A Carbonara la Caritas diocesana discute sulle 'Povertà in attesa'


di LUIGI LAGUARAGNELLA - A Carbonara è stato presentato il rapporto Caritas 2018, un documento che ormai da 17 anni scatta una fotografia sulle povertà in Italia. Il quartiere della periferia barese è stato inserito insieme ad altre due realtà italiane “difficili” (una del centro e l’altra del nord) come spunto di analisi sulle difficoltà economiche e sociali.

L’aspetto principale che analizza la Caritas italiana è la povertà educativa, confermando una correlazione tra livelli d’istruzione e povertà economica. “Povertà in attesa” è il titolo del rapporto ed evidenza i giovani come i “nuovi poveri”: la povertà aumenta con la diminuzione dell’età (un giovane su due è povero). Di conseguenza aumentando il numero delle famiglie disagiate, la falla educativa diventa ereditaria.

Nonostante il 45% delle persone coniugate, il rapporto Caritas sottolinea un aumento dei casi di solitudine. Sono circa 90000 le persone ascoltate che pur essendo celibi/nubili hanno figli. Questo crea non pochi disagi e svantaggi materiali e culturali. Un dato particolare registrato dalla Caritas è la percentuale di persone (poco più del 4%) che si rivolgono ai Centri d’ascolto (circa 198000 le persone ascoltate per stilare il rapporto) per problemi legati alla depressione, ai divorzi, alle separazioni, alle difficoltà di assistenza familiare. Le situazioni di gravi povertà sono urgenti: un sintomo è dato dall’estensione del Reddito di inclusione non solo per nucleo familiare. In tal modo 2.5 milioni di persone usufruiscono del Rei che però non è sufficiente per uscire dallo stato di povertà (sono 5 milioni i poveri italiani).

Partendo da dati e percentuali si è discusso a livello cittadino presso l’istituto Calamandrei situato in una zona a confine tra Carbonara e Japigia: la scuola, come altre realtà parrocchiali, cerca di essere un presidio per ripartire e generare futuro. Carbonara, infatti, come ha affermato don Vito Piccinonna, direttore della Caritas di Bari-Bitonto, “è una realtà vivace da alcuni punti di vista ma scottante da altri e da molto tempo nell’anonimato delle questioni cittadine”. A lungo il quartiere ha vissuto l’anonimato portando anche ad uno svuotamento delle scuole e quindi un freno alla formazione. Don Vito continua, come riportato da Agensir: “Molte volte i genitori non stimolano la dimensione educativa e scolastica dei propri figli perché la ritengono inutile. Manca una prospettiva del futuro e il compito delle Istituzioni e della comunità cristiana è quello di sostenere il compito formativo dei genitori, un rilancio del futuro che passa anche attraverso la presa in carico della dimensione formativa e didattica”. Il rilancio, in qualche modo è rappresentato da un gruppo di studenti presenti all’incontro, i quali intervenendo, hanno messo in luce gli sforzi e le competenze che insieme agli insegnanti e al dirigente scolastico stanno cercando di cambiare rotta all’interno del quartiere. Chi è impegnato in primo piano a Carbonara cercando di una creare una comunità consapevole e attiva e don Mimmo Chiarantoni, parroco della chiesa Santa Maria al Fonte. Il sacerdote sottolinea il valore della scuola e della parrocchia: “Chi interviene davvero sul territorio sono le scuole e le parrocchie e i mancati investimenti economici e sociali sulle periferie non fanno altro che aumentare le diseguaglianze”. A sostituirsi alle Istituzioni, oltre alle scuole ci sono anche le parrocchie, aggiunge don Mimmo, che “cercano di intervenire sul territorio. Noi parroci facciamo il possibile ma siamo pochi e a volte poco competenti sui problemi del territorio”.

Il rapporto Caritas incentiva a valorizzare il territorio e a rafforzare la rete sociale per entrare in dialogo con le famiglie. Spesso mancanza di investimenti economici significa mancanza di servizi; ne parla Tommaso Cozzi, dell’Ufficio pastorale Sociale e del Lavoro della diocesi Bari-Bitonto: “Uno dei problemi maggiori è la mancanza di servizi al cittadino e di mobilità pubblica. Questo non aiuta la periferia ad inglobare quel percorso formativo del centro della città. E così le dinamiche di tipo culturale, educativo e di svago, che vengono sviluppate in altre zone della città, non esistono”. E poi sposta l’argomento sulla famiglia da cui tutto parte: “La povertà educativa sembra essere una questione ereditaria. Famiglie ad alta scolarizzazione hanno figli ad alta scolarizzazione e viceversa. Ma dal punto di vista relazionale c’è qualcosa che va oltre il sistema scolastico, nel senso che tutto il processo di socializzazione, che mira a creare comunità, è molto debole” (fonte Agensir).

L’impegno è far luce sulle realtà che si impegnano concretamente per l’inclusione come la scuola e la parrocchia e su questa scia altre realtà fungono da presidi del quartiere.

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