di LIVALCA - Una domenica di metà novembre dello scorso anno ero a San Marco in Lamis per ritirare le bozze del nuovo libro di Grazia Galante e, mentre sgranocchiavo una specialità del Forno Sammarco chiamata ‘dita’, il mio sguardo fu attratto da una scritta ‘PARALIPOMENI’ che sbucava da una pila di libri a riposo su un tavolo ‘fratino’. Il mio pensiero volò a quasi mezzo secolo prima al liceo, quando per compiacere una professoressa amante del genio di Leopardi, mi venne l’infelice idea di definire un capolavoro il poema in ottave ‘Paralipomeni della Batracomiomachia’.
Ancora ricordo:«Cavalli si tratta di opera frammentaria, discontinua che Gioberti definì ‘ libro terribile’…». Fui costretto, per quella inopportuna affermazione, a studiarmi che ‘PARALIPOMENI’ in origine formavano un solo libro intitolato in ebraico ‘Dibre hajjamim‘ (discorsi dei giorni), poi nel tempo ‘delle cose omesse’ ecc. ecc.: pensare che ero partito dalla battaglia tra i topi e le rane.
Agevolato dal fatto che la professoressa Galante era impegnata sul pianerottolo in una discussione amichevole ma intransigente ( tipico della stirpe sammarchese !) con una simpatica signora e il contendere era questione di condominio, spostai i libri per far emergere un testo del preside Raffaele Cera dal titolo « L’innocenza ritrovata. Paralipomeni»( Edizioni del Rosone, 2018, Foggia). Ricordo di essermi imbattuto subito in Joseph Tusiani - l’America non ha scalfito l’intransigente marchio di fabbrica - che precisava come il titolo giusto dovesse essere l’innocenza ricordata, ma subito - l’amichevole di cui sopra - aggiungeva, dando ragione a Cera, che quel ritrovata significasse rivissuta, ossia mai troncata. Ritengo di aver letto il testo nei 50 minuti che Grazia dedicò all’amica - quel giorno vi fu un nulla di fatto, ma nei giorni successivi fu trovata l’intesa e la pace nel condominio - nutrendomi di saggezza liquida e anche sostanziosi biscotti, ottimi ma non per il mio…diabete.
Cera in una breve introduzione spiegava il richiamo a Leopardi e Paralipomeni nel senso di ‘cose tralasciate’, quelle che io ho sopra citato delle ‘cose omesse’.
Il preside nel suo libro evidenziava come tutto quello che era affidato alla memoria, e quindi legato alle persone, andava perduto con lo scorrere del tempo, qualora nessuno lo avesse messo su ‘carta’. Il discorso è legato, comunque, alla correttezza degli individui : spesso ci sono stati tramandati fatti, arricchiti di cose ‘inesistenti’ ma che faceva piacere raccontare più che ricordare.
Molto eloquente è il capitolo dedicato al silenzio interiore, che ha avuto il potere di rievocare ricordi scolastici che pensavo ‘smarriti’: l’autore rammemora come il Manzoni ‘celebrasse’ con grande maestria, nel suo capolavoro ‘I Promessi sposi’, la notte tumultuosa vissuta dall’Innominato. Nonostante il silenzio assoluto esterno, Bernardino Visconti, questo il nome dell’Innominato, aveva tormenti, affanni, angosce che gli rendevano impossibile il riposo. La teoria di Cera su di me ha avuto un effetto immediato : sono tornate a galla reminiscenze che ignoravo di sapere ; nella prima stesura del romanzo l’Innominato si chiamava ‘ Conte del Sagrato’ perché aveva ucciso un suo rivale sulla porta di una chiesa, Fra Cristoforo-Lodovico Picenardi da Cremona, Gian Paolo Osio-Egidio, Monaca di Monza- suor Virginia de Leyva-Gertrude ecc. ecc. Come giustamente ha rilevato Cera sono avvenimenti scolpiti nella nostra memoria : hanno solo bisogno di un richiamo per venire in superficie, oggi difficilmente replicabili perché in una giornata vi sono tante situazioni cangianti, spesso mutevoli, che non abbiamo il tempo materiale di scolpire…però poi ci aiuta la tecnologia moderna, quella che ieri era assente ‘giustificata’.
Cera con grande acume attribuisce un grande merito di aggregazione e di conservazione di identità culturali al periodico ‘Il Solco’, testata nata in San Marco negli anni ’30 ad opera di un gruppo di persone di cui potrei anticipare qualche nome ma non vorrei dimenticare qualche altro e creare un ‘solco’ tra me e gli Amici sammarchesi. La stampa locale, quella di piccole testate e riviste, ha visto dal ’40 fino al 2000 la nostra azienda ledaer nel settore, dando voce e spazio a realtà che hanno potuto ‘elevarsi’ e ‘costruirsi’ un futuro più prospero, poi i nuovi sistemi di comunicazione, ancora in evoluzione, hanno dettato la loro ‘legge’ : fra due lustri si vedrà…perché la musica non è mai finita del tutto.
