Patrizio Rispo: «Il mio più grande sogno? Quello che forse realizzerò in vecchiaia… un film da protagonista»
di NICOLA RICCHITELLI – L’ospite di quest’oggi arriva direttamente dalla portineria di Palazzo Palladini, e quindi da una delle più longeve soap delle televisione italiana, un “Posto al sole”. Stiamo parlando naturalmente dell’amatissimo Raffaele Giordano, al secolo Patrizio Rispo.
Una lunga chiacchierata quella realizzata con l’attore napoletano, sullo sfondo Palazzo Palladini, avendo la città di Napoli come filo conduttore delle nostre parole: «”Un posto al sole” non ha solo raccontato Napoli, ha raccontato l’Italia, volendo fare un po’ un paragone e volendo immaginare di trovarci in una compagnia teatrale, allora possiamo dire che Napoli è un po’ la prima donna, e poi c’è il resto che è appunto l’Italia…».
Patrizio, una lunga carriera la tua, con un curriculum che non ha bisogno certo di presentazioni. Possiamo dire che c’è di tutto, anche il cabaret: con Francesco Paoloantoni e Mario Porfito fondaste il trio “Il Criticone”. Che ricordi conservi di quel periodo là?
R:«Quello era un periodo non paragonabile ad oggi, non erano tanti gli attori che facevano cabaret. Noi eravamo un gruppo di giovani che lavoravano già da parecchio tempo in teatro, e tra i “cazzeggi” che ne venivano fuori dopo il teatro ci portarono appunto a fare cabaret, anche se in quegli anni eravamo dinanzi alla fine di un certo tipo di cabaret, un cabaret fatto di copioni. Successivamente arrivò la rivoluzione di Eros Macchi con il programma “Non Stop” – programma che lanciò tra l’altro i vari Massimo Troisi e Roberto Benigni – dove portarono un cabaret snello, fatto di monologhi e battute brevi, erano autori di sé stessi, oggi purtroppo siamo arrivati all’eccesso perché il comico ha poco tempo per mettersi in mostra. Noi chiaramente eravamo attori di teatro e volevamo fare teatro, diciamo che il cabaret non era la nostra vocazione, quindi appena si presentò l’occasione iniziammo a fare altro».
Poi arrivò il cinema e le collaborazioni con i grandi registi…
R:«Purtroppo il cinema da protagonista non l’ho ancora fatto. Ho fatto poche cose ma importanti, da Mario Martone a Massimo Troisi, Werner Schroeter a Guy Ritchie, però quello che mi potrà appagare veramente è un film da protagonista. L’ho fatto in teatro per trent’anni, in televisione per altri trenta, però vorrei togliermi questa soddisfazione nel cinema. Ho fatto di tutto e continuo a fare di tutto, però il mio più grande sogno sarà quello che forse realizzerò in vecchiaia, chi lo sa...».
Come sei arrivato alla corte di Palazzo Palladini?
R:«Iniziamo con il dire che io fui tra i primi attori ad essere scritturato a quei tempi per la nuova Rai 3 rivoluzionata da Angelo Guglielmi, poi c’era Sergio Castellitto, ed eravamo entrambi conduttori. Quindi sono molto legato a Rai 3 perché ci sono da quanto è nata. Quello tra l’altro fu un periodo dove mi ero stancato di fare compagnie teatrali, mi ero fermato perché volevo riuscire a fare cinema e televisione. Arrivò dunque questa occasione, che fu da molti snobbata poiché la soap opera era un po’ vista come le soap che venivano dal Sud America. Invece poi “Un Posto al sole” si è rivelata una vera e propria rivoluzione, perché ha raccontato il sociale. Mai mi sarei aspettato di tornare a Napoli e di girare una serie per ventitré anni. E' stata una meravigliosa scommessa vinta, una scommessa che mi ha dato lavoro, autonomia, la possibilità di formare una famiglia, insomma Dio benedica Giovanni Minoli e chi ci ha dato modo di girare questa soap».
