di VITTORIO POLITO - Nel centro storico di Bari, in strada Quercia n.10, nei pressi della Chiesa di San Gregorio, in cima ad un locale si nota una rozza scultura in pietra, raffigurante una testa umana, ornata di turbante, chiamata in dialetto “La cape du turchie” (la testa del turco). Il toponimo deriva forse dal nome di qualche famiglia vissuta diversi anni fa nella zona.
La fantasia popolare si è sbizzarrita a fare ipotesi di vario genere, la più accreditata pare essere quella che vuole che uno degli emiri che hanno governato Bari, tale Mufarrag, fu trucidato non si sa da chi ed in quali circostanze. Qualcuno sostiene che l’Emiro tentava di imporre la religione islamica ai baresi i quali rifiutarono decisamente, togliendo allo stesso anche la fiducia. Questa leggenda, legata alla tradizione popolare, sembra contenere qualche pizzico di verità, in virtù del fatto che Bari ha subìto una dominazione araba che durò 30 anni, divenendo così un emirato dipendente da Baghdad. Sta di fatto che si narra che l’emiro si vedeva rannicchiato in un angolo, donde si levava minaccioso il suo sguardo, suscitando molta paura.
In tempi lontani le persone umili e meno colte, per superare gli affanni terreni, vagavano con la mente nel mondo della fantasia, creando storielle e leggende a cui credevano alla fine ciecamente, come fossero realmente accadute, così ricorda Vito Antonio Melchiorre nei suoi libri “Bari Vecchia” e “Storie e patorie” (Adda Editore).
Nei pressi del Castello di Bari, c’è un luogo chiamato “Corte Cavallerizza”, ove sino a quasi un secolo fa, ove molti dichiaravano di vedere nella notte aggirarsi dei fantasmi, evocati da una megera che abitava nei dintorni, per cui il centro della corte, tuttora esistente, era conosciuto come “u arche de la masciare” (arco della fattucchiera).
Qualcuno, meno sprovveduto, asseriva invece che la voce era stata messa in giro per non far passare nessuno, dal momento che in quella zona si riunivano i contrabbandieri per trattare i loro loschi affari.
Un’altra leggenda detta del “cavalcante”, riferisce che un tenebroso cavaliere, in groppa ad un focoso destriero, che dicevano fosse il demonio, usciva di notte dal camposanto e compiva diversi giri intorno alla Chiesa di San Francesco di Piazza Garibaldi. I “bene informati” asserivano che si trattava dello spirito in pena di un confratello della Congregazione di San Domenico, che era tormentato dal rimorso di aver appiccato il fuoco al tempio di una confraternita rivale.
La “fata della casa” rappresenta un personaggio soprannaturale che si troverebbe all’interno di una casa. Secondo antiche credenze si tratterebbe di qualcuno dei componenti della famiglia (uomo, donna o bambino), vissuto in precedenza in quella casa e rimasto poi a proteggere i nuovi occupanti. La “fata” non è sempre uno spirito benefico, qualche volta si mostra cattiva al punto da far ricadere, sulle spalle degli occupanti dell’abitazione, tante di quelle sventure, da costringerli perfino a traslocare. Oggi di questa figura non se ne parla più.
L’angelo della buona novella (angeue de la bona nove), è identificato in qualche persona che bussa alla porta per portare buone notizie delle quali si è in attesa. Mentre la presenza in vicinanza della casa di un gufo o una civetta (malacijdde o cattivi uccelli), starebbe ad indicare l’imminenza di grandi disgrazie (morte di qualche parente ammalato).
Infine, ricordo le maschere apotropaiche che si facevano apporre sui portoni o in cima agli ingressi delle proprie case, le quali, secondo la credenza popolare, avevano il potere di proteggere l’abitazione.
Le immagini dei portoni sono stati ripresi dal volume “Bari Murattiana”, a cura di M. Leonia Fischetti Majorano (Adda Editore).