Un cognome voglio farlo: D’Alessandro, che mi pare di ricordare sia stata insegnante di lettere dello studente Raffaele Cera; la mia nonna paterna, nativa di San Nicandro Garganico, di cognome faceva D’Alessandro e le figlie del fratello, entrambe insegnanti, si sono sposate a San Marco imparentandosi con le famiglie Bevilacqua e Ciavarella.
Un capitolo del saggio di Cera è dedicato agli usi e costumi di San Marco: la riflessione verte su certi comportamenti ( feste di battesimo, comunione, fidanzamento) e usanze che ormai vivono solo nei luoghi in cui tanti anni fa sono andati in cerca di lavoro i sammarchesi. Una frase molto veritiera di Gilbert :«Gli uomini fanno le leggi, le donne i costumi», ci racconta come quasi sempre è il mondo femminile che per il mezzo di mogli e figlie tramanda tradizioni e ricette culinarie. La stessa Grazia Galante nei suoi viaggi in Australia e in Sud America ha potuto notare che tendenze e abitudini scomparse nel paese nativo rivivono e convivono a migliaia di chilometri. L’autore nota come la voglia di vivere e creare a fine anni ’40 e inizio ’50 fosse tanta e vi era la necessità di divertirsi insieme, di dimenticare il passato : balli, musica, teatro, cinema.
Vi erano anche personalità carismatiche cui la comunità paesana riconosceva abili doti di intraprendenza ed efficienza: per esempio “don Giampre” (?) oggi moderno chef, allora solo cuoco, che svolgeva il lavoro che ai nostri giorni si chiama ‘catering’ con grande maestria ed impegno, avendo come unica pubblicità il ‘passa parola’. Altro pezzo da novanta era l’avvocato ‘don Fabie’ che, senza uno straccio di carta che legittimasse il suo operato, era solito frequentare la Pretura e il Circolo dei Signori, in virtù di una abilitazione conquistata sul campo e che, pare, desse utili e non utilitaristici consigli.
Caro Raffaele non sono in sintonia con te quando concludi che questo rapporto di amicizia e cordialità non esista più nel tuo paese,perché ritengo viva e si sviluppi in altri termini e modi : noi anta, in genere, ricordiamo solo che vogliamo rispetto, dimenticando che l’AMORE esige intimità, quell’intimità di cui ricordiamo il cognome, ma il cui nome è…rimpianto. Dici bene abbiamo ritrovato la nostra innocenza, per cui è giusto che ora la perdano coloro che fra tanti anni ci seguiranno : per l’armonia del mondo si nasce con l’innocenza e ci si congeda con la…‘ritrovata innocenza’.
Ancora ricordo:«Cavalli si tratta di opera frammentaria, discontinua che Gioberti definì ‘ libro terribile’…». Fui costretto, per quella inopportuna affermazione, a studiarmi che ‘PARALIPOMENI’ in origine formavano un solo libro intitolato in ebraico ‘Dibre hajjamim‘ (discorsi dei giorni), poi nel tempo ‘delle cose omesse’ ecc. ecc.: pensare che ero partito dalla battaglia tra i topi e le rane.
Agevolato dal fatto che la professoressa Galante era impegnata sul pianerottolo in una discussione amichevole ma intransigente ( tipico della stirpe sammarchese !) con una simpatica signora e il contendere era questione di condominio, spostai i libri per far emergere un testo del preside Raffaele Cera dal titolo « L’innocenza ritrovata. Paralipomeni»( Edizioni del Rosone, 2018, Foggia). Ricordo di essermi imbattuto subito in Joseph Tusiani - l’America non ha scalfito l’intransigente marchio di fabbrica - che precisava come il titolo giusto dovesse essere l’innocenza ricordata, ma subito - l’amichevole di cui sopra - aggiungeva, dando ragione a Cera, che quel ritrovata significasse rivissuta, ossia mai troncata. Ritengo di aver letto il testo nei 50 minuti che Grazia dedicò all’amica - quel giorno vi fu un nulla di fatto, ma nei giorni successivi fu trovata l’intesa e la pace nel condominio - nutrendomi di saggezza liquida e anche sostanziosi biscotti, ottimi ma non per il mio…diabete.
Cera in una breve introduzione spiegava il richiamo a Leopardi e Paralipomeni nel senso di ‘cose tralasciate’, quelle che io ho sopra citato delle ‘cose omesse’.
Il preside nel suo libro evidenziava come tutto quello che era affidato alla memoria, e quindi legato alle persone, andava perduto con lo scorrere del tempo, qualora nessuno lo avesse messo su ‘carta’. Il discorso è legato, comunque, alla correttezza degli individui : spesso ci sono stati tramandati fatti, arricchiti di cose ‘inesistenti’ ma che faceva piacere raccontare più che ricordare.
