di MICHELE CRISTALLO - Un tempo il pane si impastava in casa e, dopo la lievitazione, si mandava al forno. Non mancavano, però, coloro che disponevano di un forno, soprattutto nelle campagne, per cui si completava in casa il processo di panificazione. Erano tempi nei quali non era consentito scialare per cui si panificava ogni settimana, spesso ogni dieci giorni; si può dire che il pane “nasceva” già raffermo, però bisognava consumarlo fino all’ultima briciola perché il pane «rappresenta la metafora del Corpo di Cristo»; era peccato ed anche antieconomico buttarlo per cui se ne faceva uso anche come “piatto di recupero”. Stiamo parlando del pancotto che è tra i protagonisti delle circa mille ricette che Grazia Galante propone nel libro “Il Gargano in tavola” appena uscito da Levante Editori Bari. Ricette con verdure, con carne, con pasta fatta in casa, con pesce, con legumi, con frattaglie.
Il pancotto è descritto in un vasto repertorio. Un piatto – scrive la Galante - «che ha sfamato diverse generazioni e che è stato per tanto tempo l’elemento fondamentale nell’alimentazione contadina, pur nella sua povertà, ha avuto la capacità di resistere al rischio di cancellazione ed ancora oggi è largamente presente sulla tavola garganica ed è uno degli elementi distintivi dell’identità della popolazione». Tema complesso, quella della identità – scrive nella introduzione Guido Pensato – soprattutto se riferito al Gargano, alla sua storia, agli scambi e alle assimilazioni di altre culture alimentari, rivenienti soprattutto dall’Abruzzo per il tramite della transumanza delle greggi che ha contribuito a «comporre un quadro attendibile della identità della cucina del Gargano». Ma non solo, perché occorre anche tener conto di altri eventi che negli ultimi cinquant’anni hanno «investito il Gargano mettendo in discussione assetti secolari e rimescolando persino…gli ingredienti della cucina e le caratteristiche, la natura e il ruolo degli atti, dei soggetti, dei luoghi, dei simboli che ad esse da sempre rinviano». Pensato si riferisce in particolare alla industrializzazione di talune aree costiere, all’esplosione del turismo religioso, alla stessa costituzione del Parco Nazionale del Gargano.
Fattori che hanno avuto ripercussioni sul quadro dell’alimentazione e sui consumi. Però, anche se la “rivoluzione alimentare”, i nuovi stili di vita, la “civiltà dell’abbondanza” non hanno risparmiato la gente del Gargano, non hanno intaccato – sostiene Grazia Galante - «le peculiarità dell’alimentazione e della cucina di questa parte della Puglia che provengono sia dalla storia, sia dai fattori naturali, dalle proprie materie prime. Il sole, il mare, i laghi, il suolo con le sue diverse caratteristiche pedologiche, sono fattori essenziali nel determinare le tipicità dei prodotti garganici».
Grazia Galante, per anni docente di materie letterarie nelle scuole medie, non è nuova ad operazioni di recupero delle tradizioni popolari del Promontorio, della medicina popolare, dei canti, delle fiabe e della memoria collettiva del suo paese San Marco in Lamis. Nelle sue ricette è anche l’identità, non solo culinaria, del Promontorio; un territorio, come osserva Guido Pensato, «dalla storia infinita, permeata di religiosità ancestrale che affonda le radici nella preistoria e le prolunga nell’attualità permanente dei pellegrinaggi, dei riti, delle celebrazioni e della devozione contemporanea». Si pensi alla grotta dell’Arcangelo e a San Pio, una religiosità che si salda con la religione civile dell’ambiente e della natura» in un legame permanente che «ha scritto la storia economica e sociale del luogo attraverso le dinamiche della Transumanza e della Dogana della mena delle pecore». Il pancotto che, come scrive Pasquale Soccio «come altrove la polenta è il piatto quotidiano della nostra gente rurale», nella sua semplicità e frugalità testimonia e perpetua questo profondo legame con una storia che ha sfidato il tempo e si rinnova nelle sue connotazioni di parsimonia e povertà, anche nella civiltà dello spreco.
Il pancotto è descritto in un vasto repertorio. Un piatto – scrive la Galante - «che ha sfamato diverse generazioni e che è stato per tanto tempo l’elemento fondamentale nell’alimentazione contadina, pur nella sua povertà, ha avuto la capacità di resistere al rischio di cancellazione ed ancora oggi è largamente presente sulla tavola garganica ed è uno degli elementi distintivi dell’identità della popolazione». Tema complesso, quella della identità – scrive nella introduzione Guido Pensato – soprattutto se riferito al Gargano, alla sua storia, agli scambi e alle assimilazioni di altre culture alimentari, rivenienti soprattutto dall’Abruzzo per il tramite della transumanza delle greggi che ha contribuito a «comporre un quadro attendibile della identità della cucina del Gargano». Ma non solo, perché occorre anche tener conto di altri eventi che negli ultimi cinquant’anni hanno «investito il Gargano mettendo in discussione assetti secolari e rimescolando persino…gli ingredienti della cucina e le caratteristiche, la natura e il ruolo degli atti, dei soggetti, dei luoghi, dei simboli che ad esse da sempre rinviano». Pensato si riferisce in particolare alla industrializzazione di talune aree costiere, all’esplosione del turismo religioso, alla stessa costituzione del Parco Nazionale del Gargano.
Fattori che hanno avuto ripercussioni sul quadro dell’alimentazione e sui consumi. Però, anche se la “rivoluzione alimentare”, i nuovi stili di vita, la “civiltà dell’abbondanza” non hanno risparmiato la gente del Gargano, non hanno intaccato – sostiene Grazia Galante - «le peculiarità dell’alimentazione e della cucina di questa parte della Puglia che provengono sia dalla storia, sia dai fattori naturali, dalle proprie materie prime. Il sole, il mare, i laghi, il suolo con le sue diverse caratteristiche pedologiche, sono fattori essenziali nel determinare le tipicità dei prodotti garganici».
Grazia Galante, per anni docente di materie letterarie nelle scuole medie, non è nuova ad operazioni di recupero delle tradizioni popolari del Promontorio, della medicina popolare, dei canti, delle fiabe e della memoria collettiva del suo paese San Marco in Lamis. Nelle sue ricette è anche l’identità, non solo culinaria, del Promontorio; un territorio, come osserva Guido Pensato, «dalla storia infinita, permeata di religiosità ancestrale che affonda le radici nella preistoria e le prolunga nell’attualità permanente dei pellegrinaggi, dei riti, delle celebrazioni e della devozione contemporanea». Si pensi alla grotta dell’Arcangelo e a San Pio, una religiosità che si salda con la religione civile dell’ambiente e della natura» in un legame permanente che «ha scritto la storia economica e sociale del luogo attraverso le dinamiche della Transumanza e della Dogana della mena delle pecore». Il pancotto che, come scrive Pasquale Soccio «come altrove la polenta è il piatto quotidiano della nostra gente rurale», nella sua semplicità e frugalità testimonia e perpetua questo profondo legame con una storia che ha sfidato il tempo e si rinnova nelle sue connotazioni di parsimonia e povertà, anche nella civiltà dello spreco.
INTERESSANTE NOTA SUL PANE E IL GARGANO.
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