di NICOLA RICCHITELLI - Il Festival di Sanremo, il palco dell’Ariston, ma soprattutto due anime di Napoli – appartenenti a generazioni diverse – che su quel palco si sono incontrate per interpretare un brano – “Un’altra luce” – che è divenuto confronto tra padri e figli: «Inizialmente ho lavorato a questo brano per il mio disco, successivamente, discutendo con la mia casa discografica, cercavamo di capire come poterlo valorizzare al meglio. Mi avevamo proposto molti artisti con cui collaborare – ed io non sono un tipo che collabora molto a meno che non ci sia qualcosa di vero alla base – feci presente che l’unico che avrei potuto collaborare in quel momento era appunto Nino D’Angelo…».
Ma non solo, c’è soprattutto un album a fare da filo conduttore a tutto – Montecalvario (Core senza paura) – un album dove non poteva mancare la città di Napoli a fare da sfondo: «Ho scritto l’album quando sono tornato a Napoli, dopo aver passato un periodo lontano dalla mia città per motivi lavorativi… Quando ti allontani da qualcosa, magari non riesci a cogliere quelle sfaccettature perché abituati a vivere in un certo posto. Dopo una vita vissuta a Napoli, andare via – anche se per un anno e mezzo – e quindi ritornare, mi ha fatto vedere Napoli sotto una luce diversa».
Ospite quest’oggi del nostro spazio dedicato alle interviste, l’artista napoletano Livio Cori.
Livio, qualche mese fa ci siamo messi alle spalle la 69° edizione del Festival di Sanremo, edizione che ti ha visto in gara assieme al grandissimo Nino D’Angelo. Cosa ti ha lasciato il palco dell’Ariston e cosa ti porti dentro della settimana sanremese?
R:«Sanremo è stato una grandissima esperienza, seppure è un evento che dura una settimana devo dire che sono riuscito ad imparare molte cose; sono esperienze che ti formano come artista, sapevo che il palco dell’Ariston è un palco molto duro e che mette molto alla prova, però è un palco che cambia sicuramente un artista e lo fa crescere in pochissimo tempo».
Livio Cori e Nino D’Angelo: come si sono incontrate queste due anime appartenenti, sì alla stessa città, ma a generazioni diverse?
R:«Inizialmente ho lavorato a questo brano per il mio disco, successivamente, discutendo con la mia casa discografica, cercavamo di capire come poterlo valorizzare al meglio. Mi avevamo proposto molti artisti con cui collaborare – ed io non sono un tipo che collabora molto a meno che non ci sia qualcosa di vero alla base – feci presente che l’unico che avrei potuto collaborare in quel momento era appunto Nino D’Angelo. A quel punto si sono attivati per poterci mettere in contatto, per farmelo incontrare e proporli quindi il brano. Così è stato: di lì a poco ci siamo incontrati, abbiamo parlato molto, della nostra musica, delle nostre esperienze e anche del nostro privato. Poi ci siamo focalizzati sul brano - che a lui è piaciuto molto – ci ha messo del suo, solo qualche tempo dopo è nata l’idea di Sanremo. Ecco, magari una cosa che non si è detta molto è appunto questo, il brano è stato scritto per il mio disco e non per Sanremo. Partecipare al festival è stato un regalo di Nino per far conoscere a quante più persone la mia musica».
Montecalvario (Core senza paura), questo il titolo del tuo secondo album. Montecalvario è appunto il nome del quartiere dove sei nato…
R:«Diciamo che il nome l’ho scelto principalmente per un motivo in particolare: ho scritto l’album quando sono tornato a Napoli, dopo aver passato un periodo lontano dalla mia città per motivi lavorativi. Sono ritornato a Napoli per girare la terza serie di Gomorra, e sono stato ispirato molto da una città che ho iniziato a vedere con occhi diversi. Quando ti allontani da qualcosa, magari non riesci a cogliere quelle sfaccettature perché abituati a vivere in un certo posto. Dopo una vita vissuta a Napoli, andare via – anche se per un anno e mezzo – e quindi ritornare, mi ha fatto vedere Napoli sotto una luce diversa. Di lì è nato il primo brano “Surdat” – scritto per la terza serie di Gomorra – e quindi di getto sono arrivati gli altri, di lì appunto “Montecalvario” perché per me è stato un ritorno a casa».
Napoli per l’appunto… come hai ritrovato la tua città?
R:«Napoli sta cambiando, c’è molta speranza, ma forse è giusto dire che c’è una nuova speranza. Questa è una città – e forse tutto il sud in generale - che è sempre stata vista come un posto lasciato a sé, ma non è cosi, perché i napoletani e i meridionali in generale hanno quella forza in più nel voler rinascere e ricostruire, abbiamo sempre una speranza a cui aggrapparci, Napoli non l’ha mai persa e sta cambiando. Purtroppo a volte la cronaca fa pensare che vengano fatti passi indietro ma non è così, in fondo quello che succede a Napoli succede un po’ ovunque, però a Napoli tutto viene amplificato. Napoli è molto altro, è una città meravigliosa, è bellezza, una bellezza che rapisce molte persone. Stiamo vivendo una sorta di Rinascimento, un po’ tutto il sud del resto».
