di FRANCESCO GRECO - Sandra che a Salve insegna l’italiano ai migranti ha pianto quando il dottore Bartòlo ha raccontato la storia della bimba migrante, di 4 anni (4!), che per 6 mesi a Lampedusa (20 km quadrati) ha assistito la mamma malata e aveva nascosto i soldi nella vagina: “Le donai un giocattolo, non lo volle… Per forza, che se ne faceva? Era già una donna!”.
Alessano (una Lampedusa in 16/mi, militante: sono i “semi”, direbbe Papa Francesco, le parole feconde di don Tonino Bello), auditorium Benedetto XVI, dopo Lecce, si presenta “Le stelle di Lampedusa” (La storia di Anila e di altri bambini che cercano il loro futuro fra di noi), Mondadori, Milano 2018, pp. 160, euro 18,00 (collana “Strade blu”): “Mi sono improvvisato scrittore, da 3 anni sabato e domenica vado per le scuole, le università a lanciare un messaggio…” (è il secondo libro, il primo, sempre per Mondadori, del 2017, era "Lacrime di sale").
Scrittore come Edoardo Albinati che sullo stesso tema ha scritto "Cronaca di un pensiero infame" (Baldini+Castoldi, 2018).
C’è il “Salvemini” di Alessano (con la dirigente scolastica Chiara Vantaggiato), il “Don Tonino Bello” di Tricase (Anna Lena Manca) e tanti giunti a verificare l’infida narrazione corrente, gonfia di pregiudizio: è un’invasione, svuotano l’Africa, sono terroristi, portano malattie (“Mai messo una mascherina per non creare distacco, mai preso malattie infettive…”), palestrati, giocano a golf, ci rubano il lavoro, colazione/pranzo/cena, 35 euro e altri mantra, “tutte bugie, la verità non ve la dicono…”, e che fa la fortuna elettorale di populisti e sovranisti: con freddo cinismo lucrano alimentando una “guerra” fra poveri.
Molti i migranti: asiatici, neri, ecc. Alcuni non resisteranno ai racconti, le immagini forti, e usciranno in lacrime rivivendo la loro odissea, i gommoni sudici, le onde, le violenze, i compagni morti e buttai in mare, i lager disumani in Libia, ecc. “Abbiamo grosse responsabilità… Li abbiamo derubati di tutto…”. Come direbbe De Andrè, “Siamo tutti coinvolti”.
Aprono (e chiuderanno con un pezzo su Lampedusa scritto con un cantante giamaicano) Nando Popu (Sud Sound Sistem) e il chitarrista Emanuele Pezzotta. Modera il filosofo Mario Carparelli, introduce il vescovo della Diocesi Ugento-Santa Maria di Leuca, Monsignor Vito Angiuli (lodato per la sua sensibilità dalla presidente dell’Arci di Lecce Anna Caputo), che cita Papa Francesco (“Ambiente e migranti sono le due costanti delle sue riflessioni”). Poi il saluto del presidente della Fondazione “Migrantes” Gianni De Robertis, del Rotary Tricase-Capo di Leuca Antonio Marsilio, della Fondazione ”Don Tonino Bello” Giancarlo Piccinni, del vicesindaco di Alessano Donato Melcarne (la sindaca Francesca Torsello sta per diventare mamma), disperso invece Michele Emiliano.
Figlio di pescatori, anche Bartòlo è andato sui pescherecci per pagarsi gli studi (Medicina), a Trapani e Siracusa. Laurea nel 1988, specializzazione in Ostetricia e Ginecologia. Sposato, tre figli, da pochi giorni è nonno di Giulia. Si fa triste: “Non ho avuto il tempo di vederla… Ieri sera mi hanno chiamato: altri sbarchi...”.
28 anni (una vita!) in trincea (molo Favaloro e dintorni), con i collaboratori (famigliari e lampedusani inclusi, pescatori, “persone fantastiche”, Vito, Costantino, Domenico che quella notte “ne salvò 17 e portò quattro annegati, ma non è andato più per mare… Mi scivolavano dalle mani, diceva…”), in un poliambulatorio smart fronte del porto sulla “mattanza, il nuovo olocausto”.
Numeri da guinness: 350 mila le visite mediche, delle ispezioni cadaveriche si è perso il conto, nei sacchi di plastica, “per legge – spiega Bartòlo - bisogna stabilire il sesso, il colore di occhi e capelli, i denti, se sono infibulati o circoncisi, impronte digitali, dna, foto. E bisogna far presto, dopo 8-10 giorni sono irriconoscibili… Allora occorre tagliare una costola, un femore, un dito. Tutti devono avere un nome, questione di dignità”.
E’ stato il film di Gianfranco Rosi “Fuocoammare” (Orso d’oro a Berlino 2017) a dare visibilità a un tema universale (in questo momento sono sulle vie del mondo 60 milioni di persone). Di cui i media parlano con numeri freddi e sterili (arrivati, dispersi, morti), cancellando le facce e le storie.
