali di guarigione sono cresciute di circa il 6%, passando dall’81 all’87 per cento - afferma Stefania Gori, presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. Pazienti che si lasciano la malattia alle spalle e tornano alla vita di prima, spesso senza abbandonare i comportamenti scorretti, dal fumo, alla sedentarietà fino alla dieta sbagliata. Infatti solo l’11% delle donne guarite incrementa l’attività fisica, appena il 15% sceglie una dieta più sana”. Ai traguardi raggiunti e alle nuove sfide nella cura del carcinoma mammario l’AIOM dedica un convegno nazionale che si apre oggi a Roma.
“Nel 2018 nel nostro Paese sono stati stimati 52.800 nuovi casi di questa neoplasia, in assoluto la più frequente - spiega la Presidente Gori -. E circa 800mila donne vivono dopo la diagnosi. Serve più impegno nella prevenzione terziaria. Da un lato più della metà degli oncologi non parla con le pazienti di questi aspetti, dall’altro i cittadini hanno scarsa consapevolezza dell’importanza degli stili di vita corretti. La mancata adesione a queste semplici regole (attività fisica costante, dieta equilibrata, no al fumo) rischia di vanificare gli importanti risultati ottenuti grazie alle campagne di prevenzione e a terapie innovative sempre più efficaci”. “Ingrassare dopo la diagnosi di cancro della mammella e durante le terapie successive è strettamente correlato al rischio di recidiva, un fenomeno legato all’incremento dei livelli di insulina – spiega Alessandra Fabi dell’Oncologia Medica 1 dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma -. Uno studio su più di 3.000 pazienti ha evidenziato che l’assunzione eccessiva di grassi è correlata con un incremento del 24% del rischio di recidiva. Nella dieta di queste donne, l’introito calorico quotidiano era rappresentato per più del 28% da grassi di origine vegetale e animale. La ricerca ha dimostrato l’efficacia dei consigli dei medici per modificare il tipo di alimentazione, con i migliori risultati nelle donne che presentavano una circonferenza addominale superiore a 88 cm”. Evidente anche il ruolo dell’attività fisica. “Uno studio osservazionale, condotto in Italia dall’Istituto Regina Elena – continua Alessandra Fabi -, ha considerato pazienti che praticavano il dragon boat, cioè un particolare tipo di pagaiata. In questo gruppo l’incidenza del linfedema, cioè del gonfiore del braccio, era solo del 4%, con un netto miglioramento dello stato emotivo. È la dimostrazione dell’impatto dell’attività sportiva su uno dei più frequenti effetti collaterali a lungo termine delle terapie”.
La prognosi del tumore della mammella, anche quando associata alla presenza di metastasi, è migliorata negli anni, grazie ai progressi nella conoscenza della malattia e alla disponibilità di nuovi trattamenti: non è raro, infatti, trovare pazienti con malattia metastatica vive anche oltre 10 anni dalla diagnosi. Si distinguono tre sottogruppi di tumori mammari: con recettori ormonali positivi (cioè con positività dei recettori per gli estrogeni e/o per il progesterone); HER2-positivi (in cui è presente la proteina HER-2 in quantità eccessiva) e triplo negativi (che non esprimono i recettori ormonali né iperesprimono il recettore HER2). “Oggi abbiamo molte armi a disposizione per combattere la malattia, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie target fino all’immunoterapia - spiega la Presidente Gori -. Nei tumori HER2-positivi, grazie alla presenza di terapie mirate che interferiscono specificamente bloccando il recettore HER2 e che sono utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche sia nelle forme metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico. Nelle forme metastatiche, i farmaci anti-HER2, associati alla chemioterapia o all’ormonoterapia, determinano una sopravvivenza delle pazienti molto più lunga che in passato. E si sono registrati continui progressi. Infatti, mentre agli inizi degli anni Duemila il 50% delle pazienti metastatiche con tumori HER2-positivi sopravviveva oltre 25 mesi con la somministrazione di chemioterapia associata ad un solo anticorpo anti-HER2, oggi i risultati delle sperimentazioni cliniche ci dicono che il 50% delle pazienti metastatiche sopravvive oltre i 4 anni, con l’utilizzo di chemioterapia associata a due anticorpi monoclonali. Recentemente sono state introdotte nella pratica clinica terapie mirate con inibitori di CDK4/6, una nuova classe di farmaci in grado di inibire due proteine coinvolte nella replicazione delle cellule tumorali. La combinazione di queste molecole con la terapia ormonale rappresenta una nuova opzione di trattamento per le pazienti con carcinoma mammario avanzato e recettori ormonali positivi ed HER2-negativo”.
