di NICOLA ZUCCARO - Alle ore 17.05 di mercoledì 4 maggio 1949 il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI siglato I-ELCE si schianta sul muraglione del terrapieno posteriore della Basilica Reale di Superga ubicata sulla collina torinese. A bordo dell'aereomobile c'è la rosa del Torino reduce da Lisbona, dove aveva disputato un incontro amichevole perso per 4-3 con il Benfica e il cui incasso viene devoluto a favore del capitano della squadra Francisco Ferreira (amico dell'omologo granata Valentino Mazzola) per le sue difficili condizioni economiche.
Termina così, tragicamente e forse anche stupidamente, per il mancato avvertimento da parte della torre di controllo dello scalo aereoportuale torinese, l'esistenza di una squadra successivamente ribattezzata "Grande" per aver vinto cinque scudetti consecutivi dalla stagione sportiva 1942-1943 al campionato 1948-49. Quest'ultimo fu assegnato d'ufficio dall'allora presidente della Figc Ottorino Barassi, all'indomani dei solenni funerali svoltisi in una piovosa Torino, venerdì 6 maggio 1949.
In questa data, l'Italia intera, sportiva e non, si fermò per un ufficioso lutto nazionale, raccogliendosi intorno alle apparecchiature radiofoniche per l'ascolto del rito funebre raccontato nella lunga radiocronaca condotta da Vittorio Veltroni, anzichè dal più noto Nicolò Carosio. Il popolare radiocronista, poichè bloccato in Italia dalla cresima del figlio, scampò alla tragedia di Superga che, con la morte di 31 persone (4 membri dell'equipaggio e 27 fra dirigenti, giornalisti e calciatori granata), portò via uno dei simboli della sofferenza e della rinascita dell'Italia appena uscita dalle macerie del secondo conflitto mondiale. Ne è prova il fatto che il Grande Torino, come documentato negli almanacchi del calcio degli anni '40, costituì il blocco della Nazionale italiana anche nel corso del travagliato periodo bellico.
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