Memoria storica del fenomeno, Bartòlo è un uomo timido, che parla col cuore in mano di “un’isola dalla bellezza unica: da sempre l’accoglienza è il nostro dna, un mare che per noi è tutto e tutti quelli che vengono dal mare sono benvenuti: anche io – confida – sono stato un naufrago… Gli sbarchi oggi continuano, per le stesse ragioni: scappano da guerre, fame, violenze, torture. Arrivano nei lager della Libia, quel che accade lì è vergognoso... Dalle carrette del mare ai gommoni. Anche le etnie cambiano: prima dal Nordafrica, oggi da Siria e Africa subsahariana”. Trovano la “Porta d’Europa” di Mimmo Palladino e la scritta: “Proteggere le persone, non i confini”.
DOMANDA: Il Mediterraneo è un mare freddo, arrivano disidratati, preda dell’ipotermia. Lei parla di una nuova malattia, quella dei gommoni…
RISPOSTA: “A volte le taniche di benzina si rovesciano e mescolandosi con l’acqua di mare si crea una sostanza che provoca gravissime ustioni a donne e bambini”.
D. 28 anni sono una vita: ogni tanto avverte la stanchezza per quello che lei definisce un olocausto?
R. “Vivo fra bambini morti e ispezioni cadaveriche: ho incubi notturni, sogno spesso quel bambino coi calzoncini rossi e la maglietta bianca, l’avevo guardato negli occhi… A volte piango e vorrei lasciare, anche io sono un uomo, sono fragile, ma ci ripenso… Spesso ho litigato con gli scafisti, qualcuno l’ho anche preso a calci… Si vede nel film di Rosi…”.
D. Un lutto privato e collettivo duro da elaborare, quel 3 ottobre 2013…
R. “La strage di Lampedusa, 368 morti, un massacro, ma le bare erano 367, in due, bianche, il corpo di una madre che aveva appena partorito e l’altra piccola il bambino col cordone ombelicale. Quel giorno cambiò la mia vita. A un’altra aprii la pancia e tirai fuori il bambino: rischiavo di perdere entrambi… Non ci si abitua mai a vedere i bambini morti… Le mamme li vestono a festa, quante scarpette, treccine ho visto… Che male hanno fatto queste anime innocenti? E’ disumano… Qualche bambina che ho aiutato a nascere mi chiama papà, un altro lo hanno chiamato Pietro…”.
D. La politica apri gli occhi, nacque Mare Nostrum, le navi della MM si spingevano sino alla coste libiche, le ONG nei paraggi…
R. “Paradossalmente aumentarono i morti, perché con le carrette del mare in un viaggio gli scafisti guadagnavano e apparvero i canotti cinesi da 10 euro l’uno, con piccoli motori da 10-15 cavalli. Ora ci dicono che gli sbarchi sono calati dell’80%, col precedente e con questo governo: ma quell’80% di migranti sono in Libia, fra violenze e torture”.
D. Quando va a bordo per verificare eventuali malattie, qual’è la più grave?
R. “Il loro disagio psicologico per le sofferenze subìte. Gli scafisti ammazzano i ragazzi davanti a tutti, alcuni sono morti per asfissia, altri sono stati scuoiati vivi. Ho visto bambini con la frattura delle ossa craniche. Le donne sono trattate peggio degli animali: violentate, messe incinte, costrette a prostituirsi, anche le bambine. Stuprate davanti a tutti, per umiliarle… Alcune partoriscono sui gommoni, da sole, in mezzo al mare. Come quella che legò la placenta con una ciocca di capelli che si strappò. Aiutai una ragazza del Mali a partorire, legai la placenta col laccio delle scarpe: era un bambino bianco, oggi è più nero della madre…
Alle bambine talvolta bloccano le mestruazioni e ovulazioni con i farmaci, perché in Europa dovranno prostituirsi”.
D. Commovente la storia di Kebrak, che venne dalla Svezia per ringraziare di averle salvato la vita…
R. “La credevamo morta, ma avvertii un esile battito del polso. La riceverai a Palermo, fu intubata, si riprese, andò a vivere in Svezia, si è sposata. E’ tornata lo scorso 3 ottobre, la giornata della memoria, c’era lei col pancione, era venuta a ringraziarmi, aveva già un bambino, Israel. E’ stata con noi tre giorni. La gratitudine ti dà la forza di continuare… Perché loro hanno bisogno di noi e noi di loro…”.
D. Giornata della memoria a Lampedusa?
R. “Vengono i sopravvissuti con le famiglie a ringraziare quelli che li hanno ospitati, aiutati, Il vescovo don Franco. C’è una processione, si gettano in mare corone di fiori. Quest’anno non si è visto nessun politico, non era necessario: vergogna! Ma nessuno chiuderà mai la porta di Lampedusa…”.
E mentre Nando Popu canta “Oh Lampedusa” e siamo tutti in piedi (qualcuno piange) per la standing ovation a un uomo vero, che ripete che ci propinano bugie, che dobbiamo sapere la verità, che ognuno può cambiare il mondo e deve far qualcosa, fosse anche sorridere al migrante che incontra (“Sono uomini come noi, non numeri, mostri o alieni: hanno sentimenti, affetti, sogni e speranze: che hanno fatto di male? Il loro sangue è come il nostro, stesso dna… Tutti hanno diritto a una vita dignitosa…”), pensiamo che il dottore Pietro Bartòlo da Lampedusa, ultimo (o primo) lembo d’Europa, è un candidato naturale al Nobel per la Pace. Chi più di lui?