Nel lontano 1996 ti saresti mai aspettato che “un Posto al sole” avrebbe toccato le 5000 puntate e superato i vent’anni di messa in onda?
R:«Assolutamente no. All’inizio era una scommessa, nessuno si sarebbe mai aspettato che sarebbe durata così tanto. “Un posto al sole” è diventato un qualcosa che va aldilà del palinsesto televisivo, trenta milioni di telespettatori nel mondo, il programma più visto di Rai Italia, insomma una battaglia vinta alla grande».
Quanto si influenzano a vicenda Patrizio Rispo e Raffaele Giordano?
R:«Qua non si tratta più di influenzare l’uno o l’altro, io sono il tutto di tutti e due, anche se diciamo che dopo ventitré anni io vivo più come Raffaele che come Patrizio. Per otto ore della mia giornata sono Raffaele Giordano, la gente per strada ferma Raffaele Giordano, insomma diciamo pure che io non so più neanche chi sarei stato senza Raffaele Giordano. Ora sono il frutto di queste due personalità… ci influenziamo a vicenda, e anche gli sceneggiatori talvolta ne traggono spunto, come ad esempio il mio amore per la cucina; loro cercano di fare anche questo, cavalcano in qualche modo la nostra vita privata, non sono quindi io ad attingere dal personaggio, ma è il personaggio che attinge da me».
La soap opera aldilà delle vicende di Palazzo Paladini in questi vent’anni ha raccontato Napoli. Patrizio quanto è difficile raccontare questa bella città?
R:«”Un posto al sole” non ha solo raccontato Napoli, ha raccontato l’Italia, volendo fare un po’ un paragone e volendo immaginare di trovarci in una compagnia teatrale allora possiamo dire che Napoli è un po’ la prima donna, poi c’è il resto che è appunto l’Italia. Ma per raccontare un qualcosa ci vuole un grande protagonista. Napoli è una grande protagonista del nostro Paese, una protagonista conosciuta da tutto il mondo, amata da tutti, quindi la vera protagonista di “Un Posto al sole” è Napoli, di riflesso questo ci dà la possibilità a tutti noi del cast di essere molto amati. Noi usiamo Napoli per raccontare, ma raccontiamo gli umori e gli stati d’animo di tutti i ceti sociali, di tutte le età, insomma siamo lo specchio della realtà».
Senti di aver dato un contributo sia alla cultura italiana ma anche alla società attuale?
R:«Assolutamente, noi siamo come dei fratelli maggiori, cerchiamo di dare un po’ l’esempio, abbiamo raccontato l’omosessualità, la violenza sulle donne, usura, camorra, senza dimenticare le tante campagne sociali come ad esempio la donazione del sangue. Insomma di tutto e di più, il tutto con un riscontro di pubblico pazzesco: spesso noi lanciamo l’argomento, il tema, ma poi viene approfondito in vari modi e posti, in famiglia, senza dimenticare i tanti forum che si sono associati ad “Un posto al sole”, creando veri e propri confronti generazionali, in questo devo dire che abbiamo una grandissima responsabilità, siamo un esempio e cerchiamo di dare sempre un segnale positivo con le nostre storie».
Secondo te perché “Un Posto al sole” piace?
R:«”Un posto al sole” è la vita, è la realtà, ma non solo. Noi portiamo la tradizione in italiana in molte parti di Italia e del mondo, in Russia, in Africa, arrivando fino in Vietnam, con l’estero abbiamo un legame molto forte, grazie a noi hanno la possibilità di rivivere tradizioni, la nostra cultura e la nostra lingua. “Un posto al sole” piace perché siamo un po’ i parenti che non si vedono, tante volte la gente mi ferma per strada dicendo che vedono più me piuttosto che uno zio o un fratello, insomma quello che abbiamo con il pubblico è un approccio basato sull’affetto più che sull’ammirazione. La gente non ci vede come attori, ma persone come loro, ci abbraccia, ci bacia, ci offre un caffè, un affetto che con gli anni si è davvero consolidato».
