di FREDERIC PASCALI - Prima dell’undici settembre, di cui tutti abbiamo ancora piena memoria,ce n’era stato un altro che aveva segnato per sempre la vita di una nazione e delle generazioni vissute a cavallo di quella data.
Il documentario che segna il ritorno di un lavoro di Nanni Moretti nelle sale cinematografiche aggiunge un nuovo capitolo di commento a quel drammatico giorno del 1973 quando un golpe militare segnò per sempre la storia contemporanea del Cile ponendo fine, in un lasso di tempo brevissimo, alla presidenza di Salvador Allende. Eletto democraticamente nel 1970, il presidente cileno non sopravvisse all’attacco, restano non del tutto chiare le circostanze della sua morte, e, dopo il bombardamento del Palacio de La Moneda da parte della sua stessa aviazione, divenne il simbolo di un popolo che aveva creduto di poter fare da sé all’interno dei complessi scenari politico-economici della guerra fredda. Una stagione di grande esuberanza civile che Moretti ricostruisce concentrandosi soprattutto su quello che successe nel “dopo” narrando, attraverso una serie di efficaci interviste,comprese quelle ad alcuni ex generali di Pinochet, il percorso che da protagonisti trasformò in perseguitati numerosi esponenti e attivisti del partito di Allende.
Con il piglio secco e diretto tipico della sua poetica, il regista italiano si sofferma su alcune vicende personali di coloro che scamparono, almeno in parte, alle repressioni e alle purghe della dittatura di Pinochet rifugiandosi nell’ambasciata italiana, viatico per il successivo approdo nel Bel Paese. Presente e passato si fondono e la memoria dei reduci ricorda un’Italia che rispetto ad allora si è persa in infiniti distinguo. Nello sguardo velato di malinconia, nella commozione che spesso attanaglia il racconto delle donne e degli uomini intervistati da Moretti passa la sincera dedizione verso una causa ormai lontana di un tempo in cui loro stessi erano “Re”, in cui,inebriante, felice, poi aspra e dolorosa la rappresentazione di una delle libertà possibili coincideva con la loro stessa vita. Un teatro che la storia ha ormai chiuso senza tuttavia tarpare le ali ai ricordi che Moretti è bravo a lasciar scorrere senza enfasi e artifizi di sorta, scevri di ogni tentazione retorica e ben quadrati dalla fotografia di Maura Morales Bergmann e il montaggio di Clelio Benvenuto.
Il documentario che segna il ritorno di un lavoro di Nanni Moretti nelle sale cinematografiche aggiunge un nuovo capitolo di commento a quel drammatico giorno del 1973 quando un golpe militare segnò per sempre la storia contemporanea del Cile ponendo fine, in un lasso di tempo brevissimo, alla presidenza di Salvador Allende. Eletto democraticamente nel 1970, il presidente cileno non sopravvisse all’attacco, restano non del tutto chiare le circostanze della sua morte, e, dopo il bombardamento del Palacio de La Moneda da parte della sua stessa aviazione, divenne il simbolo di un popolo che aveva creduto di poter fare da sé all’interno dei complessi scenari politico-economici della guerra fredda. Una stagione di grande esuberanza civile che Moretti ricostruisce concentrandosi soprattutto su quello che successe nel “dopo” narrando, attraverso una serie di efficaci interviste,comprese quelle ad alcuni ex generali di Pinochet, il percorso che da protagonisti trasformò in perseguitati numerosi esponenti e attivisti del partito di Allende.
Con il piglio secco e diretto tipico della sua poetica, il regista italiano si sofferma su alcune vicende personali di coloro che scamparono, almeno in parte, alle repressioni e alle purghe della dittatura di Pinochet rifugiandosi nell’ambasciata italiana, viatico per il successivo approdo nel Bel Paese. Presente e passato si fondono e la memoria dei reduci ricorda un’Italia che rispetto ad allora si è persa in infiniti distinguo. Nello sguardo velato di malinconia, nella commozione che spesso attanaglia il racconto delle donne e degli uomini intervistati da Moretti passa la sincera dedizione verso una causa ormai lontana di un tempo in cui loro stessi erano “Re”, in cui,inebriante, felice, poi aspra e dolorosa la rappresentazione di una delle libertà possibili coincideva con la loro stessa vita. Un teatro che la storia ha ormai chiuso senza tuttavia tarpare le ali ai ricordi che Moretti è bravo a lasciar scorrere senza enfasi e artifizi di sorta, scevri di ogni tentazione retorica e ben quadrati dalla fotografia di Maura Morales Bergmann e il montaggio di Clelio Benvenuto.