Molto eloquente è il capitolo dedicato al silenzio interiore, che ha avuto il potere di rievocare ricordi scolastici che pensavo ‘smarriti’: l’autore rammemora come il Manzoni ‘celebrasse’ con grande maestria, nel suo capolavoro ‘I Promessi sposi’, la notte tumultuosa vissuta dall’Innominato. Nonostante il silenzio assoluto esterno, Bernardino Visconti, questo il nome dell’Innominato, aveva tormenti, affanni, angosce che gli rendevano impossibile il riposo. La teoria di Cera su di me ha avuto un effetto immediato : sono tornate a galla reminiscenze che ignoravo di sapere ; nella prima stesura del romanzo l’Innominato si chiamava ‘ Conte del Sagrato’ perché aveva ucciso un suo rivale sulla porta di una chiesa, Fra Cristoforo-Lodovico Picenardi da Cremona, Gian Paolo Osio-Egidio, Monaca di Monza- suor Virginia de Leyva-Gertrude ecc. ecc. Come giustamente ha rilevato Cera sono avvenimenti scolpiti nella nostra memoria : hanno solo bisogno di un richiamo per venire in superficie, oggi difficilmente replicabili perché in una giornata vi sono tante situazioni cangianti, spesso mutevoli, che non abbiamo il tempo materiale di scolpire…però poi ci aiuta la tecnologia moderna, quella che ieri era assente ‘giustificata’.
Cera con grande acume attribuisce un grande merito di aggregazione e di conservazione di identità culturali al periodico ‘Il Solco’, testata nata in San Marco negli anni ’30 ad opera di un gruppo di persone di cui potrei anticipare qualche nome ma non vorrei dimenticare qualche altro e creare un ‘solco’ tra me e gli Amici sammarchesi. La stampa locale, quella di piccole testate e riviste, ha visto dal ’40 fino al 2000 la nostra azienda ledaer nel settore, dando voce e spazio a realtà che hanno potuto ‘elevarsi’ e ‘costruirsi’ un futuro più prospero, poi i nuovi sistemi di comunicazione, ancora in evoluzione, hanno dettato la loro ‘legge’ : fra due lustri si vedrà…perché la musica non è mai finita del tutto.
Un cognome voglio farlo: D’Alessandro, che mi pare di ricordare sia stata insegnante di lettere dello studente Raffaele Cera; la mia nonna paterna, nativa di San Nicandro Garganico, di cognome faceva D’Alessandro e le figlie del fratello, entrambe insegnanti, si sono sposate a San Marco imparentandosi con le famiglie Bevilacqua e Ciavarella.
Un capitolo del saggio di Cera è dedicato agli usi e costumi di San Marco: la riflessione verte su certi comportamenti ( feste di battesimo, comunione, fidanzamento) e usanze che ormai vivono solo nei luoghi in cui tanti anni fa sono andati in cerca di lavoro i sammarchesi. Una frase molto veritiera di Gilbert :«Gli uomini fanno le leggi, le donne i costumi», ci racconta come quasi sempre è il mondo femminile che per il mezzo di mogli e figlie tramanda tradizioni e ricette culinarie. La stessa Grazia Galante nei suoi viaggi in Australia e in Sud America ha potuto notare che tendenze e abitudini scomparse nel paese nativo rivivono e convivono a migliaia di chilometri. L’autore nota come la voglia di vivere e creare a fine anni ’40 e inizio ’50 fosse tanta e vi era la necessità di divertirsi insieme, di dimenticare il passato : balli, musica, teatro, cinema.
Vi erano anche personalità carismatiche cui la comunità paesana riconosceva abili doti di intraprendenza ed efficienza: per esempio “don Giampre” (?) oggi moderno chef, allora solo cuoco, che svolgeva il lavoro che ai nostri giorni si chiama ‘catering’ con grande maestria ed impegno, avendo come unica pubblicità il ‘passa parola’. Altro pezzo da novanta era l’avvocato ‘don Fabie’ che, senza uno straccio di carta che legittimasse il suo operato, era solito frequentare la Pretura e il Circolo dei Signori, in virtù di una abilitazione conquistata sul campo e che, pare, desse utili e non utilitaristici consigli.
Caro Raffaele non sono in sintonia con te quando concludi che questo rapporto di amicizia e cordialità non esista più nel tuo paese,perché ritengo viva e si sviluppi in altri termini e modi : noi anta, in genere, ricordiamo solo che vogliamo rispetto, dimenticando che l’AMORE esige intimità, quell’intimità di cui ricordiamo il cognome, ma il cui nome è…rimpianto. Dici bene abbiamo ritrovato la nostra innocenza, per cui è giusto che ora la perdano coloro che fra tanti anni ci seguiranno : per l’armonia del mondo si nasce con l’innocenza e ci si congeda con la…‘ritrovata innocenza’.