Patrizio, riesci a vedere la parola “Fine” alle vicende di Palazzo Palladini?
R:«Con la morte di Raffaele Giordano… per il momento sono ancora in salute e mi difendo ancora!».
Contacts:
https://www.facebook.com/patriziorispoofficial/
Una lunga chiacchierata quella realizzata con l’attore napoletano, sullo sfondo Palazzo Palladini, avendo la città di Napoli come filo conduttore delle nostre parole: «”Un posto al sole” non ha solo raccontato Napoli, ha raccontato l’Italia, volendo fare un po’ un paragone e volendo immaginare di trovarci in una compagnia teatrale, allora possiamo dire che Napoli è un po’ la prima donna, e poi c’è il resto che è appunto l’Italia…».
Patrizio, una lunga carriera la tua, con un curriculum che non ha bisogno certo di presentazioni. Possiamo dire che c’è di tutto, anche il cabaret: con Francesco Paoloantoni e Mario Porfito fondaste il trio “Il Criticone”. Che ricordi conservi di quel periodo là?
R:«Quello era un periodo non paragonabile ad oggi, non erano tanti gli attori che facevano cabaret. Noi eravamo un gruppo di giovani che lavoravano già da parecchio tempo in teatro, e tra i “cazzeggi” che ne venivano fuori dopo il teatro ci portarono appunto a fare cabaret, anche se in quegli anni eravamo dinanzi alla fine di un certo tipo di cabaret, un cabaret fatto di copioni. Successivamente arrivò la rivoluzione di Eros Macchi con il programma “Non Stop” – programma che lanciò tra l’altro i vari Massimo Troisi e Roberto Benigni – dove portarono un cabaret snello, fatto di monologhi e battute brevi, erano autori di sé stessi, oggi purtroppo siamo arrivati all’eccesso perché il comico ha poco tempo per mettersi in mostra. Noi chiaramente eravamo attori di teatro e volevamo fare teatro, diciamo che il cabaret non era la nostra vocazione, quindi appena si presentò l’occasione iniziammo a fare altro».
Poi arrivò il cinema e le collaborazioni con i grandi registi…
R:«Purtroppo il cinema da protagonista non l’ho ancora fatto. Ho fatto poche cose ma importanti, da Mario Martone a Massimo Troisi, Werner Schroeter a Guy Ritchie, però quello che mi potrà appagare veramente è un film da protagonista. L’ho fatto in teatro per trent’anni, in televisione per altri trenta, però vorrei togliermi questa soddisfazione nel cinema. Ho fatto di tutto e continuo a fare di tutto, però il mio più grande sogno sarà quello che forse realizzerò in vecchiaia, chi lo sa...».
Come sei arrivato alla corte di Palazzo Palladini?
R:«Iniziamo con il dire che io fui tra i primi attori ad essere scritturato a quei tempi per la nuova Rai 3 rivoluzionata da Angelo Guglielmi, poi c’era Sergio Castellitto, ed eravamo entrambi conduttori. Quindi sono molto legato a Rai 3 perché ci sono da quanto è nata. Quello tra l’altro fu un periodo dove mi ero stancato di fare compagnie teatrali, mi ero fermato perché volevo riuscire a fare cinema e televisione. Arrivò dunque questa occasione, che fu da molti snobbata poiché la soap opera era un po’ vista come le soap che venivano dal Sud America. Invece poi “Un Posto al sole” si è rivelata una vera e propria rivoluzione, perché ha raccontato il sociale. Mai mi sarei aspettato di tornare a Napoli e di girare una serie per ventitré anni. E' stata una meravigliosa scommessa vinta, una scommessa che mi ha dato lavoro, autonomia, la possibilità di formare una famiglia, insomma Dio benedica Giovanni Minoli e chi ci ha dato modo di girare questa soap».
Nel lontano 1996 ti saresti mai aspettato che “un Posto al sole” avrebbe toccato le 5000 puntate e superato i vent’anni di messa in onda?
