di GIO.CA - Giovane studioso di processi comunicativi e docente da ultimo nell’Università di Valencia e nell’Università Telematica Giustino Fortunato, Delio De Martino si cimenta con una prima prova narrativa, un romanzo breve pubblicato a dicembre del 2018 dalle edizioni Aracne di Roma, intitolato La sirena dei due mari e aperto da una dotta, suggestiva, affascinante prefazione di Sergio D’Amaro.
Il romanzo racconta, con realismo magico-onirico, il senso di vuoto e di disagio della generazione dei trentenni, formati da genitori e da maestri “elicottero”, e il loro naufragio nell’ipermoderno oceano mediatico. Ne emerge il profilo complesso e simbolico del protagonista e attraverso di lui la frustrazione di un’intera generazione.
Il protagonista è Alessandro. Egli vive la delusione di una formazione all’antica, ingrata e faticosa, percepita come ormai superata e lenta rispetto alla velocità dei nuovi tempi, decantata come straordinaria ma che non appaga perché somiglia di più ad una corsa all’impazzata.
Intorno ad Alessandro ruotano amici senza voglia e senza veglia, poco più che nomi, Davide, Dario, Silvio, Gaetano, Marco, Luca, attratti da riti neo-ancestrali come il puttantour, ed Elisabetta dagli occhi di cerbiatta e dal sorriso ammaliante, ma enigmatica e impietosa come le fatali sirene omeriche.
Il racconto è scandito in 34 paragrafi, tessere di un mosaico narrativo unitario ma nello stesso tempo autosufficienti e interscambiabili, ed è ambientato a Taranto, la grande polis del passato ancora pullulante di memorie lì a portata di mano sotto l’asfalto e sotto le costruzioni, ma che non vanno portate alla luce e vanno tenute al buio sotto precipitose colate di cemento, per non rallentare l’invasione della nuova città di cemento. A tutta vista, a cielo aperto è invece l’Ilva, uno spazio infernale con ciminiere, ricorrenti fiammate e folate di fumi, con una lunga recinzione che ne fa nello stesso tempo un irrinunciabile posto di lavoro e un lager di morte. Alle porte di questo inferno lungo la statale il protagonista resta bloccato e imprigionato in una Ypsilon bianca, una delle tante auto rievocate via via, dalla mitica Citroën 2 cavalli, la sua prima auto, all’Agila, all’Alfa Romeo 33. Simbolo di movimento, l’auto è però ostentatamente ferma e diventa perciò uno spazio claustrofobico, dal quale Alessandro guarda come da un monitor il resto del mondo.
Tutto il romanzo è contrassegnato da esplicite o tacite allusioni a capitoli della grande storia e cultura del passato: soprattutto Dante e la Divina Commedia, alla cui prima cantica allude anche il numero dei 34 paragrafi, e Allan Poe, ma anche Socrate, Aristotele, Aristosseno, Archita, Gneo Nevio con la Tarentilla, Seneca, Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, l’autore de Le relazioni pericolose sepolto nell’isola di San Paolo, Antoine de Saint Exupery, Giuseppe Tomasi di Lampedusa col Gattopardo, Taras, il mitico figlio di Satyria e di Nettuno, Falanto, Filonide che urinò sulla toga dell’ambasciatore romano Postumio, Pirro, Annibale, le Erinni, i perdoni in processione all’Ilva, il Marta e le sue danzatrici, il vaso ritrovato forse di Pandora, San Cataldo, ecc.
A queste storie classiche si intrecciano le piccole vicende delle famiglie neo-borghesi di oggi, in cui un nonno può continuare a sentirsi franchista assecondato da tutti, e un maturo architetto di successo cercare una botta di vita in un’ultima strepitosa e malinconica avventura amorosa.
Un quadro disperato e delicato ad un tempo, di fronte al quale - mentre le Erinni non riescono più a trasformarsi in Eumenidi ma restano Erinni - una Sirena, quella dei due mari, non vuole più essere come quelle fatali e perverse incontrate da Ulisse, e all’ultimo istante affida al naufrago Alessandro il delfino di Taras che lo salverà come aveva salvato il fondatore di Taranto: «Nuoterete insieme verso una nuova vita», forse dantescamente una vita nova.
Il romanzo è sperimentale e peculiare per il modo di raccontare che concilia densità, dovuta alla tematica onirica e magmatica, e brevità, dovuta invece alla scelta di una forma di comunicazione propria della società post-moderna. Una densa brevità adatta alla dimensione anche psicologica del viaggio di iniziazione del protagonista, Alessandro, dallo smarrimento nell’Ilva, la sua “selva oscura”, fino all’incontro con la buona Sirena che gli promette la salvezza.
Il romanzo è la storia di una grande solitudine, contro la quale l’unico ma non del tutto sufficiente conforto è tornare a sognare i grandi della storia e della cultura del passato. Storia insomma di una solitudine personale, ma dentro una rete o una gabbia sociale di solitudini e di dipendenze dai new media, il romanzo ha però un’ulteriore chiave di lettura, quella sociologica, grazie alla quale anche il finale si rivela più aperto di quanto sembri, perché la Sirena dei due mari è sì più buona di quelle di Ulisse, ma è pur sempre una Sirena. La sua infatti è una promessa, non sappiamo se ispirata da Rousseau «Chi è più lento a promettere è più svelto a mantenere» oppure a De La Roche «Promettete in continuazione, perché la speranza è più viva della riconoscenza», ma forse Delio (il padre deve averlo segnato con questo nome!) De Martino, dall’alto di tutto quello che ha già realizzato nel suo breve percorso di vita, ci lancia il più semplice e veritiero monito che coincide con quello che chiedono le nuove generazioni in tutto il mondo…senza speranza dove sarebbe il futuro.
Scrivo da Ushuaia, Tierra del Fuego (Argentina) Complimenti! Ho letto ieri la recension 👏🏼👏🏼👏🏼 E certamente fascinante la visione che offre questo giovane autore sulla comunicazione moderna con resorse lettararie classiche!
RispondiEliminaAníbal Acosta
Perfettamente corrispondente!!!!!!
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