di FRANCESCO GRECO - Quando mai Gaetano Burioni, medico condotto (oggi si dice di famiglia, o di base), avrebbe anche lontanamente pensato che a pensionarlo non sarebbero stati tanto i suoi 89 anni ma internet?
Infatti la sua categoria (come quella dei giornalisti) è a rischio estinzione. E’ la rete – dove corrono informazione e disinformatia - che la sta relativizzando un sacco.
Oggi Aulin e Oki vanno via come l’acqua fresca, i radiologi lavorano senza requie, una tac non si nega a nessuno, più un protocollo è surreale, più suscita interesse. Smanettando in rete dalla sua cameretta, un moccioso può prendersi gioco di un grande luminare. Tutti sono medici, ci si cura da soli, e ci si ammala anche: in rete apprendiamo infatti dei sintomi di una malattia che ci convinciamo di avere.
Così andare dal medico è diventato quasi un optional, perché pensiamo di saperne più di lui, diamo consigli anche agli altri nel rione e alle spalle denigriamo il medico di famiglia: sicuro che è laureato e specializzato? O tempora, o mores!
Internet ha dissodato il fertile limo dove leggende metropolitane e fake news allignano e prosperano che è una bellezza, e ci sentiamo quasi dei missionari a spargere perfida gramigna urbi et orbi condividendola sui social.
E siccome una menzogna centrifugata sul web dopo un giorno diviene verità canforata, comandamento divino, eccoci immersi in un mare di fetido relativismo, una notte interminabile in cui ogni vacca è grigia.
Umberto Eco aveva ragione: il mezzo agevola la prevalenza del cretino, ma non aveva previsto che la diffusione orizzontale di stupidaggini avrebbe persino deciso gli equilibri politici di mezzo mondo attraverso il lavaggio del cervello.
Forse Giulio Cesare intuì che i posteri avrebbero scritto in modo pressappochista, se non falso, delle sue gesta e per evitare falsi mise mano alle sue memorie (“De bello gallico”), altrimenti oggi sarebbe stato relativizzato anche lui.
Ciò che non si riesce a capire (e potrebbero dircelo i sociologi, gli psicologi, o magari gli psichiatri), è come mai in un’epoca dominata da scienza e tecnologia, e loro derivati, in cui la ragione ha vinto millenarie suggestioni, siamo così quasi geneticamente predisposti a credere a tutte le balle che ci spacciano gli sciamani di turno, e a nostra volta diventare testimonial, spargendole come seme infetto nei gangli più oscuri del reale, al limite del favoreggiamento. Perché cantiamo nel coro e ci facciamo lavare il cervello senza reagire?
Abbiamo relativizzato tutto: Dio, la scuola, la famiglia, la patria, la politica, la Costituzione: ma almeno la scienza, per un sottinteso spirito di conservazione, dovremmo tenerla fuori.
E invece c’è, turgido, un preoccupante, delirante elemento di antimodernità , di arcaicità deteriore, di rifiuto della scienza e i suoi risultati. Nel nostro subconscio scorrono carsicamente forre irrazionali, diremmo quasi suicide, da cupio dissolvi in progress.
Osiamo discutere persino l’oggettività dei numeri (sui vaccini che hanno debellato secolari epidemie) e crediamo che le multinazionali del farmaco vogliono ingannarci, spacciarci prodotti dall’effetto placebo per ingrassare a spese nostre.
Così combattiamo battaglie già perse in partenza, privi ormai di libero arbitrio, menato all’alpeggio come bestiame brado. E a volte, per correre dietro alle tante vulgate (i vaccini provocano l’autismo e la sclerosi multipla, il latte crudo previene i tumori, ma “farlo bere ai bambini è come mettergli in mano una pistola carica”), ai negazionismi diffusi, al folklore dei santoni (gelosi dei loro protocolli, Di Bella), non solo sconfiniamo nel ridicolo, ma sacrifichiamo gli innocenti: i bambini. Da carcere a vita.
