di FRANCESCO GRECO - Il capitalismo in cerca di un’etica. Dire anima sarebbe blasfemo, da arresto preventivo. Non per noialtri, base della piramide, ormai senza più diritti se non la precarietà e le libertà apparenti, né per i destini dell’umanità, ma nel suo stesso interesse, per fermare il default sull’orlo del baratro.
Dopo aver accecato bambini, e cavalli (nelle miniere della rivoluzione industriale) e devastato e inquinato cieli, mari e terre, consumato territori, avvelenato l’ambiente per i prossimi secoli, alterato ecosistemi irriproducibili, delocalizzato per pagare il lavoro due soldi (elogiati per questo dai loro menestrelli), per continuare a esistere, a darsi un orizzonte futuro, non ha altra opzione.
C’è da vedere se il suo istinto di sopravvivenza esiste ancora, magari appannato, relativizzato, o se per caso il capitalismo non si sia avvitato in una dimensione masochistica, da cupio dissolvi, da autodafé definitivo.
Ai nostri carnefici che galleggiano fra rapina e finanza creativa il compito storico di smentirci. Prima che il buco nero ci inghiotta tutti quanti. E prevalga l’homo homini lupus, il richiamo della foresta, appetiti smodati, istinti bestiali, iconoclasti.
Colin Crouch, “Salviamo il capitalismo da se stesso” (Il futuro del capitalismo democratico dipenderà da quanto stati e cittadini rappresentati a livello globale sapranno farsi ascoltare), il Mulino editore, Bologna 2018, pp. 110, euro 12,00 (Collana “Voci”).
Il sociologo è molto fiducioso sul ruolo dei cittadini, delle istituzioni (Ue e Ocse per dire) e delle loro coscienze (egli stesso parla di “spinte autolesioniste”). Ma il trionfo di populismi, sovranismi e antipolitica, a livello planetario, rende tutti un po’ scettici. Anche perché le nuove classi dirigenti, prone, creano una normativa attorno al the end incombente propinandoci mantra vuoti e slogan elettorali che chiamano comunicazione e che altro non è se non miserabile demagogia.
E che i ricconi di Kensington o Chelsea ci affittino le loro magioni che invece preferiscono tenere vuote, o che Trump apra le porte ai poveracci del Centroamerica (“i potenti trattano sempre con alterigia le persone comuni, di qualunque estrazione siano”) appare improbabile assai.
Ma quando, come direbbe lo scrittore peruviano Manuel Scorza, si è toccato le nubi con il culo, non resta che sperare…
Dopo aver accecato bambini, e cavalli (nelle miniere della rivoluzione industriale) e devastato e inquinato cieli, mari e terre, consumato territori, avvelenato l’ambiente per i prossimi secoli, alterato ecosistemi irriproducibili, delocalizzato per pagare il lavoro due soldi (elogiati per questo dai loro menestrelli), per continuare a esistere, a darsi un orizzonte futuro, non ha altra opzione.
C’è da vedere se il suo istinto di sopravvivenza esiste ancora, magari appannato, relativizzato, o se per caso il capitalismo non si sia avvitato in una dimensione masochistica, da cupio dissolvi, da autodafé definitivo.
Ai nostri carnefici che galleggiano fra rapina e finanza creativa il compito storico di smentirci. Prima che il buco nero ci inghiotta tutti quanti. E prevalga l’homo homini lupus, il richiamo della foresta, appetiti smodati, istinti bestiali, iconoclasti.
Colin Crouch, “Salviamo il capitalismo da se stesso” (Il futuro del capitalismo democratico dipenderà da quanto stati e cittadini rappresentati a livello globale sapranno farsi ascoltare), il Mulino editore, Bologna 2018, pp. 110, euro 12,00 (Collana “Voci”).
Il sociologo è molto fiducioso sul ruolo dei cittadini, delle istituzioni (Ue e Ocse per dire) e delle loro coscienze (egli stesso parla di “spinte autolesioniste”). Ma il trionfo di populismi, sovranismi e antipolitica, a livello planetario, rende tutti un po’ scettici. Anche perché le nuove classi dirigenti, prone, creano una normativa attorno al the end incombente propinandoci mantra vuoti e slogan elettorali che chiamano comunicazione e che altro non è se non miserabile demagogia.
E che i ricconi di Kensington o Chelsea ci affittino le loro magioni che invece preferiscono tenere vuote, o che Trump apra le porte ai poveracci del Centroamerica (“i potenti trattano sempre con alterigia le persone comuni, di qualunque estrazione siano”) appare improbabile assai.
Ma quando, come direbbe lo scrittore peruviano Manuel Scorza, si è toccato le nubi con il culo, non resta che sperare…