Nell’immediato le sfide riguardano i casi di tumore del seno più difficili da trattare: quelli triplo negativi, che costituiscono il 15% del totale. “Importanti in questi casi le prospettive offerte dall’immunoterapia in combinazione con la chemioterapia - conclude Stefania Gori -. L’associazione si è dimostrata efficace portando a un aumento di sopravvivenza quasi doppio rispetto alle donne trattate con la sola chemioterapia, come evidenziato da uno studio presentato al recente congresso della Società Europea di Oncologia Medica”.
“Nel 2018 nel nostro Paese sono stati stimati 52.800 nuovi casi di questa neoplasia, in assoluto la più frequente - spiega la Presidente Gori -. E circa 800mila donne vivono dopo la diagnosi. Serve più impegno nella prevenzione terziaria. Da un lato più della metà degli oncologi non parla con le pazienti di questi aspetti, dall’altro i cittadini hanno scarsa consapevolezza dell’importanza degli stili di vita corretti. La mancata adesione a queste semplici regole (attività fisica costante, dieta equilibrata, no al fumo) rischia di vanificare gli importanti risultati ottenuti grazie alle campagne di prevenzione e a terapie innovative sempre più efficaci”. “Ingrassare dopo la diagnosi di cancro della mammella e durante le terapie successive è strettamente correlato al rischio di recidiva, un fenomeno legato all’incremento dei livelli di insulina – spiega Alessandra Fabi dell’Oncologia Medica 1 dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma -. Uno studio su più di 3.000 pazienti ha evidenziato che l’assunzione eccessiva di grassi è correlata con un incremento del 24% del rischio di recidiva. Nella dieta di queste donne, l’introito calorico quotidiano era rappresentato per più del 28% da grassi di origine vegetale e animale. La ricerca ha dimostrato l’efficacia dei consigli dei medici per modificare il tipo di alimentazione, con i migliori risultati nelle donne che presentavano una circonferenza addominale superiore a 88 cm”. Evidente anche il ruolo dell’attività fisica. “Uno studio osservazionale, condotto in Italia dall’Istituto Regina Elena – continua Alessandra Fabi -, ha considerato pazienti che praticavano il dragon boat, cioè un particolare tipo di pagaiata. In questo gruppo l’incidenza del linfedema, cioè del gonfiore del braccio, era solo del 4%, con un netto miglioramento dello stato emotivo. È la dimostrazione dell’impatto dell’attività sportiva su uno dei più frequenti effetti collaterali a lungo termine delle terapie”.
La prognosi del tumore della mammella, anche quando associata alla presenza di metastasi, è migliorata negli anni, grazie ai progressi nella conoscenza della malattia e alla disponibilità di nuovi trattamenti: non è raro, infatti, trovare pazienti con malattia metastatica vive anche oltre 10 anni dalla diagnosi. Si distinguono tre sottogruppi di tumori mammari: con recettori ormonali positivi (cioè con positività dei recettori per gli estrogeni e/o per il progesterone); HER2-positivi (in cui è presente la proteina HER-2 in quantità eccessiva) e triplo negativi (che non esprimono i recettori ormonali né iperesprimono il recettore HER2). “Oggi abbiamo molte armi a disposizione per combattere la malattia, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie target fino all’immunoterapia - spiega la Presidente Gori -. Nei tumori HER2-positivi, grazie alla presenza di terapie mirate che interferiscono specificamente bloccando il recettore HER2 e che sono utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche sia nelle forme metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico. Nelle forme metastatiche, i farmaci anti-HER2, associati alla chemioterapia o all’ormonoterapia, determinano una sopravvivenza delle pazienti molto più lunga che in passato. E si sono registrati continui progressi. Infatti, mentre agli inizi degli anni Duemila il 50% delle pazienti metastatiche con tumori HER2-positivi sopravviveva oltre 25 mesi con la somministrazione di chemioterapia associata ad un solo anticorpo anti-HER2, oggi i risultati delle sperimentazioni cliniche ci dicono che il 50% delle pazienti metastatiche sopravvive oltre i 4 anni, con l’utilizzo di chemioterapia associata a due anticorpi monoclonali. Recentemente sono state introdotte nella pratica clinica terapie mirate con inibitori di CDK4/6, una nuova classe di farmaci in grado di inibire due proteine coinvolte nella replicazione delle cellule tumorali. La combinazione di queste molecole con la terapia ormonale rappresenta una nuova opzione di trattamento per le pazienti con carcinoma mammario avanzato e recettori ormonali positivi ed HER2-negativo”.
Nell’immediato le sfide riguardano i casi di tumore del seno più difficili da trattare: quelli triplo negativi, che costituiscono il 15% del totale. “Importanti in questi casi le prospettive offerte dall’immunoterapia in combinazione con la chemioterapia - conclude Stefania Gori -. L’associazione si è dimostrata efficace portando a un aumento di sopravvivenza quasi doppio rispetto alle donne trattate con la sola chemioterapia, come evidenziato da uno studio presentato al recente congresso della Società Europea di Oncologia Medica”.
Tags
Salute e benessere