E la tragedia del nostro tempo è che con noi corrono allegramente anche persone che hanno studiato e che dovrebbero non solo rassicurarci, ma essere al riparo dai tentacoli delle piovre negazioniste: sennò che cosa hanno imparato nelle aule degli atenei? Ippocrate di Kos redivivo li prenderebbe a calci in culo radiandoli dall’Ordine e spingendoli in una bella galera.
A rimettere al centro la conoscenza e la ragione, scacciando i fantasmi di tempi oscuri in cui la mortalità infantile era altissima (a Londra nel 1740 sopravviveva un bambino su quattro), un sapido, essenziale saggio di Roberto Burioni, “Balle mortali” (Meglio vivere con la scienza che morire coi ciarlatani), editore Rizzoli, Milano 2018, pp. 182, euro 18,00 (ebook 9,99).
Con intento divulgativo, Burioni (peraltro preso di mira da politicanti approssimativi e ignoranti, forse gelosi della loro tuttologia da bar sport) relativizza tutto lo sciocchezzaio che ci hanno sbattuto in faccia negli ultimi decenni e i profeti del nulla che lo hanno teorizzato.
Dal siero delle capre di un veterinario siciliano, Libero Bonifacio, al metodo Stamina di Vannoni (contro ictus, lesioni del midollo spinale, Parkinson, ecc.) senza scordare la somatostatina di Di Bella. Se il mondo accademico e le riviste scientifiche non li prendono in considerazione, ci sarà pure una buona ragione.
Chi poi, come noi, ingenui, ignorava l’esistenza di una setta detta “Roveto ardente”, apprenderà , non senza sgomento, delle strane teorie millenaristiche (la fine del mondo è imminente, ma se non arriva basta spostare la data) e che gli antibiotici sono il male assoluto. Cascami da pensiero integralista, demenziale, pre-illuminista. Voltaire e Pascal si farebbero un sacco di risate.
Fra le righe, Borioni ci dice di stare attenti a questi messia un tot al chilo, prima di ritrovarci nel Medioevo dei maghi, le streghe e gli untori. Meglio un antibiotico del SSN di una pozione magica che annuncia miracoli. Ma solo per la carta di credito degli apprendisti stregoni.
Infatti la sua categoria (come quella dei giornalisti) è a rischio estinzione. E’ la rete – dove corrono informazione e disinformatia - che la sta relativizzando un sacco.
Oggi Aulin e Oki vanno via come l’acqua fresca, i radiologi lavorano senza requie, una tac non si nega a nessuno, più un protocollo è surreale, più suscita interesse. Smanettando in rete dalla sua cameretta, un moccioso può prendersi gioco di un grande luminare. Tutti sono medici, ci si cura da soli, e ci si ammala anche: in rete apprendiamo infatti dei sintomi di una malattia che ci convinciamo di avere.
Così andare dal medico è diventato quasi un optional, perché pensiamo di saperne più di lui, diamo consigli anche agli altri nel rione e alle spalle denigriamo il medico di famiglia: sicuro che è laureato e specializzato? O tempora, o mores!
Internet ha dissodato il fertile limo dove leggende metropolitane e fake news allignano e prosperano che è una bellezza, e ci sentiamo quasi dei missionari a spargere perfida gramigna urbi et orbi condividendola sui social.
E siccome una menzogna centrifugata sul web dopo un giorno diviene verità canforata, comandamento divino, eccoci immersi in un mare di fetido relativismo, una notte interminabile in cui ogni vacca è grigia.
Umberto Eco aveva ragione: il mezzo agevola la prevalenza del cretino, ma non aveva previsto che la diffusione orizzontale di stupidaggini avrebbe persino deciso gli equilibri politici di mezzo mondo attraverso il lavaggio del cervello.
Forse Giulio Cesare intuì che i posteri avrebbero scritto in modo pressappochista, se non falso, delle sue gesta e per evitare falsi mise mano alle sue memorie (“De bello gallico”), altrimenti oggi sarebbe stato relativizzato anche lui.
