di ILARIA STEFANELLI - Alla Scala continuano a piovere applausi e manifestazioni di ampio consenso da parte del pubblico per Attila, capolavoro giovanile di Giuseppe Verdi, opera scelta accuratamente dalla direzione artistica per riportare l’attenzione del pubblico sulle opere meno popolari del celebre maestro tanto caro ai melomani di tutto il mondo.
Dopo “la
sfida” lanciata con Giovanna d’Arco nel 2015, che vide una strepitosa Netrebko
nei panni della celebre “martire” della giustizia francese, fino all’8 gennaio
sarà Attila interpretato da Ildar Abdrazakov , a infiammare il pubblico del
prestigioso teatro milanese, cosa che sembra verificarsi puntualmente ad ogni
replica del lavoro con una massiccia presenza in sala di giovani provenienti da
tutto il mondo, tutti pronti a lasciarsi ammaliare dalla direzione impeccabile
di Chailly e dalla lettura registica innovativa e profondamente cinematografica
di Livermore e dalla sua squadra formata da Giò Forma per le scene, dai video di D-Wok, le luci di Antonio
Castro e dai costumi di Gianluca
Falaschi.
Attila è per Giuseppe Verdi un’opera
di estrema importanza. Il titolo è su libretto di Temistocle Solera
rivisto da Francesco Maria Piave (per questa revisione Solera si offese e
non collaborò mai più con Giuseppe Verdi). L’opera andò in scena al Teatro
La Fenice di Venezia il 17 marzo 1846, non
riscosse il successo immaginato ma ben presto il pubblico mostrò di apprezzare
questa partitura, tenendola in grande considerazione.
Il lavoro, si snoda per oltre due ore in modo assolutamente fluido e piacevole, conducendo lo spettatore a una immedesimazione fisica ed emotiva alle vicende rappresentate.
Il lavoro, si snoda per oltre due ore in modo assolutamente fluido e piacevole, conducendo lo spettatore a una immedesimazione fisica ed emotiva alle vicende rappresentate.
Lo
straordinario talento vocale e interpretativo di Abdrazakov domina la scena in modo assoluto, egli è assolutamente a suo agio in questo
ruolo complesso, che necessita di molta interpretazione oltre che di salda
tecnica, la voce è copiosa, il timbro brunito, il fraseggio
espressivo. È nell’aria Mentre gonfiarsi l’anima nel I atto che riesce
a caratterizzare vocalmente al meglio il terribile conquistatore unno, mettendo
in luce con grande maestria il doppio volto del personaggio : autorevole e
arcigno da un lato e ragionevole e sentimentale dall’altro, dando vita a un
ruolo di carne e sangue, naturale e sciolto, ovazione assoluta dopo la cabaletta Oltre
quel limite, dopo la quale il pubblico gli è ufficialmente “in pugno”.
Al suo
debutto alla Scala nei panni del complesso ruolo di Odabella, Saioa
Hernandez, nonostante qualche incertezza negli acuti, si apprezzano
la tempra ferina, la baldanza della sortita, in definitiva i tratti forti del
carattere della donna aquileiese. Emerge la capacità squisitamente
attoriale di questa artista, abilità recitativa e vocalità che ne fanno una
protagonista femminile di tutto rispetto.
L’interpretazione vocale e scenica del baritono romeno George Petean è eccellente. La
sua aria Dagli immortali vertici e la successiva
cabaletta È gettata la mia sorte sono eseguite con un
bellissimo fraseggio e rese in modo convincente dal punto di vista
interpretativo. Tra i momenti più trascinanti, grazie anche alla musica
galoppante voluta da Verdi, è il duetto tra Attila e Ezio Tardo per gli
anni, e tremulo … Vanitosi! Che abbietti e dormenti.
Notevole
anche il Foresto di Fabio Sartori: il timbro è squillante, la
pulizia d’emissione e la caparbia presenza scenica gli fanno guadagnare
meritati consensi.
Imponente il
Pontefice Leone I, interpretato da Gianluca Buratto, con una voce
molto bella per un ruolo purtroppo molto piccolo. Corretto anche l’Uldino di Francesco Pittari.
Molto buona
la prova vocale del coro diretto da Bruno Casoni, che risulta ben
preparato e dotato di voci tonanti, specialmente quando i cantanti si portano
sul proscenio.
La regia di
Davide Livermore lascia con il fiato sospeso, a dispetto delle critiche mosse
al regista riguardo al taglio “politico” della sua lettura, appare invece
estremamente convincente l’astrazione spazio temporale della vicenda rispetto
all’originale dell’opera, rendendo appieno la tragicità del contesto e il
messaggio di patriottismo consapevole verdiano. I “quadri” seducono per la loro
potenza visiva profondamente cinematografica che porta lo spettatore a quelle
suggestioni tipiche del neorealismo italiano, a metà tra Roma Città aperta e Ladri di
biciclette. Nella scena dell’apparizione di Papa Leone Magno è stato
ricostruito, con una cura ossessiva dei costumi, delle pose e dei fondali in
3D, l’affresco con L’Incontro di Leone Magno ed Attila dipinto
da Raffaello Sanzio nella Stanza di Eliodoro nei Palazzi
Vaticani.
I video riprodotti sui fondali hanno reso
maggiormente incisive le vicende rappresentate determinando un impatto
fortemente emotivo e la scenografia ricostruiva perfettamente anche i mosaici della Basilica di Santa Maria Assunta
di Aquileia. Il tutto, senza mai dimenticare la cura per la recitazione
di ogni singolo componente in scena, accurata anche la scelta delle luci “stato
d’animo”.
Encomiabile
la direzione di Chailly che ha reso
viva e piacevole quest’opera, trovando i tempi più adatti e senza attirare
indebita attenzione su sé, ma lasciando al centro dello spettacolo unicamente
la musica, ottima prestazione per l’orchestra del Teatro alla Scala, che ha regalato una tinta sonora
assolutamente avvincente.
Un teatro da
tutto esaurito ad ogni rappresentazione e la massiccia presenza di pubblico
giovanile, fanno presagire una resurrezione del genere operistico tra le nuove
generazioni di fronte a lavori che pur nella loro complessità trovino
interpreti, registi e direttori che , come in questo caso, riescano a trascinare anche il pubblico più diffidente
( e i giovani lo sono) direttamente sul palcoscenico, toccando semplicemente le corde dell’anima,
con l’ausilio sapiente e non artefatto di suono e immagine alchemicamente
intrecciati.
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Cultura e Spettacoli