Al disco seguirà un tour che sarà dato il là tra qualche settimana…
R:«Questa estate sarò sicuramente in giro, però al momento sono molto concentrato sulla prima che darà il via a tutto che si terrà appunto a Napoli, e che si terrà il 13 aprile – al Duel Beat – quindi partiremo di lì per poi iniziare a girare un po’ in lungo e largo. Sarà sicuramente un tour che darà molto attenzione al sud e quindi anche alla Puglia».
Dopo l’esperienza di Gomorra viene facile immaginare che in futuro ti possa dividere tra musica e recitazione…
R:«Non lo escludo, ho iniziato ha recitare per caso, la produzione di “Gomorra”, infatti, mi ha chiamato per un certo ruolo – all’inizio tra l’altro ero molto incredulo non avendo mai recitato – ma è stata una situazione in cui mi sono trovato molto a mio agio, mi sono divertito molto, quindi in futuro non escludo di poter tornare a fare l’attore. Per ora abbiamo la quarta stagione – si parte il 29 marzo – per me quindi è un onore continuare ad essere all’interno del cast, poi chissà…».
Livio, il giudizio sulla fiction di Gomorra spesso non è stato tenero: in tanti pensano non sia un buon esempio per i giovanissimi…
R:«Io vedo “Gomorra” semplicemente come una fiction, e alla fine questo vuole essere, non vuole rappresentare nulla - così come ci sono tante fiction americane avente come tema il crimine – questa è una fiction che parla di un qualcosa di reale ma che alla fine non lo è. Questa fiction non rappresenta Napoli, ma parla di una parte di Napoli – il che la cosa è diversa – così come ci sono tante fiction che hanno come sfondo Napoli, ad esempio “Un Posto al sole”. Il problema dei ragazzini che vogliono emulare i personaggi della fiction sta forse nell’educazione che hanno in famiglia, è il genitore che deve togliere il ragazzino davanti alla tv quando vi è la messa in onda di un film per adulti. Produzioni di questo genere in fondo ci sono sempre state, questa fiction deve essere un nostro vanto, perché siamo riusciti a produrre un qualcosa che poi è stata esportata in tutto il mondo».
Non mi resta che chiudere sciogliendo quello che sembra il mistero del momento… aldilà di Livio Cori c’è il rapper Liberato?
R:«Assolutamente no… Sono assolutamente dicerie. Apprezzo molto Liberato, la sua musica, e sicuramente attraverso la sua arte sta risaltando in qualche modo il nome di Napoli, ma non sono io. Tra l’altro gli faccio un grosso in bocca a lupo per tutto quello che fa».
SOCIAL:
https://www.instagram.com/liviocori/
https://www.facebook.com/LivioCoriOfficial/
Ma non solo, c’è soprattutto un album a fare da filo conduttore a tutto – Montecalvario (Core senza paura) – un album dove non poteva mancare la città di Napoli a fare da sfondo: «Ho scritto l’album quando sono tornato a Napoli, dopo aver passato un periodo lontano dalla mia città per motivi lavorativi… Quando ti allontani da qualcosa, magari non riesci a cogliere quelle sfaccettature perché abituati a vivere in un certo posto. Dopo una vita vissuta a Napoli, andare via – anche se per un anno e mezzo – e quindi ritornare, mi ha fatto vedere Napoli sotto una luce diversa».
Ospite quest’oggi del nostro spazio dedicato alle interviste, l’artista napoletano Livio Cori.
Livio, qualche mese fa ci siamo messi alle spalle la 69° edizione del Festival di Sanremo, edizione che ti ha visto in gara assieme al grandissimo Nino D’Angelo. Cosa ti ha lasciato il palco dell’Ariston e cosa ti porti dentro della settimana sanremese?
R:«Sanremo è stato una grandissima esperienza, seppure è un evento che dura una settimana devo dire che sono riuscito ad imparare molte cose; sono esperienze che ti formano come artista, sapevo che il palco dell’Ariston è un palco molto duro e che mette molto alla prova, però è un palco che cambia sicuramente un artista e lo fa crescere in pochissimo tempo».
Livio Cori e Nino D’Angelo: come si sono incontrate queste due anime appartenenti, sì alla stessa città, ma a generazioni diverse?
R:«Inizialmente ho lavorato a questo brano per il mio disco, successivamente, discutendo con la mia casa discografica, cercavamo di capire come poterlo valorizzare al meglio. Mi avevamo proposto molti artisti con cui collaborare – ed io non sono un tipo che collabora molto a meno che non ci sia qualcosa di vero alla base – feci presente che l’unico che avrei potuto collaborare in quel momento era appunto Nino D’Angelo. A quel punto si sono attivati per poterci mettere in contatto, per farmelo incontrare e proporli quindi il brano. Così è stato: di lì a poco ci siamo incontrati, abbiamo parlato molto, della nostra musica, delle nostre esperienze e anche del nostro privato. Poi ci siamo focalizzati sul brano - che a lui è piaciuto molto – ci ha messo del suo, solo qualche tempo dopo è nata l’idea di Sanremo. Ecco, magari una cosa che non si è detta molto è appunto questo, il brano è stato scritto per il mio disco e non per Sanremo. Partecipare al festival è stato un regalo di Nino per far conoscere a quante più persone la mia musica».