R:«Assolutamente no. All’inizio era una scommessa, nessuno si sarebbe mai aspettato che sarebbe durata così tanto. “Un posto al sole” è diventato un qualcosa che va aldilà del palinsesto televisivo, trenta milioni di telespettatori nel mondo, il programma più visto di Rai Italia, insomma una battaglia vinta alla grande».
Quanto si influenzano a vicenda Patrizio Rispo e Raffaele Giordano?
R:«Qua non si tratta più di influenzare l’uno o l’altro, io sono il tutto di tutti e due, anche se diciamo che dopo ventitré anni io vivo più come Raffaele che come Patrizio. Per otto ore della mia giornata sono Raffaele Giordano, la gente per strada ferma Raffaele Giordano, insomma diciamo pure che io non so più neanche chi sarei stato senza Raffaele Giordano. Ora sono il frutto di queste due personalità… ci influenziamo a vicenda, e anche gli sceneggiatori talvolta ne traggono spunto, come ad esempio il mio amore per la cucina; loro cercano di fare anche questo, cavalcano in qualche modo la nostra vita privata, non sono quindi io ad attingere dal personaggio, ma è il personaggio che attinge da me».
La soap opera aldilà delle vicende di Palazzo Paladini in questi vent’anni ha raccontato Napoli. Patrizio quanto è difficile raccontare questa bella città?
R:«”Un posto al sole” non ha solo raccontato Napoli, ha raccontato l’Italia, volendo fare un po’ un paragone e volendo immaginare di trovarci in una compagnia teatrale allora possiamo dire che Napoli è un po’ la prima donna, poi c’è il resto che è appunto l’Italia. Ma per raccontare un qualcosa ci vuole un grande protagonista. Napoli è una grande protagonista del nostro Paese, una protagonista conosciuta da tutto il mondo, amata da tutti, quindi la vera protagonista di “Un Posto al sole” è Napoli, di riflesso questo ci dà la possibilità a tutti noi del cast di essere molto amati. Noi usiamo Napoli per raccontare, ma raccontiamo gli umori e gli stati d’animo di tutti i ceti sociali, di tutte le età, insomma siamo lo specchio della realtà».
Senti di aver dato un contributo sia alla cultura italiana ma anche alla società attuale?
R:«Assolutamente, noi siamo come dei fratelli maggiori, cerchiamo di dare un po’ l’esempio, abbiamo raccontato l’omosessualità, la violenza sulle donne, usura, camorra, senza dimenticare le tante campagne sociali come ad esempio la donazione del sangue. Insomma di tutto e di più, il tutto con un riscontro di pubblico pazzesco: spesso noi lanciamo l’argomento, il tema, ma poi viene approfondito in vari modi e posti, in famiglia, senza dimenticare i tanti forum che si sono associati ad “Un posto al sole”, creando veri e propri confronti generazionali, in questo devo dire che abbiamo una grandissima responsabilità, siamo un esempio e cerchiamo di dare sempre un segnale positivo con le nostre storie».
Secondo te perché “Un Posto al sole” piace?
R:«”Un posto al sole” è la vita, è la realtà, ma non solo. Noi portiamo la tradizione in italiana in molte parti di Italia e del mondo, in Russia, in Africa, arrivando fino in Vietnam, con l’estero abbiamo un legame molto forte, grazie a noi hanno la possibilità di rivivere tradizioni, la nostra cultura e la nostra lingua. “Un posto al sole” piace perché siamo un po’ i parenti che non si vedono, tante volte la gente mi ferma per strada dicendo che vedono più me piuttosto che uno zio o un fratello, insomma quello che abbiamo con il pubblico è un approccio basato sull’affetto più che sull’ammirazione. La gente non ci vede come attori, ma persone come loro, ci abbraccia, ci bacia, ci offre un caffè, un affetto che con gli anni si è davvero consolidato».
Patrizio, riesci a vedere la parola “Fine” alle vicende di Palazzo Palladini?
R:«Con la morte di Raffaele Giordano… per il momento sono ancora in salute e mi difendo ancora!».
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