Ciò che non si riesce a capire (e potrebbero dircelo i sociologi, gli psicologi, o magari gli psichiatri), è come mai in un’epoca dominata da scienza e tecnologia, e loro derivati, in cui la ragione ha vinto millenarie suggestioni, siamo così quasi geneticamente predisposti a credere a tutte le balle che ci spacciano gli sciamani di turno, e a nostra volta diventare testimonial, spargendole come seme infetto nei gangli più oscuri del reale, al limite del favoreggiamento. Perché cantiamo nel coro e ci facciamo lavare il cervello senza reagire?
Abbiamo relativizzato tutto: Dio, la scuola, la famiglia, la patria, la politica, la Costituzione: ma almeno la scienza, per un sottinteso spirito di conservazione, dovremmo tenerla fuori.
E invece c’è, turgido, un preoccupante, delirante elemento di antimodernità , di arcaicità deteriore, di rifiuto della scienza e i suoi risultati. Nel nostro subconscio scorrono carsicamente forre irrazionali, diremmo quasi suicide, da cupio dissolvi in progress.
Osiamo discutere persino l’oggettività dei numeri (sui vaccini che hanno debellato secolari epidemie) e crediamo che le multinazionali del farmaco vogliono ingannarci, spacciarci prodotti dall’effetto placebo per ingrassare a spese nostre.
Così combattiamo battaglie già perse in partenza, privi ormai di libero arbitrio, menato all’alpeggio come bestiame brado. E a volte, per correre dietro alle tante vulgate (i vaccini provocano l’autismo e la sclerosi multipla, il latte crudo previene i tumori, ma “farlo bere ai bambini è come mettergli in mano una pistola carica”), ai negazionismi diffusi, al folklore dei santoni (gelosi dei loro protocolli, Di Bella), non solo sconfiniamo nel ridicolo, ma sacrifichiamo gli innocenti: i bambini. Da carcere a vita.
E la tragedia del nostro tempo è che con noi corrono allegramente anche persone che hanno studiato e che dovrebbero non solo rassicurarci, ma essere al riparo dai tentacoli delle piovre negazioniste: sennò che cosa hanno imparato nelle aule degli atenei? Ippocrate di Kos redivivo li prenderebbe a calci in culo radiandoli dall’Ordine e spingendoli in una bella galera.
A rimettere al centro la conoscenza e la ragione, scacciando i fantasmi di tempi oscuri in cui la mortalità infantile era altissima (a Londra nel 1740 sopravviveva un bambino su quattro), un sapido, essenziale saggio di Roberto Burioni, “Balle mortali” (Meglio vivere con la scienza che morire coi ciarlatani), editore Rizzoli, Milano 2018, pp. 182, euro 18,00 (ebook 9,99).
Con intento divulgativo, Burioni (peraltro preso di mira da politicanti approssimativi e ignoranti, forse gelosi della loro tuttologia da bar sport) relativizza tutto lo sciocchezzaio che ci hanno sbattuto in faccia negli ultimi decenni e i profeti del nulla che lo hanno teorizzato.
Dal siero delle capre di un veterinario siciliano, Libero Bonifacio, al metodo Stamina di Vannoni (contro ictus, lesioni del midollo spinale, Parkinson, ecc.) senza scordare la somatostatina di Di Bella. Se il mondo accademico e le riviste scientifiche non li prendono in considerazione, ci sarà pure una buona ragione.
Chi poi, come noi, ingenui, ignorava l’esistenza di una setta detta “Roveto ardente”, apprenderà , non senza sgomento, delle strane teorie millenaristiche (la fine del mondo è imminente, ma se non arriva basta spostare la data) e che gli antibiotici sono il male assoluto. Cascami da pensiero integralista, demenziale, pre-illuminista. Voltaire e Pascal si farebbero un sacco di risate.
Fra le righe, Borioni ci dice di stare attenti a questi messia un tot al chilo, prima di ritrovarci nel Medioevo dei maghi, le streghe e gli untori. Meglio un antibiotico del SSN di una pozione magica che annuncia miracoli. Ma solo per la carta di credito degli apprendisti stregoni.
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