BIBART: alla riscoperta dello spirito dell’arte

di PIETRO FABRIS - La seconda edizione della Biennale d’Arte di Bari è cultura che abita la città. È scelta di valori che suscitano emozioni davanti a quell’originalità che è espressione e interpretazione del proprio tempo e non ricerca ossessiva di forme per far scalpore. Non è la fiera delle gallerie dove gli artisti risplendono a suon di martelletto d’asta! Il criterio selettivo non è stato affidato ai nuvoloni che si sollevano attorno alla notorietà meritata o costruita, al contrario la parola, se alle parole vogliamo affidarci, è stata data all’ARTE, quella che sa soffiare sui sentimenti nascosti; sa contemplare risvegliare tutte quelle sensazioni che, solo l’opera vera suscita in chi l’osserva, perciò le opere d’arte dislocate in punti diversi del capoluogo sono divenute punti luce o inciampo, a seconda di quanti si soffermano  e, per quanti la denigrano, perché viziati dai vocaboli ampollosi che portano a se stessi piuttosto che a suggerimenti per una migliore intesa delle figurazioni.

Per usare i termini di Miguel Gomez, ovvero il direttore artistico: “In questa edizione ci sono lavori che seguono i canoni della bellezza, dell’equilibrio cromatico e opere che …suscitano fastidio negli astanti”, ma certamente non ci scivolano addosso. Per Gomez, l’arte è quella che scruta dentro, quella forza che si impone all’attenzione sapendo anche mettere in gioco il senso comune dell’estetica, andando oltre l’apparenza, perciò l’arte esposta è specchio per la vita di tutti. Questa biennale è provocazione per quei pappagalli che ripetono a memoria “elaborati concetti” che sono veleno per lo spirito dell’Arte, e i loro manuali eruditi sono mattoni per celle asfissianti che separano dall’autentico sentire, cioè processo per annichilire l’animo.

Al contrario, la biennale d’arte di Bari è un’opportunità educativa che, mette ognuno davanti a se stesso e in contrasto con la pigrizia che rende consumatori passivi. L’idea base di queste esposizioni è quella di offrire ai cittadini la possibilità di riappropriarsi della capacità di riconoscersi. Tra i criteri privilegiati, per la scelta delle opere, vi è l’uso sapiente delle tecniche grazie alle quali l’immaginazione artistica trova gli strumenti adatti, l’intonazione, le pennellate per condividere con immediatezza e spontaneità d’animo stati di questo tempo, ovvero fare dell’arte un veicolo d’armonie che aiuti a comprenderci e orbitare in sfere sempre più ampie.

Una Biennale decisamente in controtendenza e contro tutto un sistema che vuole l’artista servo e giullare di mercato, il protagonista di installazioni ingombranti e rappresentazioni di banalità, avvalorate da recensioni di cortesia e adulazione “esegetica” distante dal contesto in cui si vive, ma con tanto di certificato di fabbrica che è dubbia autenticità d’artista.

La BIBART alle icone distolte imbalsamate negli scheletri di cemento preferisce la figura d’artista la cui vera vocazione è di essere testimone e interprete del proprio tempo, tanto per parafrasare Siria Bottazzo, curatrice della biennale.

Ai musei dell’incoerenza che accoglie opere vuote, prostituite all’imposizione estetica, quella che evira le radici dal contesto che l’ha generata, contrappone colui che ricerca, sperimenta, evoca l’invisibile con materie e sperimentazioni per dare al sentire profondo possibilità di essere oggetto di visione, esposizione chiara di quella preziosità che è la miniera interiore.