Paese che vai soprannome che trovi



di VITTORIO POLITO - Il soprannome è l’appellativo scherzoso, ironico, o anche malevolo imposto a una persona, per distinguerla da un’altra, prendendo spunto da caratteristiche fisiche, morali o altre che col tempo può diventare anche soprannome di famiglia. Il soprannome è anche un appellativo distintivo di una persona, che si aggiunge al nome proprio proveniente dal luogo di origine, dal mestiere esercitato, o da un appellativo equivalente.

Il soprannome o nomignolo nella tradizione popolare ha origini antichissime ed è riferito per lo più a una qualità fisica o morale che caratterizza una persona, alla quale si assegna scherzosamente come attributo o per meglio individuarlo. In alcuni casi il soprannome è mantenuto per generazioni, per cui finisce per essere un vero e proprio secondo nome, con il quale vengono identificate in modo più semplice e diretto intere famiglie o la loro provenienza.

Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), nel suo volume “Storie e Patorie ovvero cenni sul folclore barese” (Adda Editore), sostiene che si sa con certezza che presso i Romani, ogni individuo di condizione libera possedeva un prenomen, un nomen, un cognomen e talvolta anche un agnonem o soprannome: il prenome era il nome individuale che ognuno aveva diverso dagli altri, salvo i casi di omonimia; il nome derivava dal gentilizio, il cognome designava la famiglia ed era comune a tutti i membri, l’agnome era un soprannome individuale, attribuito per qualche azione straordinaria o per particolari servizi a favore della comunità.

Manlio Cortelazzo (1918-2009), professore emerito dell’Università di Padova, uno dei massimi esperti in materia, autore di numerose pubblicazioni scientifiche sull’argomento, sosteneva che “I soprannomi costituiscono il nerbo dell’onomastica, la scienza dei nomi propri: ne accompagnano l’origine, l’evoluzione, i punti d’arrivo. Eppure sono guardati con sospetto e timore, perché sfuggono ad ogni tentativo di spiegazione razionalmente condotto”.

A Bari, nella città vecchia, esiste una via con il nome di “Roberto il Guiscardo”). In realtà egli si chiamava Roberto d’Altavilla, ma, le sue vicende politiche lo portarono, tra l’altro, a circondare il Papa Nicolò II di ogni cura e rispetto, tanto che il pontefice nell’anno 1059 lo investì del titolo di “Duca di Calabria e di Puglia per grazia di Dio e di S. Pietro”. Si creava così una nuova situazione politica e giuridica nel Mezzogiorno d’Italia, che avrebbe avuto sviluppi di grande importanza storica nei secoli seguenti. Da queste vicende probabilmente il soprannome di “Guiscardo” (Furbo, astuto).

I nomi di guerra o di battaglia sono invece soprannomi usati nel tempo, soprattutto tra i marinai della Marina Sarda, nella quale era consuetudine per tutti gli imbarcati. Spesso sostituivano il nome vero per impedire l’identificazione in caso di cattura, ma in generale per evitare l’eventuale omonimia. Con la fusione della Marina napoletana, pontificia e toscana con quella Sarda, il nome di guerra fu sostituito dal numero di matricola.

Il soprannome nel mondo popolare barese ha tuttora un ruolo caratteristico ed è maggiormente diffuso tra gli abitanti della città vecchia, per designare una persona, un mestiere o un nucleo familiare di appartenenza, in particolare quando sono presenti diversi omonimi.

Molti dei significati originali sono stati nel tempo travisati e, molto spesso, è stata effettuata una sorta di ‘supertraduzione’: come ad esempio, il caso di ‘cazze cazze’, che corrisponde all’espressione italiana “venirsene tomo tomo, cacchio cacchio”, ‘venirsene da ingenuo, da imbecille’.

Il poeta Vito De Fano (19121-1989), non si è lasciato sfuggire l’occasione per scrivere una poesia in dialetto riferita appunto ai soprannomi dei baresi.


Ngocche sopanome de le barise*
di Vito De Fano

Mba Nòfrie u tèrte e don Mechele u ciùmme
nzjeme a Gnagnùdde e Cole mjenze core,
Fafuèche, Fattacciùcce e Cape de cchiùmme,
scèrene da Pasquale manad’ore

pe disce ca Gugù pjette a palùmme,
u figghie de Perchiùse u prefessòre
che Beccone, Brezànghe e mba Chelùmme,
Sparrèdde, Megnerùdde e Ciola gnore,

jèrene sciùte a case de Peddècchie,
u ziàne de Gnessè menza sciàbbue
e canate a Gelòreme quattècchie,

pe demannà percè ca u figghie scàbbue,
apparolàte a Rose mammalàgne,
mò spesàve la figghie de Zù Fagne?

E Peddècchie arraggiàte respennì:
Sciàte da Calandrjedde o Corighì,
ca chisse, amisce, no nzò… fatte mì.
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* da “Benàzze”, di V. De Fano, Schena Editore, Fasano (Br), 1986.