Montecalvario (Core senza paura), questo il titolo del tuo secondo album. Montecalvario è appunto il nome del quartiere dove sei nato…
R:«Diciamo che il nome l’ho scelto principalmente per un motivo in particolare: ho scritto l’album quando sono tornato a Napoli, dopo aver passato un periodo lontano dalla mia città per motivi lavorativi. Sono ritornato a Napoli per girare la terza serie di Gomorra, e sono stato ispirato molto da una città che ho iniziato a vedere con occhi diversi. Quando ti allontani da qualcosa, magari non riesci a cogliere quelle sfaccettature perché abituati a vivere in un certo posto. Dopo una vita vissuta a Napoli, andare via – anche se per un anno e mezzo – e quindi ritornare, mi ha fatto vedere Napoli sotto una luce diversa. Di lì è nato il primo brano “Surdat” – scritto per la terza serie di Gomorra – e quindi di getto sono arrivati gli altri, di lì appunto “Montecalvario” perché per me è stato un ritorno a casa».
Napoli per l’appunto… come hai ritrovato la tua città?
R:«Napoli sta cambiando, c’è molta speranza, ma forse è giusto dire che c’è una nuova speranza. Questa è una città – e forse tutto il sud in generale - che è sempre stata vista come un posto lasciato a sé, ma non è cosi, perché i napoletani e i meridionali in generale hanno quella forza in più nel voler rinascere e ricostruire, abbiamo sempre una speranza a cui aggrapparci, Napoli non l’ha mai persa e sta cambiando. Purtroppo a volte la cronaca fa pensare che vengano fatti passi indietro ma non è così, in fondo quello che succede a Napoli succede un po’ ovunque, però a Napoli tutto viene amplificato. Napoli è molto altro, è una città meravigliosa, è bellezza, una bellezza che rapisce molte persone. Stiamo vivendo una sorta di Rinascimento, un po’ tutto il sud del resto».
Al disco seguirà un tour che sarà dato il là tra qualche settimana…
R:«Questa estate sarò sicuramente in giro, però al momento sono molto concentrato sulla prima che darà il via a tutto che si terrà appunto a Napoli, e che si terrà il 13 aprile – al Duel Beat – quindi partiremo di lì per poi iniziare a girare un po’ in lungo e largo. Sarà sicuramente un tour che darà molto attenzione al sud e quindi anche alla Puglia».
Dopo l’esperienza di Gomorra viene facile immaginare che in futuro ti possa dividere tra musica e recitazione…
R:«Non lo escludo, ho iniziato ha recitare per caso, la produzione di “Gomorra”, infatti, mi ha chiamato per un certo ruolo – all’inizio tra l’altro ero molto incredulo non avendo mai recitato – ma è stata una situazione in cui mi sono trovato molto a mio agio, mi sono divertito molto, quindi in futuro non escludo di poter tornare a fare l’attore. Per ora abbiamo la quarta stagione – si parte il 29 marzo – per me quindi è un onore continuare ad essere all’interno del cast, poi chissà…».
Livio, il giudizio sulla fiction di Gomorra spesso non è stato tenero: in tanti pensano non sia un buon esempio per i giovanissimi…
R:«Io vedo “Gomorra” semplicemente come una fiction, e alla fine questo vuole essere, non vuole rappresentare nulla - così come ci sono tante fiction americane avente come tema il crimine – questa è una fiction che parla di un qualcosa di reale ma che alla fine non lo è. Questa fiction non rappresenta Napoli, ma parla di una parte di Napoli – il che la cosa è diversa – così come ci sono tante fiction che hanno come sfondo Napoli, ad esempio “Un Posto al sole”. Il problema dei ragazzini che vogliono emulare i personaggi della fiction sta forse nell’educazione che hanno in famiglia, è il genitore che deve togliere il ragazzino davanti alla tv quando vi è la messa in onda di un film per adulti. Produzioni di questo genere in fondo ci sono sempre state, questa fiction deve essere un nostro vanto, perché siamo riusciti a produrre un qualcosa che poi è stata esportata in tutto il mondo».
Non mi resta che chiudere sciogliendo quello che sembra il mistero del momento… aldilà di Livio Cori c’è il rapper Liberato?
R:«Assolutamente no… Sono assolutamente dicerie. Apprezzo molto Liberato, la sua musica, e sicuramente attraverso la sua arte sta risaltando in qualche modo il nome di Napoli, ma non sono io. Tra l’altro gli faccio un grosso in bocca a lupo per tutto quello che fa».
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