Episodi di cavalcate e cavalli nella storia di Bari

di VITTORIO POLITO – Lo storico Vito Antonio Melchiorre (1922-2010) nel suo libro “Storie Baresi” (Levante editori), ricorda che in tempi passati vi era a Bari l’usanza delle cavalcate che si svolgevano in precise date: 3 dicembre, 3 maggio e 29 settembre in occasione della Fiera nicolaiana di dicembre e maggio e quella di Sant’Angelo e San Michele Arcangelo, che a partire dal 1567 aveva luogo nel casale di Ceglie. Le cavalcate erano formate dal mastrogiurato che recava lo stendardo reale a cui seguivano due sindaci, tutti a cavallo, e 30 soldati del battaglione cittadino.

Nel corso dell’anno 1634, il parlamento cittadino propose al viceré l’abolizione della manifestazione che dava luogo a frequenti inconvenienti, chiedendo nel contempo l’autorizzazione a disciplinare diversamente la manifestazione nelle ricorrenze di particolari avvenimenti cittadini, come l’insediamento dei sindaci neoeletti o del governatore. Il progetto fu approvato in data 24 novembre 1634, ordinando la prima applicazione a partire dal successivo 3 dicembre. Il provvedimento fu trascritto dal notaio Giovanni Chiaromonte ed è tuttora custodito presso l’Archivio di Stato di Bari.

E, dopo le cavalcate, passiamo ai cavalli cosiddetti “schiavotti” (ossia slavi), che caricati su una feluca, comandata da tale Pietro di Cristofaro, provenienti da Ragusa e diretti a Barletta, a causa di un particolare violento vento detto “garbino” o “garbinazzo”, furono costretti a rifugiarsi nel porto di Bari.

L’improvviso maltempo fu oggetto di malesseri per i cavalli per cui il comandante si presentò agli ufficiali di dogana per chiedere il permesso di far sbarcare gli animali per un po’ di riposo. Ottenuto il permesso, i cavalli furono affidati ai maniscalchi che riuscirono a farli restare un po’ meglio, lasciandoli pascolare vicino al porto. Nonostante tutto un quadrupede morì e altri 7 si ammalarono e furono assistiti con assidua attenzione, tornando alla propria vitalità.

Il gran movimento giunse all’orecchio dell’Arcivescovo Muzio Gaeta che manifestò il desiderio di acquistare qualche cavallo e all’arcivescovo si aggiunsero altri acquirenti contro il diniego del comandante. Ma giunte le voci della storia ai barlettani, destinatari dei cavalli, questi decisero di non volere più ricevere i cavalli e il capitano per evitare le conseguenze finanziarie a cui andava incontro, decise di vendere tutti gli animali.