Libri: quando Miriam partì in cerca di se stessa

di FRANCESCO GRECO - Sullo sfondo livido del secondo conflitto mondiale, che devasta il paesaggio e il cuore degli uomini, a Milano (Porta Ticinese) la maestrina 24enne Miriam Accogli, la sola sopravvissuta a un bombardamento alleato (effetti collaterali, ottobre 1944) che fa fatto strage di una scuola con 200 bambini, ogni giorno si reca alla stazione per veder partire i treni e appunta note sul suo taccuino.
 
Ha avuto una storia con un carabiniere ausiliario meridionale, si sono amati, lei lo ha vagheggiato come uomo della sua vita, ha disegnato dei percorsi nella sua mente di donna pragmatica che sogna un domani appena un po’ vivibile: una casa, la famiglia, i bambini.
 
Salvatore Continisi invece no, e se ne torna al suo Sud “fatto di mare e ulivi” senza dare a intendere di aver capito, anzi, immaginando altre vie sentimentali per Miriam. Come dire: è stata solo un’avventura, fine.
 
E’ l’incipit intrigante e denso nei postulati affabulatori (evidenti e carsici) de “Viaggio in ombra”, romanzo breve o racconto lungo, terza fatica letteraria della scrittrice pugliese (nata a Brindisi da genitori salentini, Parabita, vive a Bari dove esercita la professione forense) Annalaura Giannelli, Adda Editore, Bari 2018, pp. 124, euro 12,00, bella cover dell’artista spagnolo José Maria Pena (presentato a Siviglia, Palazzo de la Buhaira, dall’Istituto di Cultura Salentina che Laura presiede, poi Milano, Lecce, Roma).   
 
Se il primo è un romanzo di formazione, tentativi vaghi, come un bimbo che tenta i primi passi, approcci sconnessi al mestiere e bisogna avere il favore degli astri e gli dei per emozionare il cuore e conquistare la mente del lettore, “Di terra e d’anima” (stesso editore, 2013) sorprese e commosse per quelle donne forti e sicure sparse come satelliti su più orbite esistenziali e temporali, unite però da un’intensa energia universale, dalla complicità che diviene forza in un Sud contadino magico e tragico, dall’animo insonne e pulsante di vita, scosso da passioni profonde, che portano allo sfinimento e allo smarrimento.

E piacque anche la scansione storica, sociologica e antropologica (la sovrapposizione di più livelli narrativi, il sontuoso, barocco intreccio è una costante della prosa della Giannelli che tradisce la sua nascita). La viva forza del documentario neorealista del Novecento a Sud, universo con le sue specificità, che si immagina immobile, cristallizzato, anche o soprattutto nella sua architettura sociale.   

La seconda performance è più ispida da affrontare: crea ansie, attese, speranze. C’è chi esita a pubblicare, chi ha paura, e chi no.

La Giannelli non è donna da indugi né remore, ricorda un po’ quelle icone rinascimentali che vissero in sintonia col loro tempo, coscienti che non esistono muri invalicabili per il desiderio: volli, fortissimamente volli.
 
E uscì con “La figlia del destino” (ancora Adda, 2015) confermando un’intima conoscenza della psicologia femminile, padrona di quel mood che ribolle nell’animo sfuggente di ogni donna.
 
Era la storia di un viaggio (costante delle sue protagoniste, che cercano se stesse) negli anni Novanta: una bambina arriva a Brindisi nei giorni del “Vlora” a Bari, dall’altra sponda e trova una donna sconosciuta che se ne prende cura come fosse la figlia desiderata, senza sapere nulla di lei, che non ha la madre, ma ha un padre che l’ha smarrita nel tumulto della fine di un mondo (e che era inviso al regime comunista).

In quel romanzo commuovente ci disse che ogni donna è madre di tutti i bambini intorno a noi, anche di creature culturalmente lontane, che domani saranno madri a loro volta. Piacque la modulazione universale dell’amor materno, uguale in tutte le donne la cui centralità ne uscì sublimata. Un sentimento laico, totale, da neo-umanesimo prima che cristiano.
 
“Viaggio in ombra” è dunque una conferma di doti e sensibilità non comuni, si insinua nel solco tracciato con le opere precedenti trasfigurandosi, in maniera oggettiva, in una vocazione.

La Giannelli è una scrittrice con la “esse” maiuscola, un po’ Elsa Morante un po’ Isabel Allende nell’evocare paesaggi dell’anima, tormenti, desideri, sogni. Conosce profondamente i sottintesi delle donne d’ogni tempo, i loro chiaroscuri, le palpitazioni, ma anche quel loro senso pratico che tiene vivo e salva il mondo: Miriam infatti è determinata a sposarsi, diventare madre: sa che solo così una donna esisterà per sempre, esaltando la sua mission oltre che la femminilità.
 
E intraprende il viaggio in un mondo di cui poco sa e tutto immagina, in cerca di un uomo svanito nel nulla: è, a leggerlo meglio, un’iniziazione, una fine (ha detto addio alla famiglia, la sorella Pina, Pietro il padre meccanico, la madre Jolanda e alla sua vita) e un inizio.

Segue un istinto tutto femminile verso la vita in divenire, che crea altre vite (“la maternità è un’esperienza meravigliosa”). Un po’ come le migranti che lasciano le loro capanne nei villaggi della Somalia in cerca di una vita degna, o i paesini dell’Est per fare le badanti.
 
Ma si può viaggiare in molti modi e in un Sud intriso di superstizioni, dove tutto è “tradimento e abbandono”. Stavolta la scrittrice è abile – ed è qui la novità rispetto ai lavori precedenti - nel vagheggiare un viaggio particolare, surreale, metafisico, anche alchemico, su una dimensione ignota alla ragione dove si possono fare curiosi incontri: per esempio un “Mago”. Un uomo che a forza di incantesimi è rimasto vittima delle sue stesse elucubrazioni (diviene un falco), da cui non riesce a uscire (posto che lo voglia), e poi una fattucchiera che legge il futuro, un cappellaio matto che le regala un cappello alla festa della patrona, una contadina che Miriam aiuta a partorire una bambina, suscitando le bestemmie del padre Zim che voleva un maschio, e poi Cosimo, un bambino orfano di madre che vive con la matrigna Nella, il cui marito Miriam riconosce fra la gente sotto le luminarie…
 
La scrittrice stavolta si avventura su una scansione extratemporale non facile da gestire, dove la ragione resta intrappolata “in un labirinto di strade senza uscita”, alimentandosi delle sue stesse ombre, in una ragnatela vischiosa dove la mente disegna arazzi abitati da fantasmi più vivi dei vivi, che però non riescono a deviare la maestrina dal suo progetto di altri viaggi. 
 
Il personaggio di Miriam ha una dirompente carica di modernità nel suo coraggio, nella fame di futuro, di audace protagonismo mentre piovono le bombe, assetata di un tempo in divenire che vuol dominare, perché cosciente della sua esponenziale, impietosa fugacità, del suo ruminare tutto perché le ombre del crepuscolo arrivano di soppiatto e annunciano la notte.
 
La Giannelli appare anche stavolta padrona della storia che racconta, ancora in stato di grazia: domina la scrittura, il fato, la vita con sapienza e leggerezza fino alla commozione, alla poesia. La sua prosa delicata ma decisa procede essenziale e scarna, la tela è fatta di materia viva e al contempo dell’essenza sfuggente dei sogni.
 
Riuscirà Miriam a trovare Salvatore per vivere il suo sogno, che è quello di tutte le donne: la complicità con l’altro, le sottintese sintonie dei cuori, il calore della casa, la tenerezza di una creatura sgravata dalle proprie viscere? Tocca al